Capitolo 12: Nuovi amici

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«Comunque io sono Amelia Zaira Baker!» esclamò dopo che entrambi furono usciti dall'ufficio della preside.
Allungò la mano verso il ragazzo che la guardò un secondo, esitando, per poi prenderla e posarle un bacio sul dorso.

«Piacere mio!» lasciò la mano della ragazza sorridendo. «Io sono Thomas Noah Atwood Terzo.» disse gonfiando il petto.

«Bel nome Noah! Avevo un gatto che si chiamava così...» rispose la ragazza ricordandosi del gatto che morì per aver mangiato una pianta velenosa.

«In realtà tutti mi chiamano Thomas!» sorrise, invitando Amelia ad iniziare il percorso guidato.

«A me piace più Noah!» esclamò guardandolo ridere e mostrando una fossetta che aveva sul lato destro della guancia.

«Va bene, Zaira!» disse sorridendo, mentre Amelia mise il broncio. Nessuno la chiamava mai così, soltanto sua zia quando si arrabbiava con lei.

Incominciarono il loro giro partendo dalle varie aule presenti sullo stesso corridoio dell'ufficio della preside.

Le aule non erano enormi, potevano contenere massimo una decina di alunni. I banchi erano vecchi, trasandati, con un sacco di scarabocchi sul piano superiore.
Una grande scrivania accanto alla porta d'ingresso, proprio davanti a una vecchia lavagna sporca di gesso.
In fondo all'aula c'erano due enormi armadi di legno, per contenere tutti gli oggetti che servivano per le lezioni.
Una finestra era l'unico spiraglio di luce che permetteva di illuminare tutta la stanza.
Tutte le classi erano arredate nello stesso modo e ogni mobile era nello stesso posto, era come se tutto fosse stato clonato.

Andando al piano inferiore, ovvero tornando all'ingresso dove c'era quella enorme scalinata, c'erano un paio di corridoi che portavano nella mensa e al bar.

«Vedi che carini quegli gnomi?» disse indicando i piccoli esserini che si muovevano velocemente dietro il bancone, pulendo e servendo i ragazzi.

Erano strani: orecchie allungate verso l'alto, bassi circa cinquanta centimetri e con una barba lunga fino alle ginocchia. Ognuno aveva dei cappelli a punta di colore diverso.

«Ogni colore rispetta una mansione...» disse invitando a sedere Amelia, nei tavoli del bar.
«Rosso equivale a pulizia, giallo all'ordine, blu alla mensa... e così via.» spiegò il ragazzo ordinando due bevande con un pasticcino.

«Inoltre non c'è lezione tutti i giorni, quindi puoi tornare a casa!» esclamò Noah. Addentò quel dolce in un sol boccone, mandando giù.

Amelia ascoltava con piacere tutte le informazioni che il ragazzo gli stava fornendo. Le piaceva come parlava e il suo tono di voce, che alla fine, la mise a suo agio.

«Allora hai domande?» chiese il ragazzo aprendo la porta della caffetteria per farla passare.

«Ma quale sarebbe il nostro ruolo?» domandò senza esitare, aspettava di fare quella domanda dall'inizio del giro.

Noah rimase un po' spiazzato, decidendo poi di dirigersi verso la biblioteca.
Per un po' rimasero in silenzio, ma giunti davanti a un gran portone di legno chiaro, sembrò aver ripreso la parola.

Salutò una donnina anziana dietro un bancone, che appuntava qualcosa con una macchina da scrivere. I capelli bianchi erano raccolti in uno chignon un pochino spelacchiato e indossava un paio di occhiali molto spessi, collegati a delle catenelle di perle che serviva per appendere l'oggetto intorno al collo.

Amelia e la porta dell'infernoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora