Capitolo Secondo.

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[Michael

Le quattro mura di quella sala prove erano diventate anche il nostro modesto appartamento. Stavamo lì ore e ore a suonare, componendo e provando decine di volte i nostri pezzi. E comunque, sarà stato anche piccolo, ma quel posto ce lo eravamo guadagnati e ogni giorno cercavamo di raccimolare qualche soldo per poter continuare a pagare. In fondo, c'è forse qualcosa al mondo per cui non bisogni lottare per guadagnarselo?
Per me, almeno, era sempre stato così. E in quella stanza ognuno di noi aveva oltrepassato quei muri quali le difficoltà per arrivare dov'era.
All'età di ventuno anni, mi ritrovavo con in mano un progetto nel quale credevo fermamente: dopo anni passati a suonare nei locali più angusti con diverse band punk di Seattle -la mia città- ero finalmente arrivato a Los Angeles, e adesso avevo il mio gruppo, vivevo della mia musica, potevo esprimermi, far uscire me stesso grazie alle quattro corde del mio basso che stavo ancora imparando a suonare. Non importava sostanzialmente a nessuno che non fossi ancora un bassista professionista, bastava che stessi dietro ai pezzi nel modo giusto e tutto funzionava.
Non avendo saputo accontentarmi, negli anni passati avevo avuto esperienze anche come batterista e soprattutto chitarrista, pur non essendo un musicista di grosso calibro in nessuno dei tre strumenti. 

La mia vita era stata una seria di alti e bassi, caratterizzata da una famiglia a dir poco numerosa -eravamo otto fratelli e io ero il più piccolo-, vari avvenimenti, il mio pessimo percorso scolastico; poi c'erano state una serie di problematiche inerenti a droga e alcool. Ero stato un ragazzo precoce in questo campo: in quarta elementare mi era già arrivato sotto tiro il primo spinello, e provai il mio primo drink l'anno successivo; in prima media testai l'LSD passatami da un tizio del terzo anno, in seconda tirai di coca per la prima volta. All'età di quattordici anni, anche approfittando dei concerti che già svolgevo con le piccole band di cui facevo parte, continuai a bere fiumi di birra e a provare LSD, funghi allucinogeni e cocaina. Solo in futuro mi resi conto che quello che facevo erano solo un mucchio di cazzate. Erano i primi passi per distruggermi, quando avrei potuto lasciar perdere e dedicarmi interamente alla musica anche da sobrio. 
In mezzo a tutti quei casini, però, avevo anche imparato molto e fatto esperienze delle quali avrei serbato il ricordo nei meandri più nascosti di me stesso. I miei live, i gruppi emergenti, i tour... Erano esperienze preziose e che avrei ripetuto dozzine di volte. 
Il 1986 fu un anno pazzesco: finalmente eravamo riusciti a conquistarci una gran fetta di pubblico, suonando in un piccolo e autogestito tour, i locali importanti ci adoravano e più suonavamo più i discografici ci stavano addosso. Stava avvenendo il decollo, ecco ciò che credevo, da lì a poco saremmo decollati firmando per una major... Ma, quello che più adoravo di quel periodo, era vedere la gente che si scatenava sui nostri pezzi. In fondo, non c'era poi tanta fretta di firmare un contratto, era già tutto troppo bello. 

Arrivò un giorno in cui, durante una delle solite sessioni di prove, Axl ebbe l'ennesima crisi di nervi. Capitava spesso che sparisse per giorni, addirittura, a causa dei suoi sbalzi d'umore. A volte era come se fosse fatto di speed, rimbalzava di qua e di là; poi dormiva per tre giorni. Quando era in giro era pieno di energie: "facciamo questo, facciamo quello, buttiamo giù dei pezzi." E noi gli andavamo dietro cercando di apprezzare quel lato del suo carattere, constatando giorno per giorno che, effettivamente, eravamo molto diversi tra di noi.
Quel pomeriggio decise di mollare tutto all'improvviso. È vero, c'erano stati un paio di errori all'interno dei pezzi, ma era tutto nella norma. Prese semplicemente la sua bandana, la legò in fronte e, senza dire nulla a nessuno, uscì dal garage. Osservammo la scena un po' allibiti, poi posammo gli strumenti, rassegnati, e ci coricammo ognuno per conto proprio.
Perché ricordo bene quella giornata? Semplice... Diverse ore dopo, sei o sette, probabilmente, sentimmo dei colpi sordi alla porta: Saul si alzò dal divano improvvisato fatto di scatole di cartone e un lenzuolo di provvidenza, e andò ad aprire. Io rimasi nel mio giaciglio, troppo assonnato per avere la forza di alzarmi.
Sentii sbraitare da sotto. «Axl! Cos'è, adesso le sbatti così forte che perdono i sensi?» «Idiota, dammi una mano! Io non c'entro niente!» disse, serio e preoccupato. Capendo che la situazione era seria, mi alzai e li raggiunsi.
Axl teneva fra le braccia una ragazza. Mi avvicinai. «Dio, Axl, ma sembra giovanissima... Cos'è successo?» «Ci siamo incontrati per caso, mi ha chiamato e poi mi è svenuta davanti. Non so come sia successo, davvero.» «Dalla a me, la corico nel mio letto.» mi passò quella ragazza. Era molto chiara di carnagione, i capelli castani le ricadevano scompigliati sul seno. L'abbigliamento era quello che vedevamo indossare da tutte le ragazze del nostro giro, a metà strada fra il punk e i soliti metallari. Il trucco nero era concentrato sugli occhi. Nonostante la situazione, la trovai bellissima.
La coricai nel mio letto e poi, sistemandola, mi accorsi dei tremori dai quali era scosso il suo corpo. Le sollevai le palpebre e notai le pupille dilatate. Il respiro era forzato. Quella ragazza era in astinenza. Cocaina, molto probabilmente. «Cazzo!» esclamai. «Cosa succede?» mi domandò Axl. «Questa ragazza è in crisi di astinenza, e pure ubriaca! Ho bisogno di un po' di roba, intanto cerco di svegliarla...» mentre gli altri cercavano di organizzarsi per reperire un po' di quella dannata polvere, rimasi accanto a lei. «Ehi, ragazza.. Ehi, sveglia. Svegliati dai...» continuavo a ripetere, ma sembrava non udirmi. Presi dell'acqua e le inumidii le labbra; erano mobide, e ripresero subito un poco di colore. Le controllai il battito e, seppur fosse leggermente acellerato, sembrava non segnalare particolari problemi. Inumidii la mia bandana e le tamponai il volto, poi il collo. Tornai a bagnarle le labbra.
Improvvisamente si tirò su a sedere, respirando forte, cercando di immagazzinare più aria possibile. Gli occhi sgranati. Sembrava spaventata. «Ehi, ehi, calma. Sei al sicuro.» mi affrettai a rassicurarla. Si voltò verso di me, incrociando il mio sguardo, e venni immediatamente rapito da quegli occhi quasi neri. Ci affogai dentro per qualche istante e sentii la gola seccarsi. Ma che mi stava succedendo!? «Dove sono?» domandò. «Sei, ehm, in un garage... -Le sorrisi- non fraintendere, ormai è una sala prove e appartamento a tutti gli effetti, eh!» le scappò un mezzo sorriso. «Ma tu chi sei?» «Io sono Michael, detto anche Duff. E tu?» «Amy.» «Come ti senti?» «Male... Ho bisogno di... Ne ho bisogno. Mi manca il respiro.» riprese a respirare affannosamente. «Soffri di attacchi di panico? » annuì. «Sì, capita ogni tanto, mi colgono all'improvviso.» la abbracciai e lei si raggomitolò al mio petto. Quando accadeva a me, talvolta mia nonna mi abbracciava, e di lì a poco stavo meglio. Avevo voluto fare un tentativo anche con quella ragazza, Amy. Le accarezzavo il capo, e stemmo in silenzio per diversi minuti. Quando Saul tornò, entrò rapidamente sbattendo la porta. «Vieni, credo che ti serva qualcosa...» mi guardò confusa. Raggiungemmo gli altri. «Oh, l'hai svegliata... » disse sollevato Saul. «Già... Ne hai presa un bel po'? » «Per lei ce n'è fin troppa! Basterà, tranquillo. Ma Axl?» «Era qua poco fa.» ed, infatti, fece capolino poco dopo. Era uscito a prendere una boccata d'aria. Nel frattempo, mi resi anche conto che Steven e Izzy mancavano all'appello. «Come hai fatto a capirlo?» mi domandò Amy, riferendosi alla roba. «Purtroppo certe reazioni le conosco bene.» a turno ci dividemmo quella roba. Fui sollevato nel vedere Amy stare meglio, e così sembrava anche Axl.
Notai che lui la osservava in un modo particolare, ma non ne capii il motivo. 
Insistemmo affinché rimanesse da noi quella notte e lei accettò. Scoprii che aveva appena tre anni meno di me dunque, se io ne avevo ventuno, lei ne aveva circa diciannove. Li avrebbe compiuti a novembre. Eravamo alla fine di febbraio. 
Steven e Izzy non rientrarono fino al mattino seguente e, dati gli spazi ridotti, io e Amy condividemmo il letto.
Non parve così timida e la cosa un po' mi sorprese - ma sembrava una ragazza a posto. «Non so come ringraziarti Duff.» sussurrò, con il viso contro al mio petto. «Ehm, un modo ce l'avresti... » le lanciai un'occhiatina e mossi il bacino nella sua direzione. «Dai che sono seria! -Sghignazzò- davvero, alla fine avete aiutato una sconosciuta.» «Non ci facciamo di questi problemi. E poi sei svenuta davanti ad Axl, non potevamo non aiutarti.» dopo qualche istante, mi fece una domanda: «Tu sei Michael e ti chiamano Duff, Saul lo chiamate Slash... Ma, Axl? È il suo nome?» «No, non proprio... Lui si chiama William, ma preferisce non portare quel nome. Ormai, per tutti è diventato Axl, e poche volte capita che lo si chiami William. Perché me lo chiedi?» «Credo sia una domanda legittima, no?!» si difendeva bene, la ragazza. «Touchè.» la sentii sorridere.
Non molto tempo dopo ci addormentammo.

~Fall to Pieces.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora