Carbone per il mio compleanno.
Mi sono sempre considerato un ragazzo semplice: un'asociale allergico all'umanità.
Avevo solo un'amica dai tempi delle elementari e passavo il mio tempo libero a disegnare, dilettarmi con lo skateboard, guardare serie tv e ogni tanto provare a leggere qualche libro lottando contro la mia dislessia che fa ruotare le lettere come se stessero disputando una gara di breakdance. La mia migliore amica ha lo stesso problema ma riesce a sopportarlo e arginarlo molto meglio di me, ragion per cui almeno una volta al giorno ci ritrovavamo l'uno in casa dell'altro per studiare o almeno provare a farlo. Non scherziamo, si parla pur sempre di adolescenti.
Eravamo appena tornati a scuola dopo le vacanze di Natale -leggasi come una settimana passata a vegetare- Ed era, finalmente aggiungerei, il giorno del mio sedicesimo compleanno. Mio padre: un uomo non molto alto, circa 1.78, dai capelli leggermente lunghi marrone scuro, un filo di barba a contornare la mascella e due occhi verde-blu, solitamente sempre di buon umore e con un onnipresente gentilezza; quando mi alzai quel giorno era nervoso e teso come una corda di violino e invece di ritrovarlo ai fornelli tutto pimpante già di prima mattina a fare i pancakes lo colsi di spalle mentre si rigirava qualcosa di non meglio identificato tra le mani.
«Emh, buongiorno?» tentai.
Fece un salto girandosi verso di me con gli occhi di fuori. Quando vide chi ero sembrò che gli togliessi il peso del mondo dalle spalle. «Cole.» esalò prima di rivolgermi l'abbozzo di un sorriso ed invitarmi a sedermi. «Ho una cosa per te.» lo accontentai sbattendo le palpebre confuso. «Ti avevo detto niente regali papà.» ribadii. Lui mi guardò in modo strano assumendo il suo tipico sorriso di scuse. «È una cosa da nulla, l'ho visto e ho pensato potesse piacerti.» minimizzò scoprendo la mano che aveva nascosto dietro la schiena.
Era una matita spessa, interamente di grafite tranne sul retro: lì dove in teoria ci sarebbe potuta essere la gomma si restringeva in una parte dorata allargandosi nuovamente in cima dove era incastonata una piccola gemma blu. Sembrava lo scatto di una penna per intenderci. Non possedeva carte di nessun tipo di marca ma aveva una specie di crepa dalla merlatura in oro fino al centro. Me ne innamorai. «Oddio papà dove l'hai trovata?» mormorai prendendola, avvertendo una scarica elettrica lungo il braccio a cui non feci molto caso. Lui si mosse a disagio sul posto. «Non importa. -sintetizzò- solo promettimi di tenerla sempre in tasca e di non toccare assolutamente quella gemma senza nessun motivo.» mi ammonì serio come non lo avevo mai visto. Lo guardai perplesso. «E perché mai scusa?» mi rivolse uno sguardo indecifrabile. «Lo capirai.»
Se vi state chiedendo se lo capii, la risposta è sì ma a pensarci adesso forse avrei dovuto solo farmi i fatti miei.«E quindi? Davvero hai intenzione di non toccare mai quella cosa? Neanche per sbaglio?»
Sbuffai chiudendo il mio armadietto e portando automaticamente una mano alla tasca anteriore degli skinny jeans neri che indossavo sentendomi in qualche modo rassicurato nel sentire la forma della matita sotto le dita. «Sembrava molto serio quando me lo ha chiesto e sento che è la cosa giusta da fare.» giustificai. «Ma non sei neanche un po' curioso?» insistette.
Coco McQueen era la mia migliore -e unica- amica dall'alba dei tempi. Con i suoi tratti orientali e il caschetto nero corto fino alla mascella dalla frangetta lunga tanto da coprire le sopracciglia. I suoi occhi color caramello mi stavano giudicando mentre piegava le labbra a forma di cuore in un broncio.
Sbuffai, di nuovo. «Ovviamente, non riesco a star fermo due minuti e secondo te non sono curioso di sapere cosa potrebbe succedere se pigiassi un pulsante?» domandai retorico. Lei annuì compiaciuta della sua vittoria alzando gli occhi al cielo subito dopo. «Ma non lo farai.» concluse. «Ma non lo farò.» ripetei.
Intorno a noi si alzò un brusio che ci spinse a guardarci in torno.
«Eccolo sta arrivando!» pigolò una ragazza lì vicino.
Gemetti frustrato. «Oh ti prego, no! Almeno per il mio compleanno!»
Inascoltato la doppia porta di ingresso si aprì lasciando sfilare la figura slanciata ed elegante del solo e unico Sherlock Plume. La persona che in assoluto meno sopportavo in tutto l'universo.
Ogni volta che passa sembra che la luci si pieghi al suo volere. Tutti lo guardavano, tutti ne parlavano; insomma, alla Goode sembrava essere lui il centro del mondo nonostante fosse -a mio modesto parere- dannatamente ridicolo.
Prendiamo il vestiario: ora, io non sono un esperto e non dovrei giudicare dato il mio armadio contenente solo skinny jeans, felpe oversize, maglie larghe a maniche corte e qualche sporadico maglione o canotta e forse due bermuda di jeans estivi, il tutto rigorosamente nero, grigio, bianco o al massimo blu scuro tralasciando qualche colore delle stampe sui tessuti, ma posso considerarlo il mio stile: sobrio e anonimo.
Guardando Sherlock invece sembra che un negozio di caramelle gli abbia vomitato addosso. Con i suoi jeans a palloncino chiari, le felpe assurde dai colori pastello o dalle forme di Pokémon o altri animali e le Immancabili twisted vacation Converse grigie. Il tutto perfettamente sposato con i piercing -non che abbia qualcosa in contrario- all'orecchio destro, a partire dall'earcuff a forma di acchiappa-sogni dalla piuma indaco e dal secondo earcuff poco più in basso con uno charme a forma di cuore collegato sul foro al lobo tramite due catenelle che si congiungevano poi in un pendente con il ciondolo di un'ala e per ultimo all'interno del padiglione, sul crus dell'elica un daith semplice argenteo con un pallino nero; continuando con i capelli ricci con riga laterale a sinistra, colorati alla radice di bianco e sfumati di rosa con alcune ciocche macchiate di nero. Anche le sopracciglia, di un rosa confetto che mettevano in risalto gli occhi azzurro husky. Ho sempre sospettato che fosse moro sotto tutto quello strato di colore perché le lunghe ciglia erano nere e spiccavano sulla pelle pallida costellata di leggere lentiggini sul naso e sugli zigomi sempre perennemente coperti da un alone rosato come se fosse Heidi, e un sorriso bianco tutto fossette sul volto a cuore. Sulla lingua inoltre faceva capolino un tongue dalla sfera di un lilla pastello metallizzato.
Un unica parola per descriverlo? Eccentrico.
Sentendo la descrizione di un tipo come questo vi viene da pensare per prima cosa che non abbia le rotelle a posto -assolutamente vero- e che sia un idiota e in teoria bullizzato o robe del genere. Sbagliato; era il Presidente del club di teatro, il co-presidente del club di musica, uno dei ragazzi più popolari dell'intero istituto e anche uno dei più intelligenti, entrato qui grazie ad una borsa di studio.
È flemmatico, misterioso e sempre con quel sorrisino enigmatico stampato in faccia.
Non era come quegli idioti della squadra di lacrosse che si muovono in branco: in realtà era sempre da solo, conosceva tutti ma non possedeva affetti come se nessuno fosse degno di tale onere. Quanto egocentrismo.
Ero solitamente costretto a vederlo a lezione -avendo metà dei corsi in comune- e a causa del club di arte -che nonostante le mie proteste mi aveva eletto Presidente- a vederlo per i consigli di istituto oppure per accordarci sulla sceneggiatura degli spettacoli teatrali. È irriverente, sfrontato e in conclusione non mi piaceva e lo odiavo. Lui lo sapeva -lo sapevano tutti- e se ne fregava altamente.
Quando ci passò davanti mi rivolse un sorriso sghembo accompagnato da un occhiolino che io ricambiai con una smorfia facendo ridere di gusto Coco. «Non è divertente.» sibilai osservando sconcertato la schiena di Plume mentre si allontanava notando che la felpa azzurro polvere che aveva indosso possedeva delle orecchie da coniglio sul cappuccio. Lei in risposta rise più forte. «Sì, invece.»
Ci incamminammo insieme verso l'aula di inglese del professor Stockfish. Un tipo apposto, dai capelli brizzolati, gli occhi scuri e la giacca di pelle ricordava un attore di una qualche serie TV. Era un uomo simpatico e un ottimo professore. Il suo figliastro aveva dato qualche problema l'anno prima ed era diventato recentemente padre di una bambina adorabile, Estelle.
Entrammo in classe poco prima del suono della campanella sedendoci vicini. Paul arrivò poco dopo con un caldo sorriso sul volto iniziando a spiegare qualcosa di grammatica.
Io invece attivai il registratore così che una volta a casa potessi riascoltare la lezione. Chi soffre di dislessia aveva il permesso della preside e dei professori, bastava solo che i genitori presentassero la richiesta.
In realtà io e Coco eravamo gli unici -motivo di prese in giro da parte delle grandi menti dell'Istituto- fortunatamente però, sarcasmo e menefreghismo li avevano sempre tenuti abbastanza alla larga.
«Pss, ehi Cole. Non sembra anche a te che Guinevere Smith ci stia fissando?» mi richiamò Coco indicando con il mento la cheerleader nella fila affianco. Seguii il suo sguardo incontrando gli occhi della ragazza che per un secondo mi parvero lampeggiare di rosso prima di ritornare del loro consueto marrone. Quando incrociò il mio sguardo si rigirò colta in fallo. «Chissà che voleva.» scrollai le spalle. «Non lo so e non mi interessa. Lei e la sua cerchia non si mischierebbero mai a noi plebei.» Coco soffocò una risata. «Magari è per via dello sguardo che ti ha rivolto Sherlock.» ipotizzò guadagnandosi una mia occhiataccia. «Mi interessa ancora meno, allora.» sbuffò una risata. «Cinico.»
Il resto della giornata sembrò passare abbastanza tranquillo fino all'ora di pranzo.
«Ti avevo detto niente regali!» mi lamentai. Coco mi fece il verso. «Gne gne. Noi puoi semplicemente stare zitto e accettare? Eravamo in un negozio con mio padre e lui ha notato questa cosa è mi ha detto "Ko, ma domani non è il compleanno di Cole? Perché non gli prendi quello?" E quindi eccoci qua. Vuoi rifiutare un regalo di mio padre, ingrato?» rimproverò bonariamente ghignando. Vedete, Ayashi McQueen è un santo. Originario del Giappone con padre americano, identico a sua figlia tranne che per il colore degli occhi e il carattere. Lui è gentile, comprensivo e pacato. Con una pazienza infinita. Sua figlia invece è un terremoto, iperattiva, competitiva oltre ogni immaginazione, odia perdere e per niente accomodante, irritabile o irritante a seconda di come la vuoi vedere.
Quindi alla fine sbuffai e sedendomi a mia volta al nostro tavolo annuii. Lei allora sorrise soddisfatta tirando fuori dalla tasca un bracciale di gomma semplice nero dei Panic! At the Disco. Ricambiai e lo aggiunsi agli altri tre al polso destro.
Feci per ringraziarla ma mi bloccai vedendo la sua espressione confusa. Seguii il suo sguardo dietro di me osservando Guinevere Smith e Nissa Moore camminare verso di noi con dei sorrisetti inquietanti. Si fermarono davanti al nostro tavolo osservandoci con occhi scintillanti. «Potreste seguirci un secondo, per favore?» cinguettò bionda numero uno.
Io lanciai un'occhiata a Coco. «Facciamo di no.» decisi. Bionda due non sembrò prenderla molto bene tanto che mi parve di sentirla sibilare come un serpente. Guinevere la bloccò sorridendoci in modo sinistro. «Vi prego. Poi vi lasceremo in pace.» la sua voce mi parve così soave che mi ritrovai in piedi prima ancora di averci pensato sbattendo le palpebre confuso subito dopo. Dando uno sguardo a Coco che aveva già iniziato a seguirle mi parve in una specie di trans, così mi affrettai a raggiungerle. Ci portarono nell'aula vuota del professor Stockfish e ne approfittai per scuotere da un gomito Ko. Lei sembrò come risvegliarsi da un sogno e i suoi occhi recuperarono brillantezza. «Come diamine ci siamo arrivati qui?» sbottò. Prima di poterle rispondere una risata da brividi catturò la nostra completa attenzione.
Ora, io non vi ho descritto l'aspetto delle due ragazze perché non mi ci sono soffermato io per primo, però erano molto gradevoli. Ecco, quel poco che avevo notato era stato completamente annullato dallo spettacolo che avevo davanti.
Le gambe snelle di Guinevere lasciate scoperte dalla gonna erano state sostituite da una protesi di quello che supposi fosse bronzo e l'altra era irsuta con uno zoccolo al posto del piede. Le unghie lunghe laccate di rosa erano diventati affilati artigli, sempre smaltate, e dall'inquietante sorriso spuntarono delle zanne mentre gli occhi rossi come rubini ci guardavano come se fossimo il cenone di Natale. Eppure mi sembrò bellissima. La sua compare non era messa diversamente solo che si preoccupò di strapparsi i jeans a palazzo per agevolarsi nei movimenti. «Ma che cazzo?!» urlacchiò Coco alternando lo sguardo da una all'altra. Guinevere rise di nuovo. «Novellini! Siete i mezzosangue più facili da prendere!» si esaltò.
Mi ripresi solo quando Coco mi scosse per un braccio. «Cole dimmi che le vedi anche tu e che non sono pazza.» supplicò fissando le due ragaz- ehm, creature, ecco decisamente meglio. Nissa ci guardò famelica lanciandosi verso di noi con tutte le intenzioni di farci la pelle.
Ora, io non ho idea di cosa feci, solo che un minuto mi vedevo con gli artigli smaltati di rosso della Moore piantati nel corpo, il secondo dopo mi ero tuffato sopra la sua testa rotolando sulla sua schiena atterrando accovacciato dietro di lei facendola sbilanciare, scivolare e permettere a Coco di colpirle la testa con una sedia prima di guardarmi a bocca aperta. «Ma come ci sei riuscito?!» sclerò. Io mi rialzai intontito ricambiando il suo sguardo incredulo. «Non ne ho idea ma voglio andarmene.» affermai trovandola d'accordo. Mi rigirai verso Guinevere che si fiondò accanto all'amica prima di rivolgermi uno sguardo carico d'odio. «Tu...» sibilò aiutando la ragazza a rialzarsi. «Pagherai per questo.» promise questa guardandomi con gli occhi fiammeggianti -letteralmente- di ira. «Èstatounpiacereaddio.» farfugliò la mia migliore amica prendendomi per un polso e trascinandomi di corsa fuori dalla stanza seguiti dalle loro urla. «Tornate subito qui!»
Attraversammo il corridoio deserto finché voltando un angolo non ci scontrammo con niente di meno che Sherlock Plume. Assente al pranzo perché lui doveva essere sempre favolosamente in ritardo -notare l'ironia grazie-.
Lui, salvandomi da una caduta di culo afferrandomi dal polso libero, ci sorrise a suo solito. «Ma salve, dove andate così di corsa?»
Prima che potessi rispondergli con qualcosa di tagliente si sentirono gli stridii delle cose un attimo prima che rispuntassero nel nostro campo visivo. Per un secondo parvero spaesate poi sembrarono aver vinto alla lotteria. «Ohh, ma c'è n'è un altro!» gioì Guinevere.
Coco sembrò esasperata, come se avesse sperato di essersi immaginata tutto. «Ma cosa diamine sono quelle cose?!» sbraitò indicandole con un gesto brusco della mano. Fu più forte di me. «Un incrocio tra il mostro di Frankenstein e un Vampiro.» sputai mordendomi subito dopo la lingua. Se i loro sguardi fossero stati capaci di uccidere, di me sarebbe rimaste solo le ossa sul pavimento.
Sherlock non si scomposte neanche guardando con un sopracciglio inarcato i mostri. «Credo -iniziò inclinando di poco il capo- che siano delle empuse.» disse.
Nissa rise. «Qualcuno ha fatto i compiti a casa.» si complimentò.
Io trovai il tempo di emettere un grugnito frustrato. «Oh ma andiamo! Volete dirmi che mister. Candy ha ragione!? Seriamente?!» mi lamentai.
Venni ignorato e le due si lanciarono nuovamente verso di noi.
Coco evitò un morso alla giugulare roteando verso destra tirando a Bionda uno un calcio sulla schiena. Io invece fui trascinato da PastelBoy infilandoci tra gli armadietti e Nissa evitando i suoi artigli per un soffio sentendone uno prendermi di striscio orizzontalmente sul setto nasale.
Mi separai dal petto di Plume con uno spintone portandomi dietro il suo diabetico profumo di frullato alla fragola. «Potevo benissimo cavarmela da solo Candyman.» ringhiai.
Poi avvertii la tasca dei jeans farsi più pesante e ripresi la consapevolezza di avere la mia matita ancora in tasca.
La tiri fuori rigirandomela tra le dita un paio di secondi. Giusto in tempo perché Nissa l'empusa ci caricasse di nuovo facendomi inavvertitamente premere la gemma.
Un momento prima avevo in mano una strana matita di grafite, quello dopo impugnavo una spada dall'elsa dorata, con il pomolo nero con al centro incastonata la gemma blu e la lama affilata buia come la notte. L'unica cosa che mi fece essere certo dell'identità della spada fu la crepa sulla lama. La stessa che spiccava sulla grafite.
Comunque, la cheerleader si ritrovò infilzata come uno spiedino.
Mi guardò un'ultima manciata di secondi mormorando uno stupidissimo "Oh." Prima di disintegrarsi in una nuvoletta di polvere dorata. «Ma che diavolo!» esclamai scioccato rimirando l'arma nella mia mano.
La sentivo perfetta. Come se fosse stata creata per conformarsi a me. Mio padre mi doveva una spiegazione ma pensai che per quel gioiellino poteva passare tutto in secondo piano.
Guinevere abbandonò per un attimo la mia amica che continuava a sfuggirgli come un'anguilla per concentrarsi sulla mia arma; sembrò impallidire -più di prima- barcollando alcuni passi Indietro. «Ferro dello Stige...» biascicò fissandomi terrorizzata. Ne approfittai: Balzai in avanti e con un gesto secco del polso le squarciai il petto facendole fare la stessa fine della compare.
Dopo una manciata di secondi di silenzio cliccai nuovamente la pietra trasmutando nuovamente la spada in una semplice matita e al contempo sotto le palpebre mi sfarfallarono dei caratteri.
«Che accidenti è quella matita?» domandò sconcertata Coco indicando l'oggetto. Io la guardai dritto negli occhi. «Kάρβουνο.»
Il carbone non è poi tanto male come regalo.Kάρβουνο
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Dark side of the Moon
FanfictionPrimo libro della trilogia History repeats Itself: Cole Morris non è un tipo molto espansivo. Evita accuratamente il contatto umano ed è sicuro che nella sua vita abbia bisogno solo di Coco McQueen -la sua migliore amica- e di suo padre Steven Morri...