Capitolo Quattordicesimo.

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[Michael]

Osare nei confronti di Amy, si era rivelata solo una grandissima stronzata.
Avevo fatto un buco nell'acqua, buttato al vento parole e sentimenti in cui credevo. Il fatto era che avevo sperato fin troppo che lei ricambiasse almeno un po' ciò che sentivo io, invece no, ero stato solo uno stupido nel perderci la testa. Ma, d'altronde, chi avrebbe mai voluto al suo fianco un ubriacone cocainomane?!
Ma lei era diventata così importante per me. Ogni gesto, ogni bacio, ogni istante io li avrei ripetuti centinaia di volte senza stancarmi mai.
Eppure, da una settimana, ogni possibilità sembrava essere stata troncata.
Amy aveva preso le distanze non permettendomi più alcun abbraccio, un giro per la Susent o in qualche semplice negozio di dischi; non mi era più concesso offrirle una birra, le cose più semplici, insomma, e come ciliegina sulla torta aveva deciso di andare a dormire sul divano lasciando me, solo, in quel letto matrimoniale che avevamo sempre condiviso.
La grande svolta arrivò una sera in cui dovemmo esibirci a Rainbow.
Quel pomeriggio ci eravamo affrontati brevemente, e lei mi aveva propinato per l'ennesima volta la classica pantomima del "non posso essere la ragazza giusta per te" e varie altre cazzate. Non aveva mai capito come realmente la vedessero i miei occhi. La accusai di dire solo balle e lei mi ordinò di starmene delle sue parole, andandosene poco dopo.
Com'era possibile che io e lei fossimo cambiati così tanto? Il nostro rapporto stava mancando di sincerità, complicità, chiarezza, esattamente quelle caratteristiche che avevano preso spontaneamente campo fin da subito. Lei negava, lo sapevo che stava negando qualsiasi cosa le passasse dentro; avevo imparato, almeno un po', a conoscerla e sapevo che soffriva, sapevo che aveva bisogno di qualcuno che si prendesse cura di lei... E, in cuor mio, sapevo di essere io colui che voleva semplicemente perché me lo aveva saputo dimostrare negli ultimi tempi. Ma mi respingeva, diceva di non potere, di avere paura. Anche io avevo paura, ero pieno di paure, sbagli, commettevo un errore dietro l'altro, ma perché ai suoi occhi l'opzione di provare a salvarsi insieme sembrava qualcosa di così complesso e inaffrontabile?
Crollai, buttai a terra una stupida lampada che tenevo sulla scrivania, e mi attaccai alla bottiglia di Vodka accanto al comodino. Mi stupii nel vedere che era già praticamente finita, così uscii dalla stanza e arrivai in cucina, afferrai una nuova bottiglia dalla mensola sotto lo sguardo indagatore di Slash, Steven e Izzy, e poi mi richiusi in camera. Passando, avevo intravisto Amy vicina alla porta del bagno, molto probabilmente occupato da Will. Non capivo se stesse piangendo, l'unica cosa che avevo potuto vedere erano le sue spalle muoversi ritmicamente, smuovendo quella piccola figura raggomitolata su se stessa, con la schiena al muro.
Svitai il tappo, mi sedetti con le spalle all'armadio e poi avvicinai il vetro freddo del collo della bottiglia alle mie labbra, lasciando poi scorrere il suo contenuto liquido giù per la mia gola, sentendolo bruciare.
Dopo vari sorsi, sentii il mio corpo rilassarsi inevitabilmente, tanto da permettermi di alzarmi e vestirmi. Jeans neri, t-shirt dei Ramones, bandana e catene, Convers e chiodo. Pronto.
Con la mia bottiglia mi diressi in cucina. «Cosa succede, Duff?» domandò, la voce di Axl. «Niente.» si alzò dalla sedia, snervato, e sbottando di conseguenza. «Dannazione, siete uguali!» lo osservai. «Che dici?» «Stesse dannate risposte! Ma andate al diavolo tutti e due!» «Ma Vaffanculo Rose!» mi gettai a peso morto sul divano, ignorando la voce del mio cantante che ancora blaterava cose senza un apparente senso. Portai le dita alle tempie, massaggiandole, e inspirai profondamente per qualche istante, nel vano tentativo di rilassarmi.
Una decina di minuti dopo udii una porta aprirsi per poi chiudersi, e dei passi scanditi dalla suola e il tacco in legno avvicinarsi alla cucina. Amy ci raggiunse catturando immediatamente tutti gli sguardi su di sé.
