17 - L'ospedale non è un bel posto.

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Cherry



Da un po' di tempo non entravo in un ospedale. Le pareti bianche, l'odore persistente di disinfettante e i rumori assordanti dei macchinari in funzione non mi sono mai piaciuti. In un modo o nell'altro, però, diverse volte sono stata costretta a trovarmi seduta su una sedia fin troppo scomoda nella sala d'attesa. La prima volta avevo solo cinque anni. Mio padre si era dovuto catapultare qui perché mia madre aveva esagerato con l'alcool, quella sera. L'avevano data per spacciata persino i medici, pensavano che una lavanda gastrica non potesse salvarla quella volta. Invece, dopo qualche settimana e diverse fatture ospedaliere da pagare, è uscita sana come un pesce con le sue gambe. Inutile dire che la stessa sera era di nuovo rinchiusa in un bar a dare il meglio di se.

La seconda ero già un po' più grande. Mia madre ci aveva già lasciati e Aron era appena partito per la Spagna. Eravamo rimasti solo io e mio padre in casa, e lui non aveva ancora trovato un lavoro. Era estremamente nervoso e preoccupato. Lo stress accumulato lo aveva fatto cadere come una pera sul pavimento davanti ai miei occhi quella mattina. Ricordo che, in preda al panico, pensavo gli fosse venuto un infarto. L'ambulanza ci aveva messo solo qualche minuto a raggiungerci, e dopo qualche ora l'esito delle analisi aveva riportato solamente un calo di zuccheri dovuto al troppo nervoso. Dopo qualche mese da quel ricovero, un'Azienda piuttosto importante nel campo elettronico ha contattato mio padre, offrendogli un posto di lavoro dove, tutt'ora, è assunto.

Adesso, invece, mi ritrovo qui per mio fratello. Quel ragazzo che tanto pensavo di odiare e di non sopportare nell'ultimo periodo, sentimento che pensavo fosse più che ricambiato. Invece ha fatto così tante cose per me che mi pento amaramente di non aver cercato di costruire un rapporto più forte con lui. Non che me ne abbia dato molta opportunità, a dire il vero, ma so che avrei potuto fare di più. Mio padre è dentro alla stanza insieme a diversi medici. Non ho avuto modo di parlargli e di capire come siano andate realmente le cose, per questo adesso sento l'ansia divorarmi dall'interno. L'unica cosa che ho sentito dire da un dottore è che non è in pericolo di vita, ed è anche l'unica motivazione che non mi sta facendo diventare pazza. Wesley, accanto a me, continua a battere ripetutamente il piede sul pavimento chiaro della sala d'attesa. È preoccupato per mio fratello. Non riesce a capire chi abbia potuto scagliare tanta violenza nei suoi confronti, anche se io una mia idea già me la sono fatta.

«Ti vado a prendere una bottiglia d'acqua...» annuncia mordendosi le labbra, prima di lasciarmi un'ultima veloce occhiata e uscire velocemente dalla sala. Lo guardo finché non scompare completamente dal mio campo visivo e, finalmente, posso lasciarmi andare.

Mi lascio scivolare sullo schienale della sedia e chiudo gli occhi. Le mani appoggiate sulla pancia coperta dalla felpa e i pensieri che mi stanno annebbiando il cervello. Pensavo che questa faccenda non potesse durare a lungo, invece mi sbagliavo di grosso. Più giorni passano più la gravità della situazione aumenta. Non posso più permettere alle persone che amo di soffrire per i miei sbagli. Però, cosa posso fare? C'è veramente qualcosa in grado di salvarli tutti?

Qualcosa mi costringe a riaprire gli occhi. Una specie di sensazione, come se sentissi un paio di occhi puntati su di me. Mi guardo intorno e la stanza è completamente vuota, ci sono solo io. Le riviste di moda appoggiate al tavolino nel centro della stanza sono tutte ordinate. La finestra davanti a me non fa entrare un minimo di luce, dato che sono le dieci di sera passate. Mi passo una mano sul viso, voltandomi verso la porta, ed è lì che lo vedo. Appoggiato allo stipite bianco, il Detective Green mi guarda con un sorriso stampato sul viso e le braccia conserte sul petto. Non riesco a muovermi per qualche istante. Tutto ciò che faccio è un timido saluto con il capo, movimento che lo sprona ad avvicinarsi a me. Si siede al mio fianco, l'odore forte di dopobarba mi entra nelle narici. Trattengo uno starnuto, mentre lui si appoggia allo schienale della sedia.

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