III. Happiest year

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16 marzo 2020
📍Woking, Inghilterra.

Yeah, we made each other bleed
And we tasted it
I'm here to admit
That you were my medicine
Oh, love, I couldn't quit
And I'm down on my knees again

[...]

So wake me up when they build that time machine
I want to go back
Wake me up when you were sleeping next to me
'Cause I really loved you, ooh

Lando varcò la porta di casa, lasciando la valigia davanti alla porta, non curandosi veramente di metterla in ordine. La valigia fece un rumore sordo, sapeva che la casa fosse vuota, d'altronde sarebbero dovuti tornare insieme lì. Certo, nei programmi non c'era passare un lockdown insieme, avrebbero di gran lunga preferito viaggiare o anche solo stare insieme. La situazione nel mondo si era evoluta talmente in fretta che avevano fatto in tempo solo a tornare in Europa. Guardò ancora una volta la valigia, avrebbe dovuto fare la lavatrice, mettere a posto la roba ma gli mancavano le forze. Si guardò intorno, tutto gli ricordava lei, qualunque angolo di casa aveva il suo profumo, come se fosse appena passata una volta uscita dalla doccia. Lo stomaco iniziò a chiudersi, la bile sembrava voler giocare con il suo malessere, in meno di qualche attimo si trovò con la testa appoggiata sul water a vomitare. Jon l'aveva obbligato a mangiare qualcosa durante il volo, da quando erano partiti si era chiuso a riccio e non aveva permesso a nessuno di poterlo parlare. Continuò a vomitare per minuti, mentre, le lacrime gli bagnavano le guance, rosse dallo sforzo. I muscoli gli dolevano, qualunque azione facesse, tutto faceva male. Urlò frustrato dando pugni al water, che l'unica colpa che aveva, era stare in quella casa, troppo piena di ricordi.
Le immagini continuavano a girare nella sua testa, tornarono a farlo piangere, lacrime salate di disperazione e colpa. Si accasciò a terra, si era sporcato di vomito, che senso aveva anche solo alzarsi e fare qualcosa, lei non c'era più. Era stanco, il volo dall'Australia misto a tutto quello che era successo l'avevano sfinito a tal punto da non avere più le forze e alzarsi da lì, tutto era finito com'era iniziato, in un battito di ciglia. Lasciò che lo sconforto prendesse le redini, pianse, pianse per minuti interi, sul pavimento di quel bagno che aveva visto momenti migliori.
Dopo minuti interi si alzò barcollando sino al lavabo, lo specchio davanti a lui gli dava una visione orribile. Durante il volo non aveva dormito, gli occhiali posati sul naso facevano in modo che vedesse in modo un po' più nitido ciò che fosse in quel momento: la maglia sporca, i pantaloni della tuta erano scesi lungo le anche, dandogli una visione del suo intimo,  sembrava essere invecchiato di botto. Delle leggere occhiaie gli contornavano gli occhi, il naso e le guance rosse, era un casino.
Austin, tutto ciò che poteva maledire partiva da lì. Era stato un weekend difficile ma poi si erano susseguite le gare e lui aveva smesso di pensarci, facendo finta che niente di tutto quello che la sua mente, ogni tanto gli ricordava, fosse successo davvero. Quelle labbra, erano talmente diverse da quelle della quale si era innamorato, eppure erano impresse nella sua mente come un cartello appeso al suo collo, con scritto traditore.
Si lavò il viso, i denti e tirò lo sciacquone uscendo, poi, dal bagno. Si guardò attorno, qualche foto di loro due sostava sulle mensole in bella vista, le avevano scelte insieme. Durante quell'anno ne avevano fatto a centinaia e Lando aveva deciso di farle stampare tutte, poi quelle più carine erano finite per essere appese o esposte per tutta la casa. Ormai non era più solo casa sua, ma era la loro, e lui aveva rovinato tutto.
Cercando di darsi una sistemata prese la valigia e salì in camera sua. Il primo gran premio non si era disputato, qualcuno del suo team sembrava essere risultato positivo al Covid 19 e questo aveva comportato tornare in Inghilterra e mettersi in isolamento.
Aprì la valigia buttando tutti i vestiti sul letto. La roba sporca la buttò nella cesta e quella pulita la rispose ordinata nell'armadio, la sua parte era intatta. I pochi vestiti appesi sembravano dirgli quanto fosse stato un coglione, lì guardò ancora una volta per poi chiudere con decisione l'anta dell'armadio.
Il telefono squillò, il nome di Carlos lampeggiava ad intervalli regolari. Sapeva che se non avesse risposto allo spagnolo, lui avrebbe continuato.
"Hello?", la voce gli uscì sottile e greve.
"Lando! Are you ok?", Carlos non poté far a meno di chiedergli. Si erano lasciati all'aeroporto venti ore prima, il più grande voleva solo assicurarsi che non avesse fatto nulla di stupido. Aveva visto la scena, Litzie si era trattenuta finché non erano arrivati nella loro stanza e poi era esplosa la bomba. Urla, pianti, singhiozzi, tutto si susseguiva nella mente di tutti i presenti allo stesso modo. Era successo tutto così in fretta che a momenti faticava a credere cosa fosse successo.
Carlos aspettò qualche attimo poi tornò a chiamare il compagno, che ormai aveva iniziato a piangere, nuovamente.
"Mi dispiace", continuava a ripetere. Carlos lo lasciò sfogare, tutto quello che era successo, per lui non aveva senso. Litzie e Lando erano troppo uniti e il ragazzo non sembrava in grado di tradirla.
La chiamata continuò per qualche minuto, dall'altra parte del telefono, lo spagnolo era preoccupato per come quella situazione sarebbe potuta andare. Ancora una volta Carlos si assicurò che tutto andasse bene, poi lasciò l'inglese alle sue faccende, sperando che non facesse stronzate. Si guardò attorno, sul comodino vicino alla finestra era rimasto il libro che aveva iniziato prima che partissero.

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