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L'apoteosi del Chaos pt.2

Sapevamo adesso che direzione prendere, e la foschia continuava ad indicarmi la posizione dei mostri quando ci avvicinavamo troppo. Riuscivo a manipolarla abbastanza da lasciarci passare inosservati, ingannandoli con proiezioni di noi in direzioni completamente opposte alla nostra, il che ci garantiva un passaggio più o meno sicuro, se non fosse che sentivo la mia testa come fumo e gli occhi mi bruciavano come se avessi guardato uno schermo per troppo tempo. Non so se della bruma mistica sia comparabile con un display alla massima luminosità ma a quanto pare le mie cornee la vedevano a quel modo e non potevo farci molto. I pensieri e le riflessioni mi fluivano tra le dita come il vapore e non riuscivo a focalizzarmi su nulla che non fosse la foschia pulsante nelle tempie: forse Rachel Dare quando era sotto il controllo dell'oracolo si sentiva in un modo simile; ma che poi come avevo fatto a controllare dal nulla la foschia? Per Hazel ci era voluto parecchio, magari perché non era una discendente di Hecate?
Domande che si susseguivano troppo in fretta per essere analizzate a dovere.
Ma per essere solo un discendente di Afrodite quanto era potente la lingua ammaliatrice di Plume?
Per poco quel pensiero non mi cacciò a calci nel culo fuori dal torpore, tanto che invece di svoltare per evitare quella che pareva una chimera ci stavo andando dritto addosso.
Discendente di Afrodite? Ma non era figlio di Iride?
Uno sprazzo di conversione rubata mi vorticò nelle tempie «Amulet...?» farfugliai e la testa del rosato si girò così di scatto verso di me che temetti gli si svitasse dal collo. Gli occhi sgranati e allarmati che si placarono solo quando notarono il mio stato di evidente smarrimento. «Manca poco Dark-Malfoy. Presto sarà tutto finito.» sussurrò pacato e triste.
«Mi piacciono le tue fossette.» constatai e scossi la testa non ricordando fino in fondo di averlo detto. «Che sta dicendo?» chiese Ko sorreggendomi da un fianco. Il riccio scrollò le spalle, non aveva capito o se lo aveva fatto fu molto bravo a dissimulare.
Pixie che camminava a pochi passi davanti a noi si fermò di scatto, le orecchie tese e il pelo sulla groppa irto come aculei. Si accucciò sulle zampe e vibrò un cupo brontolio di avvertimento, al contempo la foschia che mi offuscava i sensi si diradò lasciandomi con uno strano e scomodo senso di vuoto e cosciente consapevolezza. «Siamo arrivati. -decretai- Proseguendo dritti entreremo direttamente nelle fauci del lupo.» una sottospecie di singhiozzo a risata si levò dalle ombre e l'aria iniziò a farsi melmosa e irrespirabile ancor più di prima, la concentrazione di veleno nell'ossigeno sembrava essersi quadruplicato. Pustole sbocciarono come fiori in primavera sulla nostra pelle. Plume sembrava sul punto di svenire dal dolore. «Che diamine sta succedendo!?» gracchiò Ko tirando fuori la spada solo per usarla come bastone e rimanere in piedi. Ormai non aveva più importanza la discrezione, eravamo arrivati. «Achlys dea dei Veleni e della disperazione...» biascicò il figlio di Iride sputando sangue scuro a terra. Come se non bastasse ai nostri fianchi sbucarono fonti luminose e poco a poco Empuse dai canini scintillanti e gli occhi vacui e folli si fecero avanti. «Questa è opera di Lyssa...» mormorai. Al sentire il nome della loro nuova signora le teste fiammeggianti delle lamie sembrarono divampare; il fuoco greco verde e ustionante che mischiato al veleno ci stava uccidendo ancor prima di un attacco fisico. La disperazione proveniente dal potere del pianto sommesso di Achlys mi faceva venire voglia di piantarmi la spada dritta in fronte, il desiderio dell'essere accolti da Thanatos sembrava un sollievo.
E sapete una cosa?
Ero stufo marcio di sentirmi una schifezza in quel posto. Stufo di dover vedere i miei compagni di viaggio soffrire. Dei ero stufo di voler concludere al più presto questa stupida missione senza vederne mai la fine: quindi adesso che ne avevo l'occasione non mi sarei di certo fatte ammazzare da dannatissime vampire fiammeggianti.