Dio se era bella. Bella e provocante. Peovocante e in pericolo. In pericolo e senza di me. Senza di me, io senza di lei.
Mi tremarono le mani mentre guardavo ogni particolare, dal trucco marcato, al busto lasciato in vista sotto la rete del corsetto, agli accessori...
«Andiamo?» domandò. «Io porto gli strumenti.» affermai, desideroso di non starle troppo vicino per evitare di far scoppiare qualche altra discussione delle quali ero fin troppo esausto.
Saul non perse occasione, offrendole un passaggio e scortandola fino all'auto cingendo le sue spalle con un braccio. Sotto il mio sguardo sparirono all'interno dell'abitacolo e, quando entrai, mi sfogai lasciando un pugno sul volante. «Vaffanculo, Hudson!» mi sfuggì. Poi, con la rabbia che mi ribolliva nelle vene, misi in moto e guidai malamente fino al locale. La macchina del chitarrista era già posteggiata lì fuori.
Entrammo con la strumentazione e, con la coda dell'occhio, vidi Amy appoggiata al bancone con già una bottiglia di Jack Daniel's in mano. Vidi Saul un po' troppo frettoloso nel montare la sua strumentazione, il che mi insospettì; i miei sospetti ebbero conferma quando lo vidi raggiungere Amy al bancone, scherzare insieme, fregarle un sorso dalla bottiglia e procedere con un'ordinazione sua identica a quella della ragazza. In seguito, ci trovammo seduti allo stesso tavolo. In quella posizione potevo osservarla, e non mi risparmiai nesuno sguardo. Passammo così un quarto d'ora e poi, feci un salto in bagni con Saul.
«Ehi, Man, che c'è?» «Saul, è meglio se ti fai i cazzi tuoi. Dammi un po' di roba e non fiatare.» «È per Amy?» tirai una striscia di Coca. «Allora? Ce l'hai con me per lei?» mi voltai, arrivando vicinissimo al suo viso. «Non torcerle neanche un capello, chiaro?» «Non farò nulla se non dettato da lei.» «Oh be', certo, non posso impedirglielo.» «No, non puoi. Michael, cerca di fare chiarezza sulle sue parole. Magari è solo questione di tempo.» sembrava serio. «Intanto te la scopi!» sbottai incazzato. «Non se lei non vuole! Non sono così stronzo, dannazione! Mi conosci!»
Portai le mani al nio volto; ero esasperato da tutta quella situazione, esasperato dalla sua lontananza. Stavo male e cercavo conforto nei vizi. No, ero io quello sbagliato fra noi due. Sospirai. «Abbi cura di lei... Io non posso più farlo.» ammisi, a pezzi, prima di farmi un altro po'. Saul era rimasto ad osservarmi, contro il muro, inerme, senza parole. Poche rare volte, avevo avuto reazioni simili per delle ragazze. Era un mio difetto: ci lasciavo il cuore; sesso, droga e rock n roll, era quella la vita che facevamo ma io non ne ero sufficientemente tagliato, perché sfortunatamente avevo un cuore privo di interruttore.
Lasciai quei cessi puzzolenti e mi diressi al palco, dove, poco dopo, salì anche Slash. Fu proprio lui a dare il via a quel live, aprendo le danze con il suo assolo iniziale di "Sweet Child O' Mine" dagli accenti marcati, un pezzo con carattere. Tra la folla cercai quella chioma castana, solamente la punta di quel corpo da favola. Poi la scorsi, e l'ammirai mentre ancheggiava e muoveva sensualmente il suo corpo.
Quando passammo al pezzo sucessivo, notai un ragazzo avvivinarsi a lei. Aveva un'aria familiare e solo quando alzò lo sguardo vidi che era Vince. Lo conoscevo da anni: faceva parte di una delle varie band contro le quali avevo suonato a qualche Jam a Seattle. Mai mi sarei immaginato di vederlo approdare a Los Angeles. E ancor meno, avrei immaginato di vederlo stringere il corpo di Amy. Le sue mani da batterista si impossessarono dei suoi fianchi e i loro corpi si avvicinarono pericolosamente, muovendosi complici. Poco dopo, lui le sussurrò qualcosa all'orecchio e vidi lei annuire. Alzò il viso nella mia direzione, incrociando il mio sguardo e la mia espressione contrariata. Contrassi la mascella e persi qualche nota sul mio basso.
Amy uscì da quel bagno una decina di minuti dopo, tempo che io suonassi un altro paio di Brani.

Due ore dopo, passato diverso tempo dalla fine del concerto, eravamo di nuovo tutti seduti allo stesso tavolo iniziale. Jeff e io eravamo accerchiati da belle ragazze che avrebbero voluto spassarsela con noi come al solito, Steven e Saul ridevano e bevevano, Axl si consumava le labbra con Erin. Amy mi osservava, si guardava in giro, squadrava ogni ragazza che mi si avvicinasse. Diedi corda a quelle ragazze, complice la Coca che avevo continuato ad assumere e l'alcool che buttavo giù da diverse ore.
Dopo un po', probabilmente stufa di osservare tutto il teatrino che le stavo mostrando, si voltò verso Saul, gli soffiò la sigaretta per poi sbuffargli il fumo in faccia come avevo fatto io con lei non molto tempo prima. Lui sorrise complice e, attirandola a sé, la fece sedere in grembo. Immerse il volto nel suo seno, affondò le dita nei suoi fianchi, la schiena della ragazza si inarcò consentendo un libero accesso alla sua merce. Più vedevo certe scene, più sentivo il bisogno di farmi una per levarmi quelle immagini dalla testa, per sostituire l'incazzatura con l'eccitazione.
Odiai Saul. Odiai Amy.

Un'ora scarsa dopo, eravamo nuovamente nel nostro appartamento. Io mi ero scelto una bionda niente male, con una quinta ben piazzata, un bel punto vita e un fondoschiena stupendo. Ma aveva l'aspetto della solita troia a cui ero abituato; non aveva nulla di dolce, era frettolosa, e avevo il sospetto che volesse da me anche un po' di roba. Saul e Amy non mi diedero un attimo di tregua, continuando a rimanere incollati. Scoccando un'ultima occhiata a quella ragazza, baciai lascivamente la bionda fra le mie braccia prima di portarla in camera. Dopo, non seppi più nulla di quello che successe fra quei due anche se, ad essere onesti, non serviva molta immaginazione per capirlo.
Me ne infischiai delle buone maniere e spogliai avidamente il corpo di Pierce, così si chiamava la bionda. Finimmo presto sul letto, nudi, aggrovigliati e, senza troppe cerimonie, la penetrai. Più pensavo a amy e Saul insieme e più aumentavo il ritmo. La ragazza sotto di me si dimenava, lanciava urletti e gemeva vergognosamente. Fui prigioniero di un continuo e sempre più rapido contrapporsi delle immagini di Amy, di lei e Saul insieme, del volto sudato e arrossato di Pierce sotto di me.
Amy. Saul e Amy. Pierce.
Amy. Saul e Amy. Pierce.
Amy. Saul e Amy. Pierce.
Improvvisamente, tutto si spense per qualche istante: l'eccitazione aveva preso il sopravvento come da me desiderato ed eravamo venuti insieme. Mi scostai subito, lasciandola distesa in mezzo al letto. Mi sedetti sul bordo del materasso tornando a dedicarmi alla mia bottiglia e mi accesi una sigaretta. Pierce crollò pochi istanti dopo. Mi sentii in colpa, e affogai quel sentimento nell'alcool e non solo.
Il mattino dopo compii un disastro. Durante la notte mi ero fatto e quando la bionda nel letto si svegliò, se ne accorse subito. Mentre si rivestiva, mi fece una proposta «Ehi, Duff, perché non la condividi?» «Con te? Manco morto.» risposi, apatico. «Certo, con me!» «Senti, vattene, d'accordo?» «Mi stai cacciando?» «Sì, non farti più vedere.» mi voltai dall'altro lato, senza nemmeno più guardarla. «Sei un verme!» mi girai nuovamente nella sua direzione, adirato. «Ma che cazzo ti aspettavi, una proposta di matrimonio, forse!?» «Non puoi trattarmi così!» «Allora non andare in giro a fare la troia! Mi sei servita solo per una scopata, adesso vattene!» ero fuori di me, sull'orlo di un crollo. Lei aprì la porta e, andandosene, urlò ancora. «Vaffanculo, McKagan!» «Sì, Vaffanculo!» e le chiusi la Porta D'entrata.
Tornando indietro, vidi Amy uscire in corridoio. «Ehi, che è successo?» domandò. «Perché non torni da Slash? Non ti sei divertita abbastanza?» mi uscì quella frase con amarezza, delusione. «Michael, smettila.» «Ah, sono io a doverla smettere, vero?» mi sorpassò, dirigendosi in cucina. L'afferrai per un braccio e si voltò.
«Dannazione, ma che cosa devo fare io con te, si può sapere?!» domandai. «Lasciami. Dimenticami. Per favore.» le tremò il labbro, sbattè le palpebre. «Dimmi che non ho buttato tutte quelle parole al vento, che non ho distrutto il nostro rapporto... Dimmelo, per favore.» implorai. «Non avrebbe senso.» «Perché?» «Perché il nostro rapporto è inevitabilmente cambiato.» soppesai le parole appena ricevute.
«È cambiato qualcosa anche per te?» «Non posso, Mike... Non chiedermelo ancora.» abbassò lo sguardo. «Non posso permettermi e permetterti di costruire qualcosa, cerca di capirmi.» «Non ci riesco.» ammisi.
«Ho fallito, ho perso ancora una volta.» mormorai passandomi una mano sul viso. Poi la guardai: le labbra corrucciate, gli occhi lucidi, le mani serrate e il respiro acellerato. Non attesi un istante di più e mi precipitai sulle sue labbra. Inizialmente non rispose, ma poi assecondò ogni mio movimento. Ci dirigemmo al tavolo, dove, sollevandola, la feci sedere senza mai lasciare le sue labbra.
Mi sembrò di rivivere il pomeriggio in cui la baciai per la prima volta.
La strinsi a me, divorai le sue labbra, assaporai il suo respiro, memorizzai il suono della sua voce mentre bisbigliava il mio nome.
Non riuscivo a fare a meno di quella ragazza, era più forte di me.
Ma ancora non sapevo che avrei dovuto imparare a farci l'abitudine.

~Fall to Pieces.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora