Tony

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Pov Josie

Fisso l'orologio della cucina. Le lancette sembrano muoversi al rallentatore, come se sapessero che lo sto aspettando. Le 21:15. Un'altra sera in cui Tony è in ritardo. Un'altra sera in cui mi trovo a cenare da sola. Ormai ho smesso di sorprendermi, mi sono abituata al suono del silenzio, alla compagnia vuota di questa casa che sembra inghiottirmi ogni giorno di più.

Ho già lavato i piatti, rimesso in ordine, fatto tutto quello che si fa quando si aspetta qualcuno che non arriva mai. E adesso sono qui, seduta, con le mani intrecciate, fissando il vuoto. Non dovrei più farlo. Non dovrei più chiedermi dove sia, con chi sia. Ma non ci riesco. Il cuore mi batte sempre più forte, come se qualcosa dentro di me stesse cercando di sfuggire a una prigione invisibile.

Le chiavi nella serratura. Finalmente. La porta si apre, e lui entra, con la solita calma indifferente, come se non fosse successo nulla.

"Ciao," mi dice senza nemmeno guardarmi negli occhi. Si toglie la giacca e la butta sulla sedia.

"Ciao," rispondo, ma la mia voce è flebile, spezzata da tutto ciò che non dico.

Lo guardo mentre si dirige verso il frigorifero. So già cosa farà: si verserà dell'acqua, prenderà qualcosa da mangiare, e poi se ne andrà sul divano, come ogni sera.

"Ti ho aspettato," dico, rompendo il silenzio, anche se so che non serve a nulla.

"Lavoro, Josie, lo sai. Sono stanco," risponde senza nemmeno voltarsi. Sembra una scusa che ripete meccanicamente, come se fosse programmato a dire sempre le stesse cose.

"Sei sempre stanco. Sempre al lavoro. Sempre lontano." Le parole escono più dure di quanto volessi, ma non mi importa più. Non posso continuare a fare finta che vada tutto bene.

Tony si ferma un attimo, con il bicchiere d'acqua a metà strada verso le labbra. Mi guarda, ma il suo sguardo è vuoto, impassibile. "Che cosa vuoi che faccia? Vuoi che smetta di lavorare? Che stia a casa tutto il giorno?"

"Non è questo il punto, Tony. Non ti sto chiedendo di stare a casa tutto il giorno. Ti sto chiedendo di esserci. Di essere presente. Di parlare con me, di guardarmi. Di far finta che ti importi."

Lui sospira, e so già come andrà a finire. "Josie, non c'è nessun problema. Sei tu che ti fai troppe paranoie. Le cose vanno bene così come sono. Sei tu che continui a complicare tutto."

Le sue parole mi colpiscono come un pugno allo stomaco. Lo dice con una calma che mi disarma, come se tutto ciò che sento fosse solo frutto della mia immaginazione. Come se fossi io il problema.

Mi mordo il labbro, cercando di trattenere le lacrime. "Non capisci, vero? Io non posso continuare così. Non posso vivere una vita in cui il mio unico compagno è il silenzio."

Lui scuote la testa, esasperato. "Josie, basta. Sono stanco di queste discussioni. Non c'è niente di cui discutere."

Lo guardo allontanarsi verso il divano, e sento un nodo stringersi sempre di più nella mia gola. Le lacrime che ho trattenuto per settimane, mesi, iniziano a spingere per uscire, ma non glielo permetto. Non più. Ho già pianto abbastanza.

"Sai cosa, Tony? Forse hai ragione." La mia voce esce più forte di quanto mi aspettassi. Lui si gira, sorpreso, ma non risponde. "Forse sono io che mi faccio troppe paranoie. Forse sono io che mi aspetto troppo. Forse, semplicemente, non c'è più niente da salvare."

Lui mi fissa per un istante, poi distoglie lo sguardo. "Se è così che la vedi..."

"Sì, Tony. È così che la vedo." E mentre lo dico, sento un peso enorme sollevarsi dal mio petto. Non so cosa succederà dopo, ma so che non posso più restare ferma, in silenzio, aspettando che lui cambi. Perché lui non cambierà. Non cambierà mai.

Mi alzo dal tavolo e senza aggiungere altro mi dirigo verso la camera da letto. Lui non mi segue. Non mi ha mai seguito. Mi sdraio sul letto vuoto, quello che avremmo dovuto condividere, ma che ormai è diventato solo il mio rifugio solitario.

Chiudo gli occhi e sento le lacrime scendere silenziose. Ma stavolta non le fermo.

Pensavo che fosse tutto ciò di cui avessi bisogno. Dopo due anni di matrimonio, credevo che le cose sarebbero migliorate. Sì, è normale che ci siano alti e bassi, ma non c'erano più momenti alti, solo bassi. Questo mi faceva capire che c'era qualcosa che non andava nel nostro matrimonio, e non sentivo più quel legame di prima. E, conoscendomi, sapevo già che mi sarei allontanata da lui, sia fisicamente che emotivamente. Avevo bisogno di andarmene, di fare qualcosa di nuovo, di cambiare, ma lui era sempre così distante. Distante, rude e molto silenzioso.

Waiting for a signDove le storie prendono vita. Scoprilo ora