Capitolo Undicesimo.

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[Michael]

Ci fu una notte in cui, pur avendo accanto Amy, qualcosa in me prese il sopravvento. Era un problema che mi portavo dietro da fin troppo tempo ma che, fortunatamente, da quando avevo accanto lei non si era più ripresentato... Fino a quella notte.
Mi svegliai raggomitolato su me stesso in preda ad un attacco di panico, con gli occhi sbarrati e il mio corpo che tremava senza contegno. Dei brividi freddi mi attravarsavano la spina dorsale per poi diramarsi ovunque. Il mio respiro affannato e il panico crescente. Amy, al mio fianco, si svegliò quasi subito, si voltò nella mia direzione e realizzò immediatamente ciò che mi stava succedendo. Purtroppo, avevamo in comune anche quello. Mi scosse un po' dalle spalle per aiutarmi a emergere da quell'orribile sensazione, ma non funzionò. Corse in cucina a prendermi dell'acqua, ma non era la cosa giusta per calmarmi. Le chiesi di passarmi la Vodka che tenevo accanto al comodino, e dopo qualche lungo sorso iniziai a sentire i tremori attennuarsi.
Dopo un po' mi tolse la bottiglia dalle mani, riponendola dove l'aveva precedentemente presa; si sedette accanto a me sul letto e poi mi strinse affettuosamente fra le braccia. Con dolcezza mi accarezzava i capelli, il volto, le braccia. Mi calmai.
Dopo diverso tempo lei si riaddormentò, ma io continuai a bere, timoroso che, addormentandomi, un nuovo attacco di panico mi avrebbe colto.

Giunsi così alle nove del mattino, orario in cui decisi di uscire.
Mi alzai dal letto facendo attenzione a non svegliare Amy, e presi qualcosa da indossare. Uscii dalla camera e incontrai Izzy. «Duff, dove stai andando a quest'ora?» «Esco.» «Hai di nuovo passato la notte a bere?» «Jeff, fa' finta di non avermi visto. Non so quando torno. A più tardi.» tagliai corto per poi uscire. Mi ero approfittato della lealtà di Iz, del suo mantenere la parola quando prometteva qualcosa. Il fatto era che, in determinate situazioni sentivo di non poter parlare con nessuno. Nemmeno con lui, il quale sapevo che mi avrebbe potuto ascoltare, calmare, comprendere. Ma avevo unicamente bisogno di stare da solo, di camminare o, eventualmente, suonare.
Passai tutto il giorno in giro, tra negozi di dischi, locali, attraversai probabilmente due quartieri senza nemmeno sapere dove stavo andando.
La mia lucidità era andata a farsi fottere e peggiorai le cose quando mi trovai davanti a un vecchio amico, Aaron, che mi propose di andare a casa sua. Era un ragazzo sulla ventina, tipico stile da metallaro di quella città e di quel periodo, che avevo conosciuto poco dopo essermi trasferito a Los Angeles con il quale avevo condiviso parecchie bevute, live decisi all'ultimo minuto per ravvivare la serata... E molta, molta eroina. Diceva che aveva fatto rifornimento e che voleva condividere con me quello che aveva. Accettai come un idiota.
Salii a casa sua, pochi portoni più in là a dove ci eravamo casualmente incontrati. In quell'appartamento piccolo, angusto, mal illuminato con del plexiglas al posto dei vetri delle finestre e l'arredamento scarso e di bassa qualità, dividemmo un bel po' di roba. Passai sei ore a dormire sul suo divano cigolante, con le molle che mi si conficcavano nella schiena recandomi un fastidio che percepivo solamente in parte da quanto ero fatto.
La mia vista annebbiata e il mio cervello allucinato proiettavano sulla moquette verde militare e scassata, strani movimenti prodotti da ancor più strani esserini che io mi divertivo ad osservare come un idiota, stupito dalla velocità dei loro movimenti, finché non crollai esausto. Almeno, quando mi svegliai la mia testa era tornata in uno stato decente, limitandosi ad un vago annebbiamento.
Aaron non era più in casa così lasciai l'appartamento. Riversai nuovamente me stesso in quelle strade affollate.
Avevo passato l'intera giornata a bere birra scadente e di basso costo dei supermercati che trovavo sulla strada che percorrevo da ore, e a farmi. Quando mi sedevo a riposarmi tiravo fuori quel poco di fumo che avevo riposto nel taschino chiodo che indossavo: ne approfittavo per girarmi qualche spinello. Era da tanto che non cedevo in quel modo a quei vizi, ma la mia testa aveva bisogno di tacere, di dimenticare le orribili sensazioni di quella notte.
Passeggiavo quando mi accorsi di essere giunto in un luogo in cui si rivelò sensazionale ammirare il tramonto. Le luci rossastre illuminavano qualsiasi cosa incontrassero. Trovandomi davanti a quel panorama, pensai a Amy e a quanto amasse il tramonto; il rosso rievocò il colore del rossetto che le avevo visto applicare qualche volta, rendendo le sue labbra corpose così provocanti, e facendo risaltare il colorito chiaro della sua carnagione. Il calore di quei colori e del sole stesso, mi ricordarono quello che mi trasmetteva lei standomi semplicemente accanto o abbracciandomi com'era accaduto quella notte e in altre situazioni.
Mi accorsi di quanto mi mancasse e quanto le ero affezionato. Di quanto fosse diventata importante nelle nostre vite e di come non avrei mai saputo farne a meno. Della serenità che aveva acceso nella mia vita e delle ombre che attanagliavano il suo cuore. Dei sorrisi che ci donava e di quelli che lei sforzava, oppure ostentava. Di come sembrasse spavalda e sicura di sé e di quanto, invece, fosse piccola, fragile, insicura, ferita e delusa dalla vita e dalle persone che da sempre ne avevano fatto parte.
Avevo bisogno di rivederla; né l'alcool, né la Coca, -che ormai avevano già fatto il loro corso lasciandomi in un generale torpore- né la solitudine erano state sufficienti per darmi anche solo un decimo del bene che mi dava lei. Decisi di dirigermi verso casa, consapevole che mi ci sarebbe voluto molto tempo.
Chissà se Amy era incazzata con me, preoccupata o se invece si stava semplicemente divertendo con gli altri? Era probabile che stesse provando insieme a Slash, infondo, aveva detto di voler ricominciare a suonare in un gruppo e si stava davvero impegnando per recuperare l'anno perso.
Era un'ottima alunna alle mie "lezioni" di basso e aveva una grinta pazzesca, tabto da suscitare in me una grande ammirazione nei suoi confronti.
Senza rendermene conto era nuovamente finito a pensare a lei e ultimamente mi capitava spesso. Il fatto era che quel viso così dolce, i suoi occhi che sembravano capaci di leggermi l'anima, le labbra così perfette e deliziose da baciare e assaporare; il suo essere timida, riservata, ma allo stesso tempo incredibilmente socievole, quasi come volesse trovare il suo posto in un determinato ambiente ma decidendo lei stessa chi far entrare nella sua più intima sfera. Aveva una personalità che era stata capace di stupirmi fin da subito, un bel carattere, una testina piuttosto dura, ma un cuore grande e un animo buono.
Senza ombra di dubbio, la vita le aveva insegnato molto, ma lei era rimasta la buona ragazza che era, se pur un poco più forte. Desideravo scoprirla, conoscere ogni cosa di lei, starle accanto... Desideravo quella ragazza con tutto me stesso. L'avevo avuta una notte, ma non mi era bastato: io desideravo lei, non solo il suo corpo. Desideravo dimostrarle quanto vi tenessi, quanto vi fossi affezionato, quanto per me avesse importanza il rapporto che c'era tra di noi. E avrei tanto voluto che riuscisse a salire di nuovo su un palco con un gruppo in cui lei credeva e che potesse portare in giro la sua musica come avevo avuto la possibilità di fare io.
Qualcuno che camminava svelto alle mie spalle, mi distrasse. Mi voltai e vidi proprio colei alla quale stavo pensando. Amy cercava di raggiungermi e ci riuscì, afferrando il mio braccio e pronunciando il mio nome. I miei occhi increduli osservarono la figura di quella ragazza che era venuta a cercarmi. Ci abbracciammo. Mi strinse forte e la cosa mi stupì.
«Amy, ma cosa ci fai qui?!» «E me lo chiedi? Dannazione, è tutto il giorno che sei sparito!» vidi i suoi occhi farsi lucidi e qualche lacrima rigò le sue guance. «Cosa succede, piccola?» mi uscì spontaneo chiederle, forse con un po' troppa dolcezza. «Mi hai fatta preoccupare. Dopo quello che è successo stanotte, poi...» la strinsi più forte. «Non avresti dovuto preoccuparti così... Mi capita di reagire in questo modo, sento il bisogno di stare solo.» ero dispiaciuto nel vedere che l'avevo fatta preoccupare, ma la sua presenza infuse dentro di me una calma incredibile.
Mi avvicinai al suo volto: volevo osservarla negli occhi e possedere le sue labbra. Mi pregò di avvisarla la prossima volta in cui mi sarei sentito così e subito mi pentii di non aver chiesto a Jeff di rassicurare almeno lei - le promisi che lo avrei fatto. Dopodiché, compì un gesto così spontaneo che mi stupì: si sollevò, annullando la poca distanza che era rimasta tra i nostri volti, e mi baciò. Non credevo che avrebbe preso lei l'iniziativa.
Nonostante lo stupore, il piacere di quel contatto mi trascinò, lasciando che le mie labbra assaporassero le sue come avevo desiderato. La strinsi a me cingendole la vita con un braccio e accarezzando dolcemente il suo viso con l'altra mano. Ciò che avevo provato quella sera in auto quando le nostre dita si erano intrecciate, quello che avevo sentito andando a letto insieme, riemerse fortemente con quel bacio. Rabbrividii. Il battito accelerò, tutto il resto scomparve.
Diamine, quanto tenevo a quella ragazza.
Non poteva scapparmi, non l'avrei permesso.
Avevo bisogno di Lei.

~Fall to Pieces.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora