12. I don't need your love 'cause I already cried enough

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[ Non so se devo mettere qualche warning, ma vi avviso che in questo capitolo ci sono menzioni di violenza (domestica ??) ]

Atsumu

— Sapevo che saresti tornato da me — furono le parole che fecero sobbalzare Atsumu nel proprio letto, svegliandolo in malo modo. Alla porta, appoggiato ad uno dei due stipiti di essa, c'era Kita, con le braccia incrociate al petto, mentre osservava Atsumu ancora disteso sul letto. — Rettifico: non sono tornato da te. Sono tornato da mio fratello, basta — sputò acidamente Atsumu, sedendosi sul letto e strofinandosi gli occhi, cercando di svegliarsi per bene. Kita, d'altro canto, era rimasto alla porta e aveva socchiuso gli occhi, continuando a fissare l'altra kitsune, prima di voltarsi e lasciare da solo il biondo.

Come erano arrivati a quella situazione? Atsumu non lo sapeva e, onestamente, non voleva saperlo. Forse le voci che lui aveva trovato il suo soulmate si erano diffuse un po' troppo rapidamente in tutto il villaggio, arrivando anche all'orecchio di Kita che, evidentemente, non aveva apprezzato quella notizia e, forse, stava meditando una qualche tipo di vendetta, o contro Atsumu per non essere stato fedele o – peggio ancora – contro Kiyoomi, per esistere come soulmate.

Atsumu chiuse gli occhi – gonfi e rossi per i continui pianti notturni – e, con le dita, si massaggiò delicatamente le tempie, mandando via sia il dolore di testa mattutino sia tutti quei pensieri troppo opprimenti già di prima mattina. — Idiota — sussurrò il biondo, afferrando uno dei cuscini e buttandolo con violenza sul letto, facendolo poi cadere dall'altra parte del letto. — Atsumu, lo sai che ti sento, vero? — il sangue di Atsumu si congelò nelle vene e il suo corpo si irrigidì di colpo quando sentì di nuovo la voce di Kita, questa volta però era più vicina al suo orecchio, segno che la kitsune si trovava al suo fianco. Atsumu deglutì e afferrò le lenzuola del letto, stringendole nelle sue dita per la paura che, in quel momento, aveva preso il totale controllo del suo corpo e della sua testa.

La mano gelida di Kita iniziò ad accarezzargli una guancia, mentre sorrideva e ridacchiava, pensando a qualcosa di malsano da fare ad Atsumu che, nel frattempo, aveva iniziato a tremare. Un dolore al petto costrinse Atsumu a piegarsi in avanti, stringendo i denti e allontanando così Kita, mentre con una mano si stringeva la maglietta nel punto in cui gli faceva male, mentre con l'altra stava stringendo le lenzuola. E un solo nome gli comparve in testa: Kiyoomi. — Che cosa gli hai fatto? — chiese freddo Atsumu, facendo delle lunghe pause tra le parole per riprendere il fiato che – con quel dolore – sembrava mancargli sempre di più. — A chi, Atsumu? — Kita ridacchiò di nuovo, ottenendo da Atsumu un'occhiataccia, che poi si alzò a fatica, camminando lentamente verso la porta. — Lo sai a chi mi riferisco, Kita — parlò Atsumu, afferrando la maniglia della porta, tenendosi ad essa per non perdere l'equilibrio.

Kita si avvicinò di soppiatto ad Atsumu, spingendolo contro la porta e bloccandolo contro di essa. — Non so proprio di chi tu stia parlando — sibilò la kitsune ad un centimetro dall'orecchio di Atsumu, soffiando poi sul suo collo. Atsumu aveva la fronte contro la porta e avrebbe tanto voluto girarsi e picchiare Kita, ma la sua reputazione – seppur fosse bassa – non glielo permetteva e poi aveva anche paura di Kita che avrebbe fatto ogni tipo di male, fisico o mentale, ad Atsumu. — Parlo del mio soulmate — sussurrò Atsumu, quasi spaventato nel pronunciare quell'ultima parola, che – al contrario – fece sorridere il ragazzo dai capelli grigi.

— Non preoccuparti. Sakusa sta bene, per il momento — parlò Kita e Atsumu spalancò gli occhi quando l'altro ragazzo aveva pronunciato il nome di Kiyoomi. Come faceva a saperlo? A malapena Osamu sapeva il nome del soulmate di Atsumu. — Però, piccolo Atsumu, tu non mi sei stato fedele come ti avevo detto — iniziò a cantilenare Kita, mettendo una mano dietro il collo di Atsumu, tirandolo indietro, e afferrando con l'altra la mano del biondo che teneva stretta la maniglia della porta. — Ma non farò del male a te, perché tra qualche mese dobbiamo sposarci. E tu devi imparare ad amarmi, come ti amo io — la voce fredda di Kita arrivò nell'orecchio di Atsumu come una coltellata, mentre si mordeva il labbro inferiore, cercando di trattenere le lacrime per non sembrare più pietoso e ridicolo del solito.

Atsumu prese un grande respiro, prima di trovare la forza di rispondergli a tono. — Tu non mi ami. E anche se tu lo facessi, non ne ho bisogno, ho già pianto troppo a causa tua. — iniziò a parlare Atsumu, girandosi per fronteggiare Kita che aveva cambiato espressione, mettendo un cipiglio. — Un'ultima cosa: io non ti amo e non ti amerò mai. E non ci sposeremo nemmeno, preferisco morire piuttosto — continuò il biondo, mentre aveva iniziato a piangere per la millesima volta in quel giorno, afferrando il colletto della camicia di Kita e spingendolo via, facendolo cadere sul letto.

Dopo pochi secondi Atsumu aprì la porta della sua camera e iniziò a correre per le scale, mentre alcune delle kitsune in quella casa gli stavano urlando di non correre, mentre altre stavano urlando il suo nome per chiamarlo e per chiedergli perché stesse piangendo. In poco tempo, il biondo si trovò fuori dalla sua casa, immerso in una piazza quasi completamente vuota, in cui dei bambini stavano giocando con la palla, tirandosela lontano e divertendosi con quel gioco semplice. Atsumu in quel momento aveva il bisogno di correre, di scappare lontano e forse anche di morire, anziché continuare a vivere in quel modo. E gli bastarono due giorni insieme a Kita per capirlo.

Due mani lo presero per le spalle, impedendogli di muoversi, e Atsumu non riusciva a riconoscere né le mani né il viso della persona che si trovava davanti a sé, a causa della vista annebbiata dalle lacrime. Quelle mani si spostarono poi sulla sua schiena, avvolgendolo in un abbraccio confortante che Atsumu, un po' esitante, ricambiò dopo qualche secondo. Questo era anche quello di cui aveva bisogno: un aiuto, un abbraccio vero e sincero, una persona amica. — Atsumu — lo richiamò una voce, mentre delle mani gli asciugarono le lacrime che continuavano a scorrere sulle sue guance. Quando la vista iniziò a farsi più chiara, Atsumu riuscì a riconoscere il ragazzo davanti a sé: Akaashi.

— Che succede? Perché stai piangendo? — chiese il corvino, strofinando una mano sulla schiena dell'altra kitsune, dopo aver ripreso l'abbraccio che aveva interrotto. Ma Atsumu non parlava, non perché non voleva farlo, anzi lui sentiva la necessità di doverne parlare, ma non parlava perché non riusciva, aveva un nodo alla gola che gli impediva di dire tutto ciò che gli passava per la testa. E se lo faceva, Atsumu si ritrovava le braccia e le gambe piene di segni rossi e viola, segni che doveva stare zitto, che doveva soffrire in silenzio, che non poteva chiedere aiuto a nessuno.

