Capitolo Sedicesimo.

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[Michael]

Passarono i mesi e di Amy non ebbi più notizie.

Era sparita nel giro di una notte lasciando un vuoto incolmabile all'interno del gruppo, nella nostra quotidianità e in me. La sua assenza gravava su qualsiasi cosa; niente era più come quando lei viveva con noi: la mattina non c'era nessuno a prepararci il caffè e la colazione, alla sera non c'era più nessuno a bere e scherzare con noi per poi arrivare a casa e darci la buonanotte; nel mio letto non c'era più colei della quale mi stavo innamorando.
Perché, d'altro canto, come si poteva non innamorarsi di una ragazza come lei? Le qualità che da sempre cercavo le aveva tutte, non peccava in nulla, mi dava amore, costituiva il mio riparo in ogni situazione, se c'era da scherzare si scherzava ma al momento giusto sapeva sfoderare quella saggezza che da sempre mi aveva stupito e affascinato. E poi era Bella, Dio solo sapeva quanto ai miei occhi fosse perfetta. Ma lei non si amava abbastanza, e io non avevo fatto sì che si innamorasse, almeno un po', di se stessa. Avevo fallito.
Ormai erano più i mesi passati lontani l'uno dall'altra, di quelli vissuti assieme, durante i quali la sua mancanza mi logorò ma, forse, mi ritrovai ancora più innamorato di lei.
Mi accorsi realmente di quanto mi pesasse la sua assenza e di quanto fosse stato speciale tutto ciò che avevamo vissuto, dal primo all'ultimo sguardo, dal primo all'ultimo bacio. Mi mancava perdermi in quello sguardo indagatore, ferito, vissuto, forte e simbolo di una rinascita che tentava in ogni modo di attuare ogni giorno. Mi mancava perdermi in lei come accadeva quelle poche volte in cui avevamo fatto l'amore -perché, ne ero convinto, era quello che avevamo fatto-; non mi perdevo in lei solo fisicamente, ogni parte di me era fusa al suo essere, eravamo una cosa sola e lo percepivo in ogni istante. Mi mancava il suo fare materno con me e con gli altri, mi mancavano i suoi abbracci, il suo sorriso... mi mancava la unicità.
Mi mancava tutto di lei.

Uno che sembrava non accusare troppo l'assenza di Amy, era Jeff.
Sapevamo tutti quanto dimostrasse il suo stato d'animo in modo alquanto singolare, ma mi stava realmente stupendo il suo atteggiamento. Insomma, tutti andavamo avanti, conducevamo la nostra vita, ci preparavamo per i live, ma lui era diverso da ognuno di noi: mai una volta che proponesse un brindisi ai vecchi momenti insieme, mai una volta che l'avessi visto crollare, mai una volta che affermasse che quella ragazza gli mancava. Forse, a insaputa di tutti, stava continuando a mantenere i contatti con Amy, o forse no; forse era semplicemente il suo modo di reagire al distacco, senza guardare indietro in modo troppo profondo arrivando a star male come me, forse era tanto bravo da far emergere solamente il suo lato più forte. Forse quella mancanza stava rafforzando Jeff facendo sì che evolvesse la sua sensibilità in modo positivo, un poco più razionale.
Ma erano tutti "Forse".

Durante quei sei mesi non ci fu nulla che cambiò più di tanto: la vita a L.A. era sempre la stessa, caratterizzata da un'altalenante ritmo tra le serate nei pub passati a bere e le serate nei pub passate a suonare. Tutto regolare.
Axl continuava a portare avanti il rapporto con la sua compagna, Saul continuava a fare danni in giro così come Steven e Izzy. Io mi diedi al divertimento solo dopo un paio di mesi, consapevole che dovevo dimenticare Amy, in un modo o nell'altro. La droga scorreva a fiumi, così come l'alcool e le donne. Non ci mancava nulla e la nostra notorietà stava crescendo.
Il lavoro ai brani si rivelò piuttosto produttivo rendendoci soddisfatti e orgogliosi della nostra musica. Ogni fatto era un buon pretesto per trovare ispirazione per un testo nuovo o per un riff piuttosto che per un arrangiamento. Tutto proseguiva "bene".
Fino ad una sera.

Decidemmo di tornare a Seattle dopo molto tempo. No, non eravamo lì per suonare, ma solamente per svagarci in qualche luogo differente, un modo per spezzare la routine.
Entrammo in un locale di quelli veramente fighi, che mi ricordavano gli anni passati nella mia città, nei quali la musica underground prendeva campo, conquistava gli scapestrati dai quattordici ai vent'anni e più; di quelli con i muri scrostati che davano a vedere i mattoni rossi al di sotto dello spesso strato di intonaco, con i tavoli disposti disordinatamente, la gente dalle creste colorate con tonalità dal verde al blu, per non parlare delle ragazze con capigliature di un rosa sgargiante. L'odore di alcool era forte - un segno nemmeno poi così distintivo. Ero riuscito a trascinare con me Iz e Saul in uno dei pochi rimasti locali Punk del momento.
«Cos'è questa roba?!» domandò con tono sprezzante Saul. «La mia infanzia, scimmione.» «Ancora con questo appellativo?! Ma la smetterete mai?!» «Smettila tu, siediti e goditi la serata. E, soprattutto, fidati di me, ti piacerà.» ammiccai. «Chi suona?» domandò semplicemente Iz. «Non li conosco, si chiamano "Krueger", ma questo è un posto in cui arrivano le band migliori. Fidatevi di me per una buona volta!»
Tornare in quel luogo dopo così tanto tempo mi faceva un certo effetto e sentivo l'eccitazione crescere. "Wow!" pensai.
Le luci calarono appena qualche istante dopo l'arrivo delle nostre ordinazioni. Mi misi comodo sullo sgabello ove avevo preso posto e attesi l'inizio del concerto. Ero tranquillo, anche se una parte di me mi suggeriva che, quella, sarebbe sa una serata diversa dalle altre.
Ignorando i mormorii scocciati di Saul al mio fianco, volsi lo sguardo al palco cogliendo i primi movimenti: i musicisti stavano salendo sul palco.
Un potente riff di basso diede il "via" e poi, prima la batteria e poi la chitarra, lo seguirono a ruota. Le luci si riaccesero un poco, dando un volto ai musicisti. Da quel poco che potevo scorgere dalla distanza a cui mi trovavo, non riconoscevo nessuno, almeno finché il batterista non catturò la mia attenzione: Vince. Era un ragazzo della mia età contro il quale mi ero trovato a disputare qualche jam, finendo sempre per vincere. Ecco perché invidiava così tanto la mia carriera, ma ormai erano problemi lontani. Scorrendo i volti di quei quattro personaggi, arrivai alla bassista; già, una ragazza, proprio quella ragazza della quale avevo sentito vociferare fuori da quello stesso locale. Non ne avevo colto il nome, ma gli elogi sì. E dovetti confermare ciò che avevo udito: la ragazza ci sapeva fare davvero. Aveva qualcosa di unico, che le permetteva di emergere e far spiccare il suo talento. Onestamente, credetti di ascoltare qualcosa di già sentito, familiare.
Fu quando la guardai che la riconobbi: quel fisico indimenticabile era più magro di quanto ricordassi, le dita scorrevano sul manico del basso consapevoli, decise, l'abbigliamento provocante che disegnava perfettamente ogni sua curva... e poi quel volto che non era mai stato innocente e stupido, ma conoscitore di realtà a me non del tutto svelate; gli occhi chiusi, i muscoli del volto rilassati se pur lasciassero trapelare la concentrazione che stava impiegando in quel che faceva. Aveva anche tinto i capelli di qualche tonalità più scura di castano, aggiungendo un accenno di blu sulle punte.
La osservai a lungo mentre sorseggiavo il mio bicchiere di whiskey. Scrutai ogni particolare, comprese le labbra tinte da un rossetto scuro, forse un'estrema tonalità di rosso, vicino al bordeaux. La sua voce dava corpo ai pezzi, emergendo nel coro. Era Bella, Potente, una musicista Vera come avevo sempre sognato di vederla, conoscere quel lato di lei che mi aveva concesso solamente di assaggiare.
«Duff?» mi chiamò Saul. «Mh?» «Quella è Amy, o sbaglio?» «No, non ti sbagli Saul... È lei.» ciò che mi colpì fu Jeff, che non sembrava affatto provato nel vederla sul palco. «Jeff, credo che tu debba raccontarmi qualcosa.» dissi, una volta che il dubbio che quei due avessero mantenuto i rapporti si intesificò. «Sì, credo anch'io.» rispose, serio. «Ti ascolto.»
«Non ho mai realmente interrotto i rapporti con lei.» centro! «Perché?» «Perché non riuscivo a fare a meno di sentirla e lei non ha mai posto resistenza alle mie attenzioni.» «Di quali attenzioni stai parlando?» domandai, distogliendo lo sguardo che, fino a quell'istante, era stato fisso sul palco. «Le mie lettere, o telefonate... qualche volta sono andato a trovarla. Nulla di particolare.» lo osservai per qualche istante, in silenzio. «Vaffanculo.» esordii, dopo un po', sbattendo il bicchiere in vetro sul tavolo e alzandomi. «Dove vai?» mi chiese, alzandosi anche lui. «Non lo so, lontano da te.» non sapevo davvero dove volevo andare. «Non reagire così Michael.» «E cosa dovrei fare?! Abbracciarti e dirti "Wow fratello, mi hai tradito ma sei il migliore"?! Vaffanculo, vaffanculo! E non provare a seguirmi!» ormai stavo urlando. Lasciai il tavolo sotto lo sguardo attonito di Slash il quale lasciava pendere dalle labbra una sigaretta senza fare un tiro da troppo tempo, data tutta la cenere che notai essersi accumulata.
Avevamo dato nell'occhio, tanto che qualcuno dei presenti si era voltato nella nostra direzione, il cantante della band compreso. Sentii che annunciò il brano successivo, mentre mi dirigevo all'uscita. «Visto che abbiamo degli ospiti alquanto graditi, direi di omaggiarli con una cover che so bene quanto sia amata specialmente da uno di loro: "New Rose" dei Damned!» sì, amavo quel pezzo. Mi voltai verso il palco e appena incrociai lo sguardo di Amy, mi convinsi ad uscire in fretta da quel locale.
Mi sbattei la porta del locale alle spalle, imprecando. Poi mi portai una sigaretta alle labbra e l'accesi. Mi ero concesso una sera, una fottutissima sera fuori Los Angeles. Iniziai a domandarmi se fosse stata solamente la serata sbagliata o se quella verità sarebbe ugualmente venuta fuori, prima o poi. Fatto era che, tra l'aver rivisto quella ragazza e aver appreso da Jeff ciò che alle mie spalle faceva da mesi, mi ritrovavo scosso, incazzato, demoralizzato, ferito, e chissà cos'altro c'era che attanagliava il mio animo in quel momento.
Ma, a quanto pareva, ciò che avevo passato quella sera non era ancora abbastanza. Non potei concedermi nemmeno un po' di solitudine dato che la porta vicino a me si aprì, concedendo a quell'estranea persona di raggiungermi.

~Fall to Pieces.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora