Ora che faccio?

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Pov Josie

Tony partì la mattina presto. Lo sentii muoversi in silenzio, mentre si preparava per prendere l'aereo e tornare al lavoro. Non ci fu nessun grande addio, solo un salute veloce e un breve "Ci sentiamo". Rimasi seduta a letto per qualche minuto dopo che se n'era andato, ascoltando il rumore del motore della sua macchina allontanarsi fino a quando non ci fu solo silenzio.

La casa delle vacanze, in cui avevamo trascorso qualche giorno, era vuota ora. Ma non era così diversa da quella in cui vivevamo tutto l'anno. Un posto che, nonostante il suo comfort, aveva cominciato a somigliarmi a una prigione. Una casa che avevo imparato ad associare alla solitudine e alla routine, e la casa delle vacanze, ironicamente, non era diversa. Era solo un altro luogo dove potevo isolarmi, chiudermi dentro me stessa.

Il pomeriggio scorreva lento. Cercai di distrarmi facendo una passeggiata nei dintorni, ma non riuscivo a togliermi quella sensazione di vuoto di dosso. Camminai senza meta, i miei passi accompagnati solo dal rumore delle foglie che si spezzavano sotto i piedi. Guardavo le case altrui e mi chiedevo se anche dietro quelle finestre qualcun altro stesse vivendo una storia simile alla mia. Chissà quanti segreti e quanti silenzi abitano le case che osserviamo da fuori.

Tornai a casa verso mezzogiorno. Non avevo voglia di cucinare nulla di elaborato, così preparai qualcosa al volo: una semplice insalata e un po' di pane. Mangiai in silenzio, la mia mente persa nei pensieri. Ogni tanto mi sorprendevo a guardare il cellulare, come se mi aspettassi un messaggio o una chiamata da parte di Tony. Ma non arrivò nulla. Forse era meglio così.

Dopo pranzo decisi che non potevo continuare a rimanere bloccata in quella casa. Era come se le mura stessero iniziando a chiudersi su di me. Avevo bisogno di uscire, di respirare un'aria diversa, anche solo per un po'.

Andai in bagno e mi preparai in fretta. Scelsi una maglietta semplice, niente di elaborato, e infilai il mio giaccone preferito, quello marroncino chiaro che mi faceva sentire un po' più a mio agio quando il mondo sembrava troppo grande. Non stavo cercando di impressionare nessuno, solo di sentirmi meglio.

Presi una macchina a noleggio e iniziai a guidare senza una vera destinazione. La strada scorreva sotto le ruote, e il rumore monotono del motore mi calmava. Non avevo un piano, solo il desiderio di allontanarmi da quella sensazione di pesantezza che mi opprimeva da giorni, forse mesi.

Mentre guidavo, notai qualcosa in lontananza. Delle lucine brillavano lungo la strada. Mi avvicinai lentamente con la macchina, curiosa. C'era un'insegna che oscillava leggermente nella brezza serale: era un piccolo bar, di quelli che sembrano accoglienti e un po' fuori dal tempo. Un posto che sembrava promettere una pausa dalla realtà.

Decisi di parcheggiare e scesi dalla macchina. La sera stava calando, e c'era un'aria frizzante che mi fece stringere il giaccone attorno al corpo. Spinsi la porta del bar, e un campanellino tintinnò al mio ingresso. L'interno era caldo, illuminato da luci soffuse che davano a tutto un'atmosfera intima e rilassata. Un piccolo gruppo di persone sedeva ai tavoli, parlando a bassa voce. Nessuno sembrava notarmi mentre mi dirigevo verso il bancone.

"Cosa posso offrirti?" mi chiese il barista, un uomo di mezza età con un sorriso gentile.

"Un caffè, per favore," risposi, cercando di ricambiare il sorriso, anche se sapevo che il mio sembrava stanco e forzato.

Il barista si mise subito al lavoro, e io mi sedetti su uno sgabello, osservando le bottiglie allineate dietro di lui e il modo in cui la luce si rifletteva sul vetro.

"Non sei di queste parti, vero?" mi chiese, mentre preparava la mia tazza.

Scossi la testa. "No, sono qui in vacanza... più o meno."

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