Ma Akaashi non si dava per vinto, sia perché conosceva la situazione di Atsumu sia perché il biondo era stato una di quelle persone che aveva sempre appoggiato Keiji nella sua ricerca. — Voglio andarmene Keiji, io... Non ce la posso fare — iniziò a singhiozzare il biondo, appoggiando la fronte sulla spalla di Akaashi, mentre quest'ultimo cercava di consolarlo, tenendo sempre gli occhi puntati su ciò che li circondava, attento a notare un qualsiasi avvicinamento di Kita.

— Questa non è la mia vita, questa non è casa mia. Io ho bisogno di Kiyoomi, senza di lui mi sento un cadavere. Non mangio, non bevo, non dormo. L'unica cosa che faccio è piangere per un costante dolore al petto e per paura che lui mi abbia abbandonato — continuò a piangere Atsumu, cominciano piano piano a calmarsi. — 'Tsumu, Kiyoomi non ti ha abbandonato, non pensarlo neanche per un secondo. Devi tenere duro e continuare a vivere, solo così hai l'opportunità di vederlo di nuovo, di abbracciarlo di nuovo, di baciarlo di nuovo e di amarlo ancora — Keiji parlò al biondo, ripensando a tutto quello che aveva passato lui per poter amare Kōtarō.

— Perché nessuno oltre a te lo capisce? Perché mi hanno incastrato con quel mostro che dice di amarmi, ma che non fa altro che trattarmi male e, delle volte, picchiarmi? Io voglio solo stare con Kiyoomi, senza dare fastidio a nessuno — Atsumu tirò su con il naso, chiudendo poi gli occhi e lasciandosi coccolare dalle braccia di Akaashi. All'ultima parola pronunciata da Atsumu, Keiji spalancò gli occhi e portò lo sguardo verso la figura di Kita che li stava guardando da lontano, con gli occhi socchiusi e la postura impassibile.

— 'Tsumu, ho la soluzione per te — disse infine Keiji, sollevando il viso di Atsumu e sorridendogli, scombinandogli poi il ciuffo di capelli, mentre il biondo si lamentò per il gesto. Poi i due ragazzi se ne andarono nella direzione opposta a dove si trovava Kita, con Atsumu che stava pensando alle parole di Akaashi. Poteva finalmente andarsene?

𝐨𝐤𝐚𝐲, 𝐢 𝐜𝐚𝐩𝐢𝐭𝐨𝐥𝐢 𝐭𝐫𝐢𝐬𝐭𝐢 𝐝𝐨𝐯𝐫𝐞𝐛𝐛𝐞𝐫𝐨 𝐞𝐬𝐬𝐞𝐫𝐞 𝐟𝐢𝐧𝐢𝐭𝐢!
𝐞 𝐚𝐝𝐞𝐬𝐬𝐨, 𝐫𝐢𝐬𝐩𝐨𝐧𝐝𝐞𝐭𝐞 𝐯𝐨𝐢 𝐚𝐥𝐥𝐚 𝐝𝐨𝐦𝐚𝐧𝐝𝐚 𝐟𝐢𝐧𝐚𝐥𝐞:
𝐚𝐭𝐬𝐮𝐦𝐮 𝐫𝐢𝐮𝐬𝐜𝐢𝐫𝐚̀ 𝐚𝐝 𝐚𝐧𝐝𝐚𝐫𝐬𝐞𝐧𝐞?
𝐪𝐮𝐚𝐥 𝐞̀ 𝐥𝐚 𝐬𝐨𝐥𝐮𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐜𝐡𝐞 𝐚𝐤𝐚𝐚𝐬𝐡𝐢 𝐡𝐚 𝐩𝐞𝐫 𝐥𝐮𝐢?

𝐌𝐘 𝐋𝐈𝐓𝐓𝐋𝐄 𝐅𝐎𝐗 ; 𝘴𝘢𝘬𝘶𝘢𝘵𝘴𝘶Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora