23 - Non puoi lasciarmi sola, così, su due piedi.

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Cherry


Sono riuscita a trovare da sola, questo posto. E, per la prima volta dopo tanto tempo, mi sento quasi felice. Ho smesso di contare i giorni in cui ho preferito rinchiudermi in casa e perdermi la bellezza che questa piccola e sconosciuta cittadina possiede. Il mio buonumore non dipende solamente da questo, non dipende solamente dal rumore del vento flebile che smuove i rami degli alberi, non dipende solamente dal sole che splende alto nonostante l'imminente arrivo dell'Inverno, così come non dipende dalla vista dei cittadini felici che corrono per ogni via della città.

No, mi ripeto nella testa, tutto questo non centra. La mia euforia è solo perché sto per rivedere Wesley, dopo giorni senza sue notizie... senza sapere se sta bene.

L'edificio dove lo tengono non è come lo avevo immaginato. Per raggiungerlo ho passato poco più di mezz'ora nell'autobus della Contea, qualche minuto in più del precedente viaggio che ho intrapreso con Joan. Un sorriso triste nasce spontaneo nel ripensare a quel ragazzo che tanto fa parlare di sé, per colpa dei capelli rossi come il fuoco. Ho continuato a ripetermi che, nonostante le sue parole abbiano fatto male, non posso biasimarlo. Chiunque avrebbe reagito in quel modo, chiunque con un minimo di cuore. So quanto sia una brava persona, come so che tutto ciò che mi ha detto non era per ferirmi, solamente per farmi capire.

Non ascolto con attenzione quello che mi dice l'agente, fermo davanti alla macchinetta del caffè. Sento parzialmente le sue parole, ma quello che capisco è che stanno facendo un'eccezione, perché non potrei essere qui. Wesley non è ancora stato arrestato. Per adesso è fermo nel dipartimento dello Sceriffo di Pioche, in una cella di passaggio. Lo seguo con le mani tremanti e lo sguardo basso, sempre a guardare i miei piedi, finché non entra da una porta.
Passano pochi minuti da quando entro nell'edificio in pietra a quando, finalmente, i miei occhi incrociano di nuovo quelli di Wesley... quelli più spenti e vuoti, di Wesley. Mi agito ancora di più quando noto il suo nervosismo nel vedermi. Sì, non se lo aspettava.
Davvero credeva di poter chiudere la faccenda così, sparendo?

Mi chiede che cosa ci faccio qui, gli dico semplicemente la verità. Mi mancava. Avevo bisogno di vederlo. Sembra sorpreso dalle mie parole. Eppure, in qualche modo, si addolcisce davanti ai miei occhi. Sicuramente non è abituato a sentirsi dire determinate cose... probabilmente, non è mai stato importante per qualcuno. Per questo motivo si sente così, confuso.

Penso di non averlo mai visto sotto questo punto di vista. Wesley è vulnerabile più di quanto si possa pensare e io, per prima, mi sento una vera stronza per non averlo capito prima. Per non aver capito che anche lui ha dei demoni contro cui combattere. E contro cui non sempre riesce a vincere.

«Pensavi che non avrei avuto il coraggio di presentarmi qui, non è vero?» domando dopo un po' di silenzio, senza badare ai due uomini dietro di me. Sono grata all'agente per avermi permesso di entrare in questo posto, facendo uno strappo alla regola, ma ciò non vuol dire che per me valgano qualcosa.

Sono venuta qui con un reale e ben preciso obiettivo: far capire a Wesley che tutto questo non ha senso. Perché, no, non ha fottutamente senso. Dovremmo essere uniti e cercare insieme l'assassino di Jonathan. Farsi rinchiudere in carcere non è la soluzione ad ogni dannato problema. In più, non dopo ciò che è successo. Molto probabilmente Wesley è stato attirato dal momento, malinconico e triste, che stavamo vivendo, ma... io non posso dimenticare le sue labbra sulle mie. Per qualche assurda e strana ragione, quell'immagine è ben impressa nella mia mente.

Forse anche io sono stata vittima della mia tristezza. Forse, per via della mia instabile fragilità dovuta alla visione del corpo inerme del mio ex ragazzo, mi ha portato ad aggrapparmi all'unica persona a cui non dovrei legarmi. Scuoto velocemente la testa, cercando di svuotare dai pensieri la mia mente, tornando a guardare il ragazzo che, purtroppo, mi è mancato da morire. Mi sta guardando con una strana espressione dipinta sul volto, che non riesco a decifrare: come se stesse combattendo contro qualcosa di più grande di lui. Arriccia le labbra, tenendo ben saldo il bicchiere di caffè fumante che l'agente gli ha consegnato poco prima del mio ingresso in questo piccolo e logoro stanzino.

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