Capitolo Decimo.

78 3 0
                                    


[Amy]

Il giorno dopo venne a svegliarmi Saul. «Buongiorno Bellezza! Su, su, alza il tuo bel culetto!» nascosi la testa sotto il cuscino. «Amy? Mi hai sentito?!» diamine, ma dov'era Duff? «Saul, cosa vuoi?» domandai notevolmente scocciata riemergendo dal cuscino. «Ho saputo che fai la consulente per l'acquisto di strumenti, e so anche che ti intendi di chitarre quindi, visto che anche io ho un po' di soldi da spendere, tu mi accompagnerai a comprare una nuova bambina!» «Saul, ma che cazzo dici?» «Dai, per favore! Sii buona e fammi compagnia!» sbuffai. «Scusa, ma Michael dov'è?» «Ah boh, credevo di trovarvi insieme...» mi sedetti sul letto. «Ma come non lo sai?! Slash, davvero?» «Sì, non so dove sia... Qual è il problema?» «Ma come "qual è il problema"!? Sparisce e non te ne preoccupi?» mi alzai. «Ci siamo abituati al fatto che qualcuno di noi esca al mattino presto a fare un giro.» «Ah... Ma non ha avvisato?» «No. Amy, è tutto a posto, sta' tranquilla, dai!» si era accorto della mia apprensione e aveva cambiato atteggiamento. «Allora, mi accompagni?» sorrisi. «D'accordo, casinista...» «Ma che ho fatto??» «Mi hai svegliata con la furia di un tornado!» rise e lasciò la stanza. Il suono basso della sua risata riecheggiò in quelle quattro mura. Era un ragazzo davvero divertente, quel Saul.
Mi stiracchiai, per poi alzarmi, aprire la finestra e prendere una boccata d'aria. Il sole era già alto e i suoi raggi si infiltravano prepotentemente nella stanza, riscaldando l'ambiente e rendendo l'atmosfera più calda, tipica di un mattino ormai vicino alla primavera.
Il risveglio senza Michael era stato davvero strano e sentivo la sua mancanza. Mi ero abituata fin troppo alla sua presenza al mio fianco e quella stanza mi sembrò vuota, riempita solamente dal caos che nessuno dei due si voleva decidere a sistemare.
Decisi di uscire dalla camera. Ero solamente in corridoio e sentivo il gran baccano proveniente dalla cucina. Improvvisamente, qualcuno mi abbracciò da dietro. «Buongiorno Piccoletta...» e ricevetti un bacio sulla guancia. «Buongiorno Rosso.» risposi sorridendo. Sciolse l'abbraccio. «Come mai non sei in cucina con gli altri?» «Vuoi Scherzare? Ma non senti che casino stanno facendo?» «Sì, sento... -Sbuffai alzando gli occhi al cielo- Avete già fatto colazione?» «Sì, scusaci.» «Tranquillo, vorrà dire che prenderò solo un caffè prima di uscire con Slash.» «Con Slash?» «Mi ha chiesto di accompagnarlo a comprare una chitarra.» «Oh Dio, condoglianze! Quando entra in un negozio del genere non ne esce prima di un'ora - quando fa presto.» «Pazienza, è un ambiente che mi piace, non mi peserà.».
Raggiungemmo gli altri in cucina. C'erano Jeff e Steven che discutevano. Appena varcai la soglia, sentii Jeff alzarsi. «Senti, fa' come cazzo ti pare, ok?! Quando avrai una soluzione fammi un fischio.» e mi sorpassò. Lo raggiunsi afferandogli un braccio, lo feci voltare. «Che c'è?» chiese bruscamente. «Ah, sei tu, scusami...» «Jeff, che succede?» «Steven vuole tirare giù un arrangiamento ritmico senza calcolare minimamente le mie proposte. La cosa mi fa incazzare! Perché mai non dovrei avere voce in capitolo?! Faccio anche io parte di questo dannato gruppo, quei pezzi sono anche miei, fino a prova contraria contraria». Era visibilmente alterato: lo sguardo assottigliato, il viso teso e le mani che si muovevano convulsamente. «Lo so, ma conosci Steven, abbi un po' di pazienza...» «E tu conosci me. Pazienza ne ho a sufficienza.» «Ascolta, la parte compositiva l'ho sempre curata anche io... Se ci mettiamo di là tutti e tre e cerchiamo qualcosa che vada bene a entrambi?» mi guardò sgranando gli occhi, neanche avessi detto la cazzata del secolo. «Ma non ci penso neanche!» «Dai, almeno provaci. Non ha senso discutere così.» lo incitai e, alla fine, se pur sbuffando mi seguì. «Amy, e il nostro giro?» se ne uscì Saul. «Rimandiamo di una mezz'oretta, dai...» si svaccò sul divano visibilmente scocciato.
Io, Steven e Jeff ci sedemmo al tavolo e, sotto lo sguardo vigile di Axl che si limitava solamente ad un paio di consigli, riuscimmo a trovare un accordo nel giro di una ventina di minuti. Sospirai sollevata, vedendo il chitarrista e il batterista che si impegnavano dietro il pezzo in modo che andasse bene a entrambi. Erano testardi, Steven sfociava quasi in atteggiamenti infantili, mentre Iz se si fissava su una determinata cosa non lo si riusciva a smuoverlo dalla sua posizione nemmeno pregandolo. Ma erano buoni amici e, come tutti i buoni amici, anche loro sapevano far conciliare i loro differenti punti di vista, con un po' di impegno.
Quando finalmente giungemmo alla fine di quell'apparentemente inaffrontabile lotta, mi alzai dallo sgabello su cui ero seduta e sospirai sollevata. «Steven, ascolta di più Jeff la prossima, ok?» annuì.
A quel punto Mi andai a vestire e poi, finalmente, io e Slash uscimmo.
Ci dirigemmo, a piedi, verso lo stesso negozio di strumenti in cui ero stata con Duff. Appena entrammo venni colta dallo stesso senso di meraviglia e stupore del giorno prima. Quel negozio era veramente pazzesco. Stavolta ebbi l'occasione di dedicarmi molto di più al reparto delle chitarre. Mi stupii di vedere che i miei e i gusti di Slash coincidevano perfettamente, tanto che ci trovammo a provare le stesse chitarre.
Restai senza parole osservandolo suonare: le dita scorrevano fluide e perfette sul manico dello strumento, senza mai sbagliare; gli accenti erano tutti al posto giusto senza mai perdere il senso del ritmo; il suo volto potevo ammirarlo di profilo, notando quanto fossero pronunciate le labbra carnose in confronto al viso magro; la nuvola di ricci castani mi ipediva la vista sugli occhi che, ne ero certa, erano chiusi per concedergli di immergersi ancora meglio in quell'arpeggio che stava eseguendo. Un arpeggio dolce, malinconico forse, che mi trasportò facendomi perdere la cognizione di tutto quello che mi era attorno, per poi farmi rinsavire con l'avvento di pennate marcate e ben scandite in quello che doveva essere il ritornello.
In confronto, io sfiguravo veramente al suo fianco: quel ragazzo era dotato di un talento impressionante. Suonai anche io, limitandomi ad accennare qualche pezzo delle mie band punk preferite, ma fu totalmente diverso. «Ehi, guarda che di Punk-rocker ne abbiamo già uno e ci basta...» borbottò sfottendomi. «E allora? Vi dovrete tenere anche a me.» gli feci una linguaccia. Si avvicinò pericolosamente al mio volto. «Fallo ancora e vedrai come insegnerò le buone maniere a quella lingua.» «Slash, piantala.» «Perché? Devo già chiedere il permesso a McKagan per baciarti? Siete già così avanti?» presi un poco le distanze. «Ma cosa stai dicendo?» «Dai, lo abbiamo visto tutti l'atteggiamento e l'interesse fra di voi...» «Dipende di quale interesse parli.» «Vi piacete un sacco, e non negarlo.» «E invece lo nego! C'è attrazione, stiamo bene, ma non c'è altro.» «Quanto fingi male, ragazza!» «Quanto sei testardo, ragazzo!» esclamai con il suo stesso tono.
Dopo che Saul ebbe definitivamente acquistato una Gibson Les Paul da far girare la testa, uscimmo dal negozio. L'argomento di quella conversazione mi aveva messa non poco a disagio.
Osservai l'ora sull'orologio di un palazzo di fronte. Erano già le sei del pomeriggio. «Saul...» «Mh, dimmi.» borbottò tenendo la sigaretta tra le labbra e offrendomene una. La accesi. «Sono le sei, pensi che Michael sia tornato?» sospirò. «Mi spieghi perché tutta questa apprensione nei suoi confronti?» mi torturai un labbro con i denti, indecisa se raccontare o meno cosa era accaduto quella notte. Fu Saul, con un lieve tocco del suo pollice sul mio labbro, a liberarlo dalla morsa dei miei denti. «Saul, stanotte Lui non è stato bene... Mi ha detto che siete a conoscenza dei suoi attacchi di panico. Mi sono svegliata scossa io stessa dai suoi tremori. Sono preoccupata, è in giro da tutto il giorno e non voglio che faccia cazzate.» «Amy, non puoi preoccuparti per lui in questo modo. Stai tranquilla. Al massino alza un po' il gomito, ma a casa ci torna.» eravamo fermi ad un semaforo ma, con mia grande sorpresa, Saul mi abbracciò cercando di darmi conforto. Ero davvero preoccupata per Michael. Sospirai.
