24 - Un puzzle incasinato.

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Cherry



Wesley Thompson è in custodia cautelare per l'omicidio di Jonathan Andrews.

Il mattino successivo mi risveglio così, con il volume della televisione di Wesley fin troppo alto per permettermi ancora qualche ora di sonno. Apro con fatica gli occhi, trovando sullo schermo la foto di Wesley affiancata a quella di un Jonathan sorridente, risalente a qualche tempo prima. Una morsa allo stomaco mi assale mentre cerco in tutti i modi di scacciarla via, senza alcun successo. Rivedere i suoi occhi con una scintilla di vita mi fa tremare le gambe... più che per la loro mancanza, per il fatto che sono arrivata al punto di non ricordarmeli. Nella memoria ho stampati solo i suoi lineamenti da morto, non di quando era in vita. Faccio fatica a ricordarmi qualche dettaglio del suo volto, il suo sorriso o lo scintillio nei suoi occhi... alcuni ricordi, sono l'unica cosa che ho. Come, per esempio, il nostro primo appuntamento. Mi ha portato a prendere un gelato in un negozio piccolo e grazioso, nel centro della nostra piccola cittadina. Ricordo il modo premuroso con cui mi ha trattata per tutto il pomeriggio, il modo in cui sembrava volersi prendere cura di me anche nelle cose più minime. È stato forse grazie a quel pomeriggio passato in totale armonia che mi sono riuscita ad avvicinare di più a lui. Ai miei occhi, prima di conoscerlo, risultava solamente un ragazzo più grande della sua età, con fin troppi problemi sulle spalle. Sapevo, per via dei pettegolezzi delle anziane all'inizio della città, immancabili e sempre puntuali alle sette del mattino, che la sua famiglia non era del tutto sana: il padre è sempre stato un tossicodipendente da tempo immemore, mentre la madre preferiva passare il tempo saltellando dal corpo di un uomo all'altro, senza curarsi minimamente di suo figlio o della sua famiglia. Eppure erano ancora insieme. Le poche volte che sono andata a casa sua, senza soffermarmi sui dettagli ben nascosti, li ho sempre trovati in sintonia.

Con la testa dolorante, scosto dal mio corpo le lenzuola scure del letto di Wesley, raggruppando tutte le mie forze per mettermi in piedi. Ieri sera, non sono riuscita a tornare a casa mia. Ho preferito tornare qui, a casa sua, dove posso rimanere in tranquillità. Mi manca mio padre, in modo assurdo, ma non ho intenzione di tornare da lui, almeno per il momento. Così come sento anche la mancanza di mio fratello, che non ha smesso neanche per un giorno di chiamarmi al cellulare. Sono solamente diventate meno frequenti, nulla di più. Probabilmente il messaggio che ho inviato ieri sera a mio padre deve averli tranquillizzati; non volevo dilungarmi troppo, perciò ho sfruttato i caratteri per avvertirli che stavo bene e che, tra non molto, sarei tornata a casa.

Trascino i piedi fino alla piccola cucina di cui dispone casa di Wesley, schiacciando in modo distratto il pulsante lampeggiante della macchina del caffè. In questi giorni ho vissuto a pieno questa casa, quasi come fosse mia. Nei momenti di noia assoluta l'ho riordinata, pulita, abbellita. Tutto questo solo per cercare di non impazzire. È come se anche i muri di casa sua sentissero la sua mancanza. Scuoto leggermente la testa, riportando successivamente indietro i capelli scuri; non appena la luce smette di lampeggiare, appoggio la piccola tazzina nera al di sotto della macchinetta, schiacciando nuovamente il pulsante. Il caffè scende in modo lento, quasi da farmi addormentare nuovamente. Solamente quando, finalmente, ho la mia tazzina fumante tra le mani posso avvicinarmi al tavolo della cucina dove, ad attendermi, c'è la busta ancora sigillata e abbandonata in quel punto dalla sera precedente.

Non ho avuto il coraggio di aprirla, ieri sera. Sapevo che non sarei stata in grado di reggere qualsiasi cosa si trovasse al suo interno, non dopo aver visto Wesley. Ma è da quando l'agente me l'ha consegnata che un brutto presentimento si è attanagliato alle mie viscere. Non mi ha lasciata in pace nemmeno per un secondo. Scosto la sedia producendo rumore, sedendomi con poco garbo su di essa. Appoggio la tazzina e, al suo posto, prendo la busta tra le mani, ispezionandola. Sembro pazza, ma la guardo intensamente per qualche minuto, come se la sua copertura potesse aiutarmi a capirci qualcosa in più. Probabilmente è questo l'oggetto che Joan sembrava non volesse farmi vedere, quando si è presentato qui e ha raccolto le cose di Wesley. Sapevo di non aver sbagliato. Dopo aver preso un sorso di caffè, stacco la parte alta della busta con un po' di fatica, aprendola. Inarco un sopracciglio, sorpresa: ci sono solo tantissime fotografie.

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