Capitolo 8: Il battesimo

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Giunti di nuovo nel piccolo cimitero immerso nel bosco, guardarono la croce piantata proprio al centro del terreno che indirizzava verso nord.
Così dopo che Amelia posò due girasoli sulle tombe dei genitori e averli salutati, si avviarono verso l'Accademia.

«Che ore sono?» chiese la ragazza dopo un bel po' che avevano abbandonato il cimitero.
Newt alzò il polso davanti agli occhi scrollando il braccio per far accendere lo schermo dell'orologio.

«Sono circa le ventitré e trenta...» rispose, portando l'avambraccio sulle spalle di Amelia.

Priscilla camminava davanti a loro muovendo la coda da una parte all'altra e miagolando, ogni tanto, verso qualche albero.

Continuavano a camminare nel bosco immersi nel buio, illuminati soltanto dalla piccola fiammella della lampada a gas, che man mano si affievoliva per via del vento.
Per tutto il cammino, rimasero in silenzio, la tensione poteva tagliarsi con una forbice. Si erano scambiati soltanto qualche sguardo e sorriso, niente più.

«Eccola!» esclamò Amelia indicando una piccola luce, che passo dopo passo, diventava sempre più intensa.

«Questa catapecchia?» domandò sbalordito il ragazzo appena furono abbastanza vicini per scrutare ogni dettaglio.

Un edificio, apparentemente abbandonato, grigio con la vernice tutta scorticata.
Un portone di legno scuro governava sulla facciata principale, insieme a due statue di marmo, che rappresentavano una donna in due posizioni diverse: la prima, giocherellava con i capelli e la seconda, invece, aveva una mano sul cuore. I suoi dettagli erano un po' rovinati, e trasandati; ai piedi c'era anche del muschio verde.

L'Accademia si trovava in una distesa di terra grande qualche centinaio di metri quadrati e sugli angoli del perimetro si innalzavano delle colonne, in stile romano, troncate e distrutte; che servivano a tenere lontano chiunque volesse attaccare lo stabile.

«Ma no, aspetta!» esclamò Amelia ridendo con un sorriso stampato sulle labbra.
Si posizionò parallelamente al portone, spalancò le braccia e aprì le mani in modo plateale.

«Indica mihi, mi Nasya! Indica mihi, mi Nasya!» ripetè più volte, alzando la voce, come se stesse invocando qualcosa, o meglio qualcuno.

«Ma cosa fai?» chiese Newt indietreggiando, intimidito, uscendo dalla protezione.

Dopo svariati secondi ecco che accadde la magia. Una nebbia apparse dal nulla circoscrivendo il perimetro.

«Che succede?» urlò il ragazzo che intravedeva soltanto la fitta nebbia, e non più la sua amata.

La ragazza era come in trance mentre continuava a ripetere la stessa frase, finché, la nebbia scomparve e lasciò spazio al vero volto dell'Accademia.

Amelia abbassò le braccia con un espressione soddisfatta sul volto, voltandosi verso Newt che la guardava incredulo.
«Davvero è successo?» si avvicinò ancora di più, rimanendo sbalordito dal drastico cambiamento.

Le statue cambiarono colore da marmo al bronzo e si animarono: la prima girava i capelli sul dito e la seconda batteva la mano sul cuore, guardando in cielo.
Il grigio delle pareti lasciò posto ad un rosso vivo, con degli ornamenti dorati sulle finestre. Le scale si aggiustarono ed era evidente che si aggiunsero delle assi che mancavano.
Inoltre, apparve una torre sul tetto
con un orologio sfarzoso.
Sembrava guardare un altro edificio.

«Ti piace? Non lo avevo mai fatto prima!» esclamò Amelia, gioendo per il lavoro appena concluso.
Si sentiva così potente anche se non era proprio tutto merito suo: semplicemente un incantesimo protettivo, che aveva spezzato invocando Nasya.

Amelia e la porta dell'infernoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora