13. Di quando Hermione si sentì una pessima madre

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«Sì».


Era bastata quella parola e ora Hermione Granger si trovava di nuovo in strada, avvolta nel proprio mantello, e percorreva una via della Londra babbana che non conosceva, una mano che stringeva con forza il manico della ventiquattrore, l'altra avvolta dal palmo caldo e le dita affusolate di Draco Malfoy.

Hermione non era sicura di aver scelto la risposta giusta, in realtà Hermione si chiedeva se avesse davvero avuto una scelta, quando tutto di quella giornata caotica sembrava averla portata ad acconsentire alla proposta di Draco Malfoy, senza pensare alle possibili conseguenze.

Il titolare di "Babbananze" la condusse in una stradina deserta e strinse maggiormente la presa intorno alle sue dita, mentre si fermava ad osservare il volto in penombra della donna, nell'espressione di Malfoy si poteva intravedere una punta d'incertezza: «Pronta?»

Hermione scrollò le spalle. Era fin troppo consapevole di avere ancora il volto rigato di lacrime e un imbarazzante e fastidioso singhiozzo, che sembrava non volerla abbandonare; sicuramente non era il tipo di donna che un uomo ricco e avvenente come Draco Malfoy avrebbe potuto trovare affascinante...

Interruppe subito quel corso di pensieri, chiedendosi da dove fosse emerso quell'improvviso desiderio di apparire diversamente da com'era in quel momento; cosa sarebbe cambiato se invece di avere il volto rigato di lacrime avesse avuto il suo miglior rossetto steso sulle labbra e le ciglia allungate dal mascara?

Perché avrebbe dovuto preferire mostrare una bugia, piuttosto che la vera se stessa, soprattutto se a guardarla c'erano gli occhi chiari e colmi di sincera preoccupazione di Draco Malfoy?

Erano giorni che fingeva, al lavoro; fingeva di essere più forte di quello che era, più concentrata, più preparata, quando in realtà era tutto merito della sua assistente, Emily Perkins, se non si era ritrovata a scoppiare a piangere nel bel mezzo di un'importante riunione o a chiudersi nel suo ufficio per autocommiserarsi, senza permettere a nessuno di entrare.

Emily Perkins l'aveva punzecchiata nei momenti giusti, consolata quando necessario e supportata senza chiedere nulla in cambio, se non rispetto.

Draco Malfoy, quella sera, sembrava disposto a fare lo stesso; sembrava disposto a stringerle la mano, ascoltarla senza giudizio e portarla in un posto sicuro, a casa sua, dove nulla avrebbe potuto ferirla...

Le voce di Hermione tremò appena, mentre una domanda sorgeva spontanea dalle sue labbra: «Stiamo per andare a Malfoy Manor?»

Fino a quel momento, ad Hermione non era neanche passato per la mente che l'imponente villa in cui era stata torturata dalla zia di Draco, Bellatrix Lestrange, quando era soltanto una ragazza, poteva essere il luogo verso cui erano diretti, il luogo che Draco Malfoy chiamava casa.

L'uomo scrollò la testa e sorrise, rassicurante: «Non abito al Manor da anni, da quando...»,

Malfoy abbassò lo sguardo, prima di proseguire, con voce piatta: «Da quando Astoria mi ha lasciato».

Il sollievo permise ad Hermione di respirare nuovamente, dopo aver trattenuto il respiro per quelle che le erano sembrate ore; poi un pizzico di compassione e pietà la spinse a stringere maggiormente la presa delle proprie dita intorno a quelle di Draco: «Sono pronta».

Malfoy sollevò lo sguardo negli occhi scuri, ancora lucidi per il pianto di Hermione e il dolore che aveva provato nel pensare al Manor e ad Astoria si estinse, sostituito da una calda sensazione all'altezza dello stomaco.

La Smaterializzazione durò qualche secondo e, quando la Ministra aprì nuovamente gli occhi, non poté fare a meno di sbarrarli leggermente, mentre osservava con attenzione l'ambiente nuovo in cui si trovava.

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