Capitolo Diciasettesimo.

58 2 0
                                    

[Amy]

Le corde del mio basso vibravano sotto le dita e con esse la mia anima. Amavo fare musica, amavo stare sul palco, amavo tutto ciò che in quell'istante stavo vivendo. Ecco perché da mesi tacevo il prezzo che aveva la mia passione, sapevo che se avessi reagito avrei perso tutto, e l'opzione di tornare a Los Angeles dai ragazzi era assolutamente fuori discussione. Come avrei potuto guardare nuovamente negli occhi Michael dopo essermene andata come una codarda lasciando solamente una stupida lettera? Avrei dovuto semplicemente farcela da sola come sempre.

Una persona con la quale non ero proprio riuscita a chiudere i rapporti era stato Jeff. Aveva tentato di ricontattarmi un mese dopo la mia partenza e quel suo tentativo ebbe successo, mi trovò.
Una sera stavo uscendo dalla sala prove quando me lo ritrovai di fronte, stanco dal lungo viaggio, ma sorridente. La sua espressione mi era bastata per capire che non provava alcun rancore nei miei confronti. Venne verso di me, eliminando quei pochi passi che ci separavano, e mi strinse in un abbraccio forte, duraturo, affettuoso. «Eccoti, Piccola Amy.» aveva sussurrato dolcemente. Lasciai scorrere qualche lacrima di commozione. Non potevo credere che quel ragazzo avesse fatto così tanta strada solo per trovarmi. «Jeffrey... Quanto mi sei mancato.» «Anche tu, moltissimo.» senza pensarci due volte salutai i miei compagni di band per poi dirigermi con Jeff al primo pub che trovammo nei paraggi.
Quella sera ebbi l'occasione di ritrovare un fratello, una persona speciale, e scelsi di coglierla quell'occasione, di farne tesoro.
Nei mesi successivi riuscimmo ad incontrarci qualche altra volta e la nostra corrispondenza via posta avveniva regolarmente circa un paio di volte al mese. In quelle lettere mi scriveva dei progressi della band nel realizzare nuovi brani, ma anche di come procedeva la vita nell'ormai lontana Los Angeles. Ogni tanto capitava che mi inviasse anche qualche accenno dei testi che scriveva e leggendo quelle parole potevo facilmente immaginarlo con il capo chino sul foglio bianco, la sigaretta perennemente accesa nella mano sinistra, qualche birra o un bicchiere di whiskey di fronte a sè, seduto al tavolo dell'appartamento dove li avevo lasciati, a notte fonda mentre tutti già dormivano o, magari, erano in giro preda delle notti brave.
Anche io raccontavo dei miei live, dei pezzi che tiravamo su, della serate per locali, della mia vita a Seattle. Sembrava che quella corrispondenza si fosse trasformata in una specie di diario; mi mancava e non omettevo mai di dirlo, idem lui. La distanza gravava in ambo le situazioni, ma riusciva a farmi sentire la sua presenza, riuscivo a sentirlo vicino nonostante gli innumerevoli chilometri che ci separavano. Era dura, ma avevo fatto una scelta e non mi restava che onorarla.

Quella sera, bastò un nulla perché alzassi lo sguardo e scorgessi, in mezzo alla folla, tre capigliature a me alquanto familiari. Uno folta chioma di ricci bruni copriva il volto di un ragazzo dalla pelle mulatta, le labbra spesse, gli occhi profondi e scuri; una cascata scompigliata di capelli corvini e lisci, cadeva a ricoprire, se pur parzialmente, il volto dal colorito cadaverico di un giovane dall'anima perduta; infine, una massa di capelli semi ricci, biondi e con la solita ricrescita castana, evidenziava la presenza di un ragazzo che fino a qualche mese prima si era preso una parte di me senza che nemmeno me ne rendessi conto.
Saul, Iz e Duff erano seduti in fondo al locale, dietro la folla di gente che pogava e produceva caos da sotto al palco. Sembrava stessero parlando di qualcosa di importante date le espressioni serie dipinte sui loro volti, e la schiene ritte. Vidi Michael alzarsi bruscamente dal posto in cui sedeva e poi quasi urlare a Jeff. Qualcosa non andava. I due continuarono in un breve botta e risposta finché il biondo non si allontanò visibilmente alterato.
Fu proprio quello l'istante in cui il mio cantante lo notò. Ebbe la brillante idea di annunciare un cambio di scaletta: sapeva tutto di me, di Michael e, ovviamente, non perse occasione per rigirare il coltello nella piaga annunciando una delle canzoni che amavamo entrambi, ossia "New Rose" dei Damned. Nel frattempo continuai a seguire con lo sguardo Michael che si avviava all'uscita. Si voltò un'ultima volta nella mia direzione incrociando il mio sguardo.
Non ero più sicura di amarlo, in quel periodo mi ero svuotata di qualsiasi affetto provato prima del mio arrivo a Seattle, fatta eccezione per Jeff, ma quello che lessi in quegli occhi verdi nel giro di qualche frazione di secondo mi lacerarono nuovamente la ferita che con fatica avevo tentato di ricucire. Poi scomparve dietro la porta dell'uscita.
Restai scossa per tutto il resto del brano, sbagliando gli accordi ed uscendo dallo schema ritmico che avrei dovuto seguire, tanto che Vince mi richiamò, imprecando. L'unica cosa che desiderai in quel momento fu quella di sparire.
Che cosa ci facevano insieme a Seattle?!
Dopo qualche breve istante, vidi Jeffrey alzarsi, sussurrare qualcosa a Saul per poi dirigersi dall'amico.
Non potendo lasciare il palco, non sapevo che cosa stesse accadendo là fuori, che cosa fosse emerso, che cosa si stessero dicendo. Sicuramente Jeff doveva aver confessato il fatto che avevamo continuato a vederci e Michael non l'aveva presa bene, affatto. Volevo raggiungerli, capire che cosa fosse successo, allo stesso tempo volevo sparire dalla luce dei riflettori che prepotentemente attiravano l'attenzione su di me. Non avevo mai desiderato che un live terminasse come quella sera.
Così accadde, finalmente, appena pochi pezzi dopo.
Scesi dal palco lasciando il mio basso lassù. Con la pressione che avevo sentito calarmi addosso, decisi di andare in bagno a farmi, forse sarebbe stata la soluzione migliore, o almeno era quello che credevo. Dovetti desistere quando, aperta la porta di quello squallido bagno vidi quanta gente ci fosse, così mi diressi al vicolo sul retro. Quasi nessuno conosceva quell'uscita, se non quelli del personale, della sicurezza o pochi altri. Tirai fuori la bustina di plastica e inalai senza preoccuparmi troppo di quanta ce ne fosse. Venni interrotta dall'arrivo di Vince.
«Dove cazzo pensavi di andartene, eh?! Hai suonato da schifo stasera!» inveì. «Balle, Vince! Errare è umano, se ho sbagliato qualche accordo alla fine del concerto è perché sono stanca!» «Ah, la piccoletta è stanca?! Lo sai quanto ci metto a buttarti fuori da questa band del cazzo? Niente!» «Ti servo, lo sappiamo bene tutti quanti, anche quegli idioti dentro che fanno finta di non accorgersi di nulla.» ormai il suo corpo schiacciava il mio contro il muro. «Hai ragione, mi servi.» affermò, slacciandosi la cintura borchiata per poi slacciare la mia. Ecco, sarebbe successo ciò che accadeva sempre, ciò che sopportavo per la mia musica. A volte fingevo che mi piacesse, altre ne avevo bisogno anch'io, ma dentro morivo di più ogni volta.
Sentii le sue dita prepotenti toccare la mia intimità per poi penetrarvi bruscamente. Il mio corpo reagì di conseguenza, facendogli credere che mi stesse appagando. Portò le mie braccia sulle sue spalle, avvicinò il mio bacino al suo, estrasse le dita per poi abbassare un poco i pantaloni e sollevarmi appena dai fianchi. Mi ritrovai aggrappata a lui per evitare di cadere ed egli se ne approfittò. Ben presto sentii la sua erezione riempirmi con decisione. Non reagii se non stando al gioco.
Scese con le labbra a baciarmi il seno. Ero fatta, come sempre, e quel cocktail di coca e sesso fece presto il suo lavoro. Ormai i gemiti provenivano da entrambi, senza sforzi per trattenerli. La sua bocca lambiva il mio seno, le sue dita scesero a stuzzicare la mia intimità per intensificare il suo lavoro, e poco dopo venimmo entrambi. «A casa ti farò una gran festa. Bella sveltina, comunque.» appena si fu sistemato sparì, lasciandomi sola come sempre. Mi ricomposi con calma liberando qualche lacrima. Una pila di scatoloni e cassette in legno attirò la mia attenzione, poco più in là, così mi sedetti su di esse. Come un automa estrassi dalla tasca del chiodo il mio pacchetto di sigarette, l'accendino e iniziai a fumare.
Le lacrime scendevano copiose, probabilmente il trucco era andato a farsi friggere. Ero seduta con le gambe al petto, rannicchiata su me stessa. Tutte le volte che vivevo qualcosa di buono dovevo pagare un prezzo, più o meno alto, ma dovevo pagarlo. Con Vince mi ero trovata in quel circolo assurdo che pareva più un ricatto che altro. Eppure non era sempre stato così: all'inizio andava tutto bene, eravamo amici. Poi mi aveva offerto di andare ad abitare nel suo appartamento e una sera, dopo aver suonato un po', ci ritrovammo a letto insieme, fatti ed ebbri. Da quel giorno ci ritrovammo in quella situazione svariate volte e l'unica in cui avevo tentato di ribellarmi mi ero sentita rispondere «O continui o puoi scordarti del gruppo.». Ma quella band era il mio unico appiglio, il palco era importante, offerte non ce n'erano... dovevo accontentarmi. Così andava avanti da quasi tre mesi. Ero diventata pura merce nelle sue mani, con l'unico scopo di soddisfarlo e di tappare la mancanza di un bassista nel gruppo.
Senza accorgemene ero arrivata alla terza sigaretta di fila, e lo notai contando i mozziconi davanti a me. Venni spaventata dalla porta che si aprì di scatto. Alzai lo sguardo temendo che fosse Vince, ancora, invece i miei occhi lucidi e arrossati rividero il volto di un ragazzo che tanto avevano amato. Michael uscì trafelato, con un'espressione tesa dipinta in volto. Appena si accorse del mio stato corse per poi chinarsi di fronte a me.
«Amy.» sussurrò quasi timoroso. «Michael.» risposi con un filo di voce. Ecco che il suo sguardo mi fece sentire scoperta da ogni barriera, un'altra volta, dopo troppo tempo. «Cosa ti è successo?» «Nulla.» risposi semplicemente voltando il volto altrove. Si sollevò per poi stringermi a sé. «Che cosa ci fate qua?» «Volevamo spezzare la routine, cambiare ambiente. Mai avrei creduto di rivederti.» «Idem.» il suo ventre era caldo, piatto, e le sue braccia accoglienti, tutto esattamente come ricordavo. «Sei stata davvero brava stasera.» «Secondo Vince ho fatto schifo.» «Vince è un coglione. Mi stupisce vedervi suonare insieme.» «Volevo una band Punk e l'ho trovata.» lo sentii sospirare. Improvvisamente mi alzai e senza riflettere lo abbracciai, iniziando a piangere. In silenzio mi circondò la vita con le braccia e mi strinse al suo petto, saldamente. Stemmo così per alcuni minuti durante i quali tornai a casa, al riparo da qualsiasi cosa, da qualsiasi pericolo.
«Sei cambiata...» «Sono cambiate così tante cose.» «Tipo?» soppesai la risposta. «Tante, davvero tante.» dissi semplicemente. «Cos'è successo con Jeff?» «Mi ha detto che avete continuato a mantenere i rapporti. - mi separai da lui.- Perché l'hai impedito a me?» «È per te che me ne sono andata.» «Perché?» «Perché senza di me saresti stato meglio.» «Ah, davvero? Sono stato da schifo.» abbassai lo sguardo, sentendomi colpevole. «Michael, non sono mai stata la persona giusta per te.» «Quando la smetterai con queste stronzate?» domandò retorico. Non risposi.
«Amy torna. Ricominceremo da capo.» «Io e te non possiamo ripartire da zero.» «Perché no?» «Ci siamo legati un po' troppo l'uno all'altra, non credi?» «Non mi importa... Tu mi manchi Amy, ogni giorno. Mi sono rifugiato in qualsiasi vizio, abitudine, pur di dimenticarti.» «Ora starai meglio.» «No, ora sono qua, a pezzi come un soldato tornato da una guerra. Sono qua perché voglio che torni, perché ti rivoglio al mio fianco la notte, sotto al palco ai concerti... Perché ti rivoglio nella mia vita.» sorridendo amara e lasciandolo senza una risposta, mi avviai alla porta per tornare all'interno del locale. Quando fui a pochi passi dalla mia meta, parlò di nuovo. «Sono ancora innamorato di Te come sei mesi fa.» mi voltai sorpresa dalle sue parole.
«Ecco perché non posso tornare.»
«Riproviamoci.» feci un lungo respiro prima di rispondere. Forse, mentendo, avrebbe lasciato perdere.
«Non provo più niente per te, Michael.» affermai guardandolo negli occhi, con il labbro tremante e il nodo alla gola. Lo vidi spiazzato, forse ce l'avevo fatta a convincerlo.
«Non ti credo.» e in meno di un secondo sentii le sue labbra premere le mie. Tentai di allontanarlo, ma più ci provavo più mi stringeva. Alla fine cedetti, ricambiando quel bacio. In quegli istanti capii che dentro di me c'era ancora qualcosa di importante per lui. Qualcosa che non avrei mai potuto cancellare, anche se un giorno avessi incontrato un altro uomo di cui innamorarmi.
Le sue labbra morbide non lasciarono alle mie alcuna via di fuga, e le mie smisero di cercarla, legandosi alle sue, permettendoci di mischiarci e unirci in una cosa sola com'era sempre accaduto.
«Vedi perché non ti credo?» domandò infine, ormai senza fiato. «Nemmeno io mi credo... Ma riconosco quale sia la scelta più giusta.» lasciò andare le braccia lungo i fianchi, stanco di provare a trattenermi. «Cosa devo fare per convincerti?» «Nulla, solo tornare sui tuoi passi, fare rientro a Los Angeles, e crearti una carriera come musicista professionista. Dammi ascolto, ti prego.» detto ciò, mi voltai ed entrai davvero nel locale.
Michael doveva darmi ascolto.

~Fall to Pieces.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora