VII

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Scappiamo da un drago in tutù.

Per quella giornata Lou aveva proposto di non sforzarci ad usare i nostri poteri ma precisò che il giorno dopo avrebbero invertito le ore con quelle di allenamento fisico e fu felice di sapere che non ero in coppia con l'ammazza-draghi LaRue. Alabaster era partito per New York ed era dispiaciuto di non avermi potuto salutare di persona ma promise che se fossimo passati nei pressi dell'Università e ci sarebbe servito aiuto avremmo trovato la sua porta aperta.
In quel momento ci trovavamo al falò. Estia non si vedeva da nessuna parte e nemmeno Annabeth, o Plume, o Will. «Ehilà come è andato l'allenamento?» ci venne incontro Percy affiancato da Jason, Piper era tra i suoi fratelli e sorelle mentre di Nico neanche l'ombra -questa era pessima-. Coco ridacchiò. «Io mi sono divertita ma non posso dire lo stesso di Sherlock. Lui è in coppia con Clarisse.» rivelò facendo sussultare Jason e mordere il labbro a Percy, probabilmente indeciso se gioirne o meno. «È ancora vivo?» chiese alla fine. Io scrollai le spalle. «Penso che Clarisse lo consideri come un regalo di compleanno anticipato.» il moro si mosse a disagio sul posto. «Pensate che ci stia provando con la mia sapientona?» mormorò guardando Coco. Lei sorrise tiepidamente. «No, non credo. Ma forse dovresti parlarne con la tua ragazza.» propose indicando dietro di lui con un cenno del capo. Lui si voltò incontrando la figura di Annabeth che si dirigeva verso di lui con un mezzo sorriso. «Li stai importunando Testa d'alghe?» chiese. Lui gonfiò le guance. «Macchè, sono qui per dargli dei consigli.» Jason soffocò malamente una risata guadagnandosi un'occhiataccia dal figlio di Poseidone mentre Annabeth inarcò giustamente un sopracciglio. «Tu sei un'incosciente. Ragazzi non ascoltatelo.» noi ridacchiammo. «Tralasciando gli scherzi, le imprese sono pericolose e se avete qualcosa da chiedere cogliete l'occasione di farlo, noi non siamo stati tanto fortunati.» commentò il figlio di Giove facendo annuire concordanti gli amici. Io e Ko ci guardammo brevemente negli occhi poi decisi di parlare. «I... I sogni, cioè possono essere d'aiuto?» Annabeth mi squadrò con i suoi occhi grigi. «I sogni di un semidio, soprattutto se questo è strettamente collegato ad una profezia nascondono sempre qualcosa di più.» dichiarò.

Ero di nuovo fuori, nel cuore della notte, e questa volta non c'era Estia ad occuparsi del fuoco ma solo Sherlock Plume.
Quando fui abbastanza vicino vidi che in mano teneva un allungato cilindro metallico, una sigaretta elettronica, e non una qualsiasi, ma proprio la sua.
«Da dove l'hai tirata fuori quella!?» sbottai lasciandomi cadere lì a fianco. Lui ridacchiò. «Tu in tasca porti spade magiche, io la mia svapo. È un miracolo che non si sia persa o rotta.» rispose prendendo un aspirata per poi sbuffare un perfetto cerchio di fumo rilasciando nell'aria l'odore del liquido al frullato alla fragola. Sospirai storcendo il naso. «Touchè.» ammisi. Passammo una manciata di minuti in silenzio a contemplare le fiamme prima che mi spazientissi. «Come mai fuori questa notte?» chiesi guardandolo. Lui non si girò scrollando le spalle soffiando del fumo. «Cosa ci fai tu fuori stanotte?» rilanciò. Io ridussi gli occhi a due fessure. «Non si risponde ad una domanda con un'altra domanda.» lui abbozzò un sorrisetto. «Ho solo un brutto presentimento.» rivelò rigirandosi tra le mani l'oggetto. Il mio sguardo cadde sulla fasciatura che si intravedeva da un foro laterale della maglia che indossava. «Come va la ferita?» sputai prima di rendermene conto mordendomi la lingua subito dopo. Non mi importava no? E allora perché cacchio glielo stavo chiedendo?
Lui sembrò giustamente sorpreso e gongolai di averlo preso alla sprovvista tanto da portarlo a girarsi verso di me -nuovamente troppo vicino- con le sopracciglia inarcate e lo sguardo confuso. Poi si rilassò sollevando di poco il tessuto. «In realtà è guarita, queste sono per Clarisse. Mi ha riempito di lividi e incrinato una costola. Will mi stava per saltare alla gola. Neanche tre giorni al campo e sono già stato in infermeria altrettante volte.» sbuffò una risata. Io aggrottai le sopracciglia. «Tre volte hai detto? Quella quando siamo arrivati, oggi per Clarisse e poi?» contai. Lui sussultò voltandosi nuovamente verso di me con una leggera patina di panico negli occhi prima di fingere un mezzo sorriso tirato. «Un cambio di bende, tutto qui.»
Prima di poter dissentire si alzò dandomi le spalle. «Buonanotte baddas-boy.» e rimasi lì come un'idiota prima di sentire in lontananza gli stridii delle arpie.

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