Camminammo per qualche altra decina di metri prima che attaccasse nuovamente bottone. «Secondo me, McKagan ti piace.» «Saul, ti ho detto di smetterla.» «E dai! Ma che ti costa ammetterlo?» «Non mi costerebbe nulla se fosse vero. Ma non lo è!» rise, spingendo il portone del nostro palazzo. «Mai che tu mi dia qualche soddisfazione!» «Scordatelo, ragazzo, di qualsiasi soddisfazione tu stia parlando.» incrociai le braccia al petto. Arrivammo all'appartamento ed entrammo. Axl ci venne incontro. «Siete già di ritorno? Davvero? Credevo che non vi avremmo più rivisti fino a stasera! Quando devi comprare una chitarra ci stai sempre una vita.» «Zitto, Rose. È stata una cosa veloce stavolta, colpo di fulmine, ecco.» «Idiota.» disse il rosso, in tutta risposta. Andai dagli altri. Mi guardai intorno ma di Michael non c'era traccia. «Jeff, Michael è tornato?» «Non ancora.» osservai nuovamente l'ora dell'orologio a muro. Le 18.45. Era davvero troppo tardi. Tornai alla porta. «Non aspettatemi per mangiare, non so quando torno. Vado a cercare Duff.» Axl mi afferrò da un braccio. «Non dovresti uscire da sola.» «So badare a me stessa. » «Me lo auguro.» mi lasciò ed uscii.
Percorsi strade su strade, mi affacciai alle vetrine di vari pub e locali. Osservai perfino delle locandine appese ai muri per sapere se fosse prevista qualche serata in giro. Mi fermai cinque minuti buoni fuori ad ogni supermercato. Guardai nei vicoletti, nei posteggi... Cercai ovunque, chiedendo informazioni anche a qualche ragazzo che passava. Osservai la gente che mi circondava, ma nessuno era abbastanza alto, o abbastanza biondo, o aveva il suo stile o la sua camminata. Nessuno.
Arrivai davanti al cancello di un parco di cui, ancora, non sapevo l'esistenza. Entrai, cauta. Avevo paura di fare un altro buco nell'acqua. Camminai tra le panchine, cercai nei pressi delle aiuole. Ad un certo punto, intravidi una sagoma coricata sull'erba. Stivali, pantaloni stretti, jilet di jeans. Sembrava lui. Velocizzai il passo. Quando lo raggiunsi sospirai sconfortata... Non era Duff nemmeno quella volta. La mia ansia stava crescendo a dismisura, le gambe mi dolevano, le mani tremavano e sentivo le lacrime raggiungere gli occhi. Dove diamine era finito?! Molto probabilmente avevo passato al setaccio un intero quartiere, com'era possibile che ancora non lo avessi trovato?! Non potevo mollare. Ripercorsi la strada al contrario, dirigendomi all'uscita del parco. Osservai, nuovamente, in ogni luogo.
Il sole stava calando e ogni cosa si ricopriva di un velo di rosso e arancione. Davvero fantastico, soprattutto perché quel parco si affacciava su una passeggiata che costeggiava un tratto di mare. Mi persi, cercando di riprendere fiato, ad osservare quel panorama. E fu quello il momento che da tutto il giorno avevo atteso. La mia attenzione venne catturata da una testata di capelli biondi, pressoché ricci e in disordine. Osservai il profilo di quel ragazzo e, finalmente, lo riconobbi. Lo avevo trovato. A separarmi da lui c'erano circa una cinquantina di metri, ma sarei dovuta uscire di lì allungando la distanza.
Iniziai a correre verso il cancello che oltrepassai, svoltai e mi ritrovai in passeggiata. La sua figura sembrava così lontana. Corsi a perdifiato, mangiando velocemente una gran quantità di metri sotto i miei piedi. Lo guardai, notando che quel giorno indossava un paio di anfibi e un chiodo, indumenti che gli avevo visto poche altre volte. Riuscii a raggiumgerlo e, mentre gli afferravo un braccio, lui si voltò nella mia direzione. «Amy?» «Michael!» lo abbracciai stringendolo forte a me. «Amy, ma che cosa ci fai qui!?» «E me lo chiedi? Dannazione, è tutto il giormo che sei sparito!» sentii le lacrime sfuggire al mio controllo. «Cosa succede, piccola?» rabbrividii nell'udire quel soprannome. «Mi hai fatta preoccupare. Dopo quello che è successo stanotte, poi...» mi strinse di più. «Non avresti dovuto preoccuparti così... Mi capita di reagire in questo modo, sento il bisogno di stare solo.» sollevai il volto, trovando il suo abbastanza rilassato più vicino di quello che credevo. «Almeno me, la prossima volta avvisami. Per favore.» «Lo farò.» sorrise. Mi sollevai sulle punte e feci congiungere le nostre labbra. Le sue sapevano di Vodka e sigarette. Mi era mancato quel contatto e in quel momento ne necessitavo in particolar modo.
Durante quel bacio lo sentii stringermi, come se di me ne avesse davvero bisogno. E mi piacque credere che fosse realmente così. Mi era mancato, era la prima giornata, probabilmente, che passavo distante da lui, e ormai era davvero tardi.
Quel bacio continuò, lasciandomi il sapore delle sue labbra sulle mie e un gran casino nello stomaco. Il mio cuore batteva troppo svelto ma, in quel momento, accusai l'agitazione Eppure, una parte di me aveva sinceramente bisogno della vicinanza di quel ragazzo.
Mi lasciai andare alle sue labbra, morbide, umide, rosee, che indugiavano sulle mie.
Era una sensazione bellissima.
E se Slash avesse iniziato a vederci giusto?

~Fall to Pieces.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora