III

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Cadono biondi semidivini dal cielo.

Non mi fregava niente di Sherlock Plume, sia chiaro, ma anche un cieco avrebbe notato la pelle più bianca del solito -cadaverica- e lucida di sudore. Lui pareva come sempre rilassato, con il cappuccio tirato su, le mani nelle tasche dei jeans e un mezzo sorriso stampato in faccia. Coco gli lanciava occhiate preoccupate un momento sì e l'altro pure mentre il satiro ci faceva strada attraverso la vegetazione per arrivare al campo, occhieggiandoci di tanto in tanto per assicurarsi che fossimo ancora dietro di lui. Ci stava spiegando un po' come fosse strutturato l'accampamento e anche alcune cose proprie dei mezzosangue, come l'iperattività per via dei riflessi divini che ci permettono di non morire -più o meno-, i sogni che non sono quasi mai solo sogni e la dislessia, dato che il nostro cervello è automaticamente settato sul greco antico e non solo per alcuni semidei. Ad esempio i figli di Afrodite conoscono il francese perché è la lingua dell'amore.
«Aspetta un secondo, quindi tu soffri di dislessia?» domandai a Plume. Nella scuola tralasciando me e Coco non avevo mai sentito di altri dislessici, figurarsi di Sherlock sono-sempre-al-centro-del-mondo Plume. Scrollò le spalle, noncurante. «Sì ma ho imparato a conviverci.» sbuffai. «Ovviamente.»
«E i tuoi genitori? Loro non lo hanno fatto presente al Consiglio docenti?» intervenne Coco. Il rosato sembrò essere attraversato da un fremito ma dopo un respiro più profondo rispose. «No. Non credevano fosse necessario.» e sembrò voler chiudere lì l'argomento ma, capitemi: avevo appena trovato qualcosa che sembrava infastidirlo, dovevo irritarlo. «Ma almeno i tuoi lo sanno? Insomma, sei riuscito ad ingannare una scuola intera, una o due persone dovrebbero essere niente.» insinuai guadagnandomi uno schiaffo sul braccio da Coco. «Smettila.» mi ammonì. «Stavo solo chiedendo!» mi giustificai non riuscendo a trattenere un sorrisino sghembo. Il rosato non sembrò prendersela scuotendo la testa. «Niente di personale tesoro, io mento a tutti.» alzai gli occhi al cielo: irritante e anche bugiardo, fantastico. «Uno dei suoi deve saperlo per forza. Per via del genitore divino.» provò a difenderlo la mia amica. «Come dici tu.» brontolai alla fine.
In seguito il Satiro iniziò a parlarci del campo Giove e di come fino a poco tempo fa non si fosse a conoscenza della sua esistenza. Stava per iniziare a raccontare della seconda grande guerra quando all'improvviso si alzò un vento forte trasportando un vago odore di mare. «Ma dove siamo?» chiesi. «Punta nord di Long Island, vicini a Montauk.» rispose Candyman con le sopracciglia aggrottate. Gli rivolsi un'occhiata scettico. «E tu come lo sai.» lui si guardò attorno. «Non ne sono sicuro, però credo di esserci già stato.» Provai a dire qualcosa ma non ne ebbi l'occasione perché sentimmo un urlo provenire dall'alto e alzando lo sguardo ci vidimo venire addosso quello che aveva tutta l'aria di essere un ragazzo con una maglia viola.
«AHHHHHH!» ululò schiantandosi in pieno contro di me. «Cole!» squittì preoccupata Coco levandomi di dosso il biondo con poca delicatezza aiutandomi a rimettermi in piedi. «Stai bene? Sei tutto intero?» domandò. «Uhm sì, grazie per averlo chiesto.» bofonchiò il caduto dal cielo rialzandosi. Mi accigliai. «Non stava parlando con te.» puntualizzai. Lui si sistemò gli occhiali sottili sul naso sbattendo le palpebre intontito. «Sei proprio basso.» biascicò. Sentii il mio solito tic all'occhio sinistro. «Scusami?» Sapevo di non essere un giocatore di basket, con il mio metro e settanta scarso ma non amavo che lo si puntualizasse. «Non accetto commenti da un tizio precipitato dal cielo come un piccione.» sibilai. Il biondino sussultò sorpreso. «Oh wow, emh. Tu non sai chi sono io vero?» ipotizzò. Inarcai un sopracciglio. «Il cosplayer di Icaro?» ironizzai facendo trattenere a stento una risata a Coco. Il piccione mise il broncio. «Ehi non è colpa mia! Solitamente volo benissimo ma un vento di cattivo umore mi ha colto alla sprovvista.» si difese. Io abbozzai un sorrisetto sarcastico. «Certo...» il biondo boccheggiò incredulo. «Voi non sapete davvero chi sono.» affermò. La mia amica si fece avanti. «Dovremmo?» Harold fece un colpo di tosse. «Non gli ho ancora raccontato la storia dei sette. Loro sono nuovi.» spiegò. Il ragazzo parve prendere consapevolezza. «Ooh. Capito.» annuì.
«Scusami. Hai parlato di volare, sei per caso ehm, figlio di Zeus?» chiese Plume mentre in lontananza rombò un tuono. Il biondo schiuse la bocca per poi sorridere. «Figlio di Giove. Tu devi essere l'Annabeth del gruppo.» il rosato si illuminò. «Magari, ma non penso di essere il tipo del protagonista moro della storia.» ridacchiò ammiccando nella mia direzione. Feci una smorfia. «Dèi no.»
Il figlio di Giove lo squadrò un secondo con le sopracciglia aggrottate. «Sei molto carino, forse sei un figlio di Afrodite.» commentò facendo ampliare il sorriso di Candyman e arrossare ancor di più le sue gote. «Preferisco i mori però anche tu sei bello.» affermò. Il biondo ricambiò il sorriso ma alzò comunque gli occhi al cielo. «Figurati se Percy non mi ruba la scena.» brontolò scuotendo la testa. «Comunque io sono Jason Grace.» si presentò. Impallidii. Avevo appena insultato il figlio del re degli Dèi e uno dei salvatori del mondo. Cento punti a Grifondoro; anche se in teoria sono un Serpeverde. «Coco McQueen.» allungò una mano la mia amica per poi darmi una gomitata. «Cole Morris.» mi sbloccati facendo lo stesso. Quando ricambiò la stretta fui attraversato da una scossa. «Sherlock Plume.» terminò Candyman. Jason lo guardò preoccupato. «Ti senti bene?» il rosato annuì. «Certo.» il piccione non parve convinto. «Sicuro? Non hai una bella cera.» insistette. Prima che Plume potesse nuovamente rispondere notai all'altezza del rene una macchiolina rossa che si stava progressivamente allargando. «Mr.Candy o hai il ciclo o stai sanguinando.» feci presente indicando la macchia. Lui sollevò il tessuto scoprendo una ferita di almeno dieci centimetri con un pezzo di vetro conficcato nella carne bloccando la fuoriuscita di sangue. Imprecò. «Prima non era messa tanto male.» Coco si avvicinò scioccata. «Prima? Che vuol dire?» il riccio sospirò passandosi la mano libera tra i capelli. «Quando l'autobus si è ribaltato mi si è conficcato questo vetro qui, ma non era entrato in profondità e non lo ho tolto perché come vedete blocca la fuoriuscita di sangue. Poi sono atterrato su di lui -mi indicò- e quando mi ha scollato di dosso sono caduto di schiena e si è conficcato più in profondità, possiamo aggiungere che l'arrampicata sul drago di prima non ha aiutato.» spiegò. Coco mi lanciò un'occhiata di fuoco. «Non è colpa mia!» mi difesi. Mica lo sapevo. «Bee-bee Non abbiamo neanche del cibo divino.» belò Lloyd. Jason fece una smorfia. «Dobbiamo togliere la scheggia. A me in realtà è rimasto un quadretto di Ambrosia. Riuscirà forse a richiudere la ferita ma non reggerà a lungo.» io mi morsi il labbro. Non era il mio migliore amico ma non volevo che crepasse. Il rosato sospirò e mi parve di vedere i suoi occhi cambiare colore. «Va bene. Allora facciamolo.» non ci diede neanche il tempo di replicare che con un gesto secco afferrò il vetro e lo tirò fuori accompagnato da un fiotto di sangue che per poco non ci colpì. Jason lo prese da dietro prima che si schiantasse a terra prendendo un quadratino dorato dai jeans e infilandoglielo in bocca. Sotto gli occhi stupefatti miei e di Coco la ferita si richiuse con un sottile strato di pelle più scura. «Ragazzo capra, i pantaloni. Se glieli leghiamo sul fianco potrebbe aiutare.» proposi. Mi sentivo un po' in colpa a dir la verità, non era in quello stato direttamente a causa mia però magari avrei potuto essere meno brusco, anche se stavamo parlando di Sherlock Plume, quindi non c'era da stupirsi. «Buona idea.» concordò Coco stringendogli il tessuto attorno alla vita e caspita, aveva pure un bel fisico asciutto. Non se lo meritava. Sembrò riprendere colore, nonostante la sua carnagione rimanesse pallida e quando si rimise in piedi regalò a tutti un sorriso abbagliante -in tutti i sensi- la luce ci rimbalzò sopra come nei cartoni. «Questo è strano.» asserì Harold. «Muoviamoci. Dobbiamo arrivare al campo il più in fretta possibile.»

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