«BASTA!» latrai. La nebbia si diradò come colpita da un onda d'urto, ordinai a quella stessa bruma di trovare Achlys e farla tacere.
«Come osi sfidare i Terrori, moccioso insolente!» gracidò da qualche parte la voce di un vecchio signore. La terra ai nostri piedi sembro invecchiare di anni, si sgretolava in pozze di liquidi gorgoglianti dell'olezzo di tessuto in decomposizione, ci impedivano i movimenti mentre le Empuse ci si stringevano contro.
«Oh e andiamo!» Coco roteò la spada, il bagliore accecante del bronzo celeste sorprese le ancelle di mia madre e la figlia di Nike ne approfittò per creare un ampio arco davanti a se con la lama semidivina, emettendo un urlo di sforzo e furore: un ruggito leonino di battaglia. Il colpo disperse le nostre avversarie e spinse ancora più in là la foschia; ma dato che non poteva andare solo bene, il contraccolpo la spinse indietro, centrandomi in pieno e spingendo entrambi almeno tre metri indietro. Strisciai la schiena al suolo con l'aria tossica che usciva a fatica dai polmoni, la pustole infiammate e sanguinanti mi urticavano la pelle del tronco. Coco era sdraiata supina sopra di me, la spada mi avrebbe aperto una lacerazione sui fianchi se non fosse stato per la giacca di basilisco legata stretta alla vita. Il momento di intontimento non poté durare a lungo, destati da un ringhio gutturale e graffiante fino a far tremare gli organi interni e tutte le ossa. Coco sbatté le palpebre, evidentemente prosciugata dalla forza utilizzata nel colpo precedente, ma tirò comunque in piedi anche la mia persona. Mi accostai al suo fianco ed indietreggiai di un mezzo passo istintivamente. Dell'Ecuba che mi aveva ospitato nell'antro di mia madre non c'era più traccia: era grossa il doppio se non il triplo, il pelo irto e mancante in vari punti, gli occhi vitrei e di un rosso malsano screziato di verde acido, lacrime di sangue inzuppavano la pelliccia scura, colando sul muso e macchiando la schiuma bavosa raccolta ai lati delle labbra. Il suo era un sorriso non più di affettuoso scherno ma maligno e brutale, le zanne esposte come fili di lame acuminate su una rastrelliera nella casa di Ares. «CøLə MøRπį$ īø †į U¢Cï∆£-»
«STATE GIÙ!»
La voce di Plume fu come una secchiata gelida dedita al risveglio da un sonno profondo e tormentato. L'underword sembrò andare a rallentatore mentre tiravo di forza Coco a terra insieme a me; alzando la testa osservai l'addome di Pixie nel mentre che ci superava con magnifico salto, sotto di lui fischiarono due coltellini da lancio che fendettero l'aria come lame calde sul burro. Seguii a fatica la loro traiettoria e il flusso temporale mi cadde addosso come la sferzata di una frusta nel mentre che i kunai si conficcarono perfettamente nelle orbite dell'ex regina di Troia facendola ruggire di dolore, scuotendo la testa e impennandosi venendo così centrata in pieno da Pixie che la azzannò tra spalla e collo. In poco tempo divennero un groviglio di pelo, zanne e arti; una danza selvaggia e lugubre accompagnata da una melodia di schiocchi umidi e secchi e furiosi, latrati battaglieri tra ringhi e soffi, abbai e bruiti.
«Dentro forza!» ordinò il figlio di Iride rimanendo a distanza, occupandosi delle riemerse lamie che sembravano molto, molto più arrabbiate e assetate di sangue semidivino di prima. «Ma...» biascicai mentre Ko scuoteva il caschetto e si rimetteva in piedi, stanca ma nuovamente lucida. Non attese nemmeno che mi rialzassi, si voltò a muso duro verso il figlio di Iride ruotando la spada, pronta a dargli manforte e quasi a prevenirla un coltellino si piantò a pochi centimetri dalle sue scarpe; il rosato roteò elegantemente su se stesso come se stesse ballando, tirando, una volta stabile, una ginocchiata dritto sul naso di una di quelle megere. Tenne senza problemi la gamba in alto e in equilibrio -flessuoso come un gatto- approfittando della distanza che il mostro aveva creato tra loro, indietreggiando per il precedente colpo, per ruotare il bacino, arpionarle la nuca con il collo del piede e calciarla addosso ad un altra, lanciando -sfruttando il movimento rotatorio del suo corpo per caricare con il braccio- un coltellino che trapassò entrambe le empuse facendole letteralmente esplodere in un vortice di polvere dorata e fuoco greco, alcuni zampilli finirono sul rudere della felpa di Plume forandola in più punti, nonostante lui non sembrò farci molto caso. «Andate! Vi copro le spalle!»
Trattenni il respiro e il cuore mi battè nelle tempie, l'ultima volta che lo aveva fatto lui...
«Non ti lascerò fare come con Le Keres! Non puoi dirmi cosa devo o non devo fare Plume!» ringhiò la figlia di Nike. Come a chiamarle dalle volute oscure si levarono stridii da incubo; anche a distanza riuscii a notare il brivido che sconquassò l'intero corpo della progenie di Iride. «ANDATE, ADESSO!» si voltò appena e i nostri sguardi si intrecciarono per un millesimo di attimo che mi parse lungo un secolo. C'era disperazione nelle sue iridi, e una supplica.
Va bene Plume. Mi fido.
Scattai in piedi e come avevo fatto in precedenza corsi a perdifiato trascinando Coco con me. Ella si dimenò e cercò di opporsi, ma quando dovemmo evitare il groviglio in guerra dei corpi di Pixie ed Ecuba dovette arrendersi e seguirmi di sua sponte, per non essere spiaccicata.
Entrammo finalmente nel tempio trovandoci davanti segugi infernali ringhianti e pronti a farci a fette. Sguainai finalmente la spada e ci lanciammo in mezzo ai cani infernali. Divenne tutto un'immagine confusa, lanciavo incantesimi e fendenti, ignorando i rumori di battaglia all'esterno e concentrandomi solo sul raggiungere mia madre, che ci guardava con gli occhioni verdastri contornati da kjal ormai sbavato. Mi voltai solo quando una sottospecie di scheggia rosata entrò nel tempio rotolando mentre lanciava un kunai in fronte a una Keres. Altre Empuse in avvicinamento sibilavano tra i canini affilati, al di fuori. Di Ecuba e Pixie nessuna traccia.
La sua felpa era quasi del tutto lacera e nei suoi occhi ardeva una fiamma ardente che li rendeva luminosi.
«Cole!» Coco era arrivata alle catene che trattenevano Ecate e io dovevo sbrigarmi a raggiungerla. Ruotai su me stesso, evitando un bracco tedesco che puntava evidentemente alla mia testa, colpendolo sulla nuca con la spada che rimase quasi incastrata nell'osso, se non fosse che iniziò a sgretolarsi. Sgusciai tra le bestie infernali, sibilando tra i denti imprecazioni e cercando di ignorare ogni graffio nuovo che mi si apriva a causa delle artigliate che non riuscivo ad evitare. Ero quasi arrivato alla catena quando un dannato chiwawa infernale mi azzannò alla spalla. Il veleno nelle sue zanne mi face urlare. Mi ricordai l'esatto momento successo con le anarade «Cole!» Coco fece per mollare la sua posizione e la sua distrazione le costò un morso sulla gamba che era già stata precedentemente ferita. Ruggì di dolore e tagliò di netto la testa a quel cagnaccio. Cercai di ignorare il dolore mirai la spada sulla mia spalla spaccando il cranio non solo al cane infernale, ma graffiandomi anche poco sopra la clavicola. Mirai una palla di fuoco in testa ad un maremmano e finalmente arrivati a mia madre.
Sollevò il suo sguardo su di me e abbozzò un sorriso stanco. «Il mio bambino...» sentii qualcosa sciogliersi nel mio petto ed osservai le catene con sguardo critico. Le rune sembravano infiammarmi le cornee tanto erano potenti e non avevo abbastanza potere magico per usare qualsiasi incantesimo mi venisse in mente nonostante probabilmente sarebbero stati inutili.
«Moccioso.» dal groviglio di capelli di mia madre zampettò fuori Gale che scese a terra solo per arrampicarsi velocemente sul mio copro fino ad appolaiarsi sulla spalla sana. «Usa la forza della nostra signora della magia. Sfrutta il suo potere per liberarla.» Deglutii e cercai di respirare dalla bocca per non sentire l'olezzo della donnola. «Come...?» mi morse l'orecchio facendomi mugugnare dal dolore. «Ma sei-» ringhiò. «Smetti di tergiversare e rifletti! Il suo sangue ti scorre nelle vene così come la sua magia. Trova una dannata connessione σχινοκέφαλον!» mi guardai attorno: Coco era a poca distanza da me, ruotando come una trottola, saltellando non so come da un lato all'altro per tenere i mostri lontano da me. Plume all'ingresso cercava di difendersi da tutti i lati, tentando di non fare entrare ulteriori creature dall'ingresso. Non avrebbero resistito per molto ancora... Se io non mi fossi dato una mossa sarebbero tutti morti. Non potevo permetterlo.
Mi accovacciai davanti a mia madre cercando di non pensare al fatto che non avevo la minima idea di quello che stavo facendo. Alzai la spada e la appoggiai ad uno dei suoi avambraccia tesi. La guardai negli occhi e lei sembrò guardarmi fin dentro in fondo alla mia anima, quando annuì incisi la pelle recidendole l'arteria brachiale, facendo velocemente lo stesso con la mia.
«Cole ma che πέος stai facendo?!» sbraitò Ko alle mie spalle, la ignorai.
Ficcai il taglio sanguinante in bocca a mia madre mentre ignorando il disgusto bevevo l'icore dorato che sgorgava dalla sua ferita. Appena deglutii fui costretto ad indietreggiare piegandomi in due dal dolore urlando con tutto il fiato che vi era nei miei polmoni.
Mi sentivo bruciare fin dentro le ossa, i canali magici dilatati e traboccanti di una magia infinita come il cosmo, il peso di un potere mio e mai mio che mi dilaniava da dentro. Lacrime di sangue sgorgavano incontrollate dai miei occhi occludendomi parzialmente la vista. Singhiozzai di dolore rificcandomi le urla in gola e mi trascinai fino a posare le mani sui catenacci. Guardai dritto negli occhi di mia madre e insieme iniziammo a cantilenare una magia che avrebbe avuto la forza di spaccare in due il suolo terrestre fino al nucleo. Il ferro dello stige si oppose e le rune bruciarono contro i miei palmi lasciando parziali segni della loro presenza che probabilmente non sarebbero mai andati via, ma alla fine con un urlo disperato proveniente da nessuna parte e contemporaneamente dappertutto, così disperato da farmi quasi cedere a quella stessa disperazione per via della magia di Achlys, le catene si spezzarono. Seguii un silenzio quasi irreale mentre la ferita di mia madre si chiudeva come se non ci fosse mai stata e con un suo tocco gentile la stessa cosa per la mia, lasciando però come unico segno del suo passaggio una sottile linea biancastra. Non svenni non so come, dato che era l'unica cosa che volevo fare. Il potere mio e non mio dissolto e tornato al suo posto. Coco fu subito al mio fianco tirandomi in piedi e tenendomi stabile, mettendosi un mio braccio attorno alle spalle e stringendo un suo alla mia vita. «Divina Ecate riuscite ad alzarvi da sola?» Gale che era finita chissà dove si arrampicò sulla spalla della sua signora mentre questa si rimetteva in piedi scrollandosi la polvere dalle vesti. «Non sottovalutare la mia signora miscredente.» soffiò. Nonostante le sue parole si vedeva che Zea era ridotta alla frutta. Troppo debole per lasciare quel regno da sola. «Dobbiamo andarcene di qui.» biascicai. Mia madre annuì. «Ermete... Credo che lui vi abbia dato una mano.» sia io che Coco ci irrigidimento. «Cole... Il dono di Ermes... Sbaglio o era...» espirai tremulo sentendo lacrime premermi gli angoli degli occhi secchi di sangue. «Nello zaino...» mia madre ci guardò. «Figlio mio. Puoi recuperarlo.» la guardai terrorizzato. Coco boccheggiò speranzosa. «E come?» Gli occhi così simili ai miei della mia genitrice divina si incastrarono nei miei. «Con la magia.»
Una fitta nebbia nera come pece e ombre maligne iniziarono a levarsi dall'ingresso entrando a spire nella struttura.
Plume, ferito e sanguinante in mezzo a una schiera di mostri affamati. I coltellini nelle sue fodere ormai finiti. La mano sul suo bracciale pronto a sguainare la propria lancia, le creature sembrarono impazzire sotto quel fumo nero. Mi formicolarono le braccia. «Eris...»
«Muovi il culo semidio. Non abbiamo tempo da perdere.»
Cercai di mettere da parte il terrore e chiusi gli occhi cercando di correre con la mente al ricordo dello zaino. «Visualizza l'oggetto nella tua mente... Rendilo reale e tangibile...» sussurrò mi madre.
Ero di nuovo nella caverna, lo zaino a terra abbandonato contro la roccia, lo aprii.
«Lo vedi?»
Inspirai lentamente. «Si.» avvertii un fruscio. «E allora prendilo.»
Allungai il braccio e strinsi la mano attorno al sacchetto. Quando riaprii gli occhi, stretto nel mio pugno c'era la sacca data noi da Ermes. Mia madre la prese e versò il contenuto sul mio palmo.
Delle palline grandi quanto biglie e vorticanti di magia.
Ricordai come Percy nella sua prima impresa fosse uscito grazie a queste perle dall'inferno. «Una per ogni persona...» il problema? Ce ne erano solo tre.
Alzai lo sguardo su Plume, sguainò con un lampo luminoso la sua lancia e la fece roteare. Il luccichio fece indietreggiare molti mostri, guardai mia madre. «Cosa significa.» il rosato indietreggiò e ci sorrise da sopra la spalla. «Significa che io resterò qui Warlock.» sgranai gli occhi mentre Coco si irrigidiva. «Tu non puoi! Morirai!» Zea scosse la testa. «Lui sta già morendo.» la guardammo senza capire. Poi il figlio di Iride si strappò di dosso quello che rimaneva della sua felpa. Le bende che dovevano coprire le ferite erano verdognole e giallastre. Il ragazzo se le strappò facilmente da dosso e quello che vi era al di sotto mi rovesciò lo stomaco. I graffi erano lividi e ancora sanguinanti, infettati tanto che dai loro bordi slabbrati colava pus e liquido nero simile a un qualche veleno. «Perchè... Non ci hai detto nulla... PERCHÉ?!» urlò Coco in preda al dolore. Sherlock Plume sorrise. «Le ferite inferte dalle Keres a meno che non trattate da cure specifiche sono incurabili. Esse sono spiriti della morte violenta e delle-»
«Pestilenze...» esalai io comprendendo le parole di Apollo.
Lui annuì. «L'acqua infernale mi ha mantenuto in vita fino ad ora ma non può farlo in eterno... Non reggerei un viaggio dimensionale... Quindi immagino che questo sia un addio.» Sorrise e le sue iridi bicolori scintillarono.
Non avevo mai visto occhi più belli e al contempo più pericolosi.
Una risata agghiacciante risuonò nel buio, Plume divenne serio e ci diede le spalle. Ruotò nuovamente la lancia e i mostri gli ringhiarono addosso, non più intontiti. «Andate!» a quel punto sia io che Coco piangevamo. «Sherlock...» singhiozzai. Le sue spalle si irrigidirono appena. «VIA!»
Coco afferrò una biglia dalla mia mano e la gettò a terra, io malvolentieri feci lo stesso, Ecate con noi.

Mi risvegliai a Central Park, Coco sdraiata accanto a me. L'aria pulita mi fece male, il sole splendeva tiepido nel cielo Newyorkese. Di mia madre nessuna traccia, coì come della fiaschetta che doveva pendere al mio fianco, In qualche modo sapevo che fosse nuovamente al suo posto.
E di Plume neppure.
Iniziai a piangere tutte le lacrime che avevo finora trattenuto, e urlai di dolore.
Coco seguì il mio esempio appena svegliata, abbracciandomi come se la sua sopravvivenza dipendesse da questo.

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