Epilogo

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Non so di preciso quanto rimanemmo lì a piangere. Solo che ad un certo punto avvertimmo dei passi avvicinarsi a noi.
«Cole?» alzai lo sguardo ritrovandomi a guardare dal basso Nico Di Angelo e poco dietro di lui scorsi Alabaster che scendeva da una macchina d'epoca. «Nico...» mormorai con la voce rauca a causa delle urla e delle lacrime. Fece un cenno verso mio fratello. «Dobbiamo portarli al campo il prima possibile. La casa di Apollo si prenderà cura di loro.» Nico si accovacciò davanti a me guardandosi intorno. «Riesci ad alzarti?» non risposi e in qualche modo mi trascinai barcollante in piedi appoggiandomi a lui, ignorando volutamente la sua avversione per il contatto fisico. Me lo lasciò fare. «Plume...lui è...?» Nico arricciò il naso. «Non riesco a capire se sia morto o vivo... C'è qualcosa di strano, è come se... Non lo so.» mi afflosciai su me stesso entrando a fatica nei sedili posteriori della vettura accanto a Coco. «C'è una qualche possibilità che riesca a...?»
Sta già morendo.
Il figlio di Ade mi guardò attraverso lo specchietto retrovisore mentre mio fratello metteva in moto. «Non c'è modo di uscire dal Tartaro adesso. Voi siete stati fortunati.» Coco si raggomitolò su se stessa e singhiozzò in silenzio. «Avremmo dovuto salvarlo. Avremmo dovuto fare qualcosa per lui.» biascicò e nessuno disse più nulla.
Guardai passivamente il paesaggio Newyorkese scorrere attraverso il finestrino. Ripensai all'odio che gli avevo sempre riversato ingiustamente addosso, al modo in cui ci aveva nascosto come in realtà stava.

...La luce dovranno però accettare
se la caduta nel buio vorranno evitare,
E salvi tornare...

Siamo stati degli sciocchi. La scelta di Giano era così semplice. Accettare le fandonie di Plume oppure indagare più a fondo. Ero stato stupido, e superficiale.
Era quello il mio più grande difetto.
Sussultai.
Qual è il tuo difetto fatale...?
"La superficialità" mi resi conto con una smorfia e l'amaro in bocca. Era solo colpa mia se Sherlock Plume era morto. Una colpa che mi avrebbe segnato per sempre.
Mi accucciai contro il vetro fingendo di vedere davvero oltre il vetro, oltre il riflesso del mio volto distrutto, oltre il sangue e l'abisso del Tartaro. Gli occhi di Sherlock stavano già iniziato a sparire...

Mi svegliai che ero sull'Olimpo. In un tempio fatto di quarzo rosa e drappeggiato di seta e chiffon dei più svariati colori.
Tutti i colori dell'arcobaleno.
«Cole Morris.»
Voltai lo sguardo verso la cella e rimasi impietrito nel vedere la divina Iride, alta almeno sei metri. La pelle pallida faceva spiccare le lentiggini che sembravano olografiche; gli occhi arcobaleno gelidi come stiletti e i capelli ribelli acconciati in boccoli che intervallavano la copertura nera e le ciocche multicolore.
Indossava un corpetto armatura dello stesso materiale riflettente della lancia di Plume, che tratteneva una gonna con doppio spacco bianca mostrante così i sandali alla schiava parzialmente coperti dagli schinieri in bronzo, così come gli spallacci che trattenevano un mantello semitrasparente dai mille colori. Sembrava pronta per la guerra. «Hai disonorato alla mia richiesta figlio di Zea.» delle ali dorate si aprirono dietro di lei, imponenti e magnifiche. «Mio figlio non meritava la fine che gli hai predestinato e per questo io, Iride dea dell'arcobaleno e dei messaggi funesti vengo ad annunciarti che ti maledico e che quando ti servirà il mio aiuto mi avrai tua nemica, lo giuro sullo stige.» un tuono squarciò il cielo e la luce iniziò a scoppiettare attorno alla mia pelle costringendomi in ginocchio.
«Dovete credermi divina Iride: non avrei mai voluto che finisse così!» urlai a vuoto mentre venivo trascinato indietro nel nulla.

Mi ritrovai boccheggiante e inginocchiato nell'antro di mia madre. Ecuba era distesa sul letto, impacchi di erbe magiche sulle ferite causate da Pixie e incensi per la ristabilizzazione del ch'i. Gale era acciambellata vicino a lei, mosse una delle sue piccole orecchie nella mia direzione ma ignorò per il resto la mia presenza. Ne fui lieto sinceramente.
«Cole.» mi alzai in piedi e carezzai brevemente l'addome dell'ex regina di Troia prima di voltarmi verso la fonte dove mia madre stava facendo riposare le sue membra nell'acqua calda e fumante. Candele profumate ornate di rune sottili fluttuavano attorno a lei trattenute a mezz'aria da mani invisibili. «Madre... State bene, ne sono lieto.» lei scosse la testa. «Questa impresa avrebbe potuto portare alla tua dipartita. Sono egoisticamente contenta che tu sia incolume.» abbassai lo sguardo sul terreno. «Si bhe. Sherlock è morto.» qualcosa sembrò attraversarle appena lo sguardo ma sembrò dissimulare. «Il suo gatto non morto ha fermato la mia Ecuba, senza ucciderla. Purtroppo così come il suo padrone non ha fatto una fine gratificante, ma gloriosa.» mi alterai. «Sono morti! Cosa c'è di glorioso in questo!?» lei sembrò indifferente al mio scatto d'ira. «Lo hanno fatto per una causa superiore. Hanno percorso i sentieri e svoltato a vari dei miei incroci.» mi guardò con quegli occhi tanto simili ai miei. «Le parche hanno in serbo tanto per te figlio mio, per voi tutti.» ero solo tanto stanco e di fato e destino ne facevo volentieri a meno. «Posso chiederti il favore di farmi riposare per un po' senza sogni? Sia a me che Coco... Te ne prego.» mi scrutò a fondo prima di sospirare. Prese una manciata di sali profumati e la soffiò nella mia direzione trasformandolo in polvere sottile che mi investì in pieno. «Come ti compiace...»

La fine è solo l'inizio...

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