Capitolo 17: Impazzisco

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Man mano che novembre terminava i suoi giorni, Amelia iniziò ad abituarsi alla routine di una perfetta strega. Anche se, dentro di lei, le mancava qualcosa.
La quotidianità era cosi noiosa: colazione, lezione, pranzo a casa, doccia e poi tornava all'Accademia per dormire. Ormai si era adattata alla sua nuova vita monotona.

Amos, invece, impiegò settimane prima di riuscire a prendere il coraggio per chiamare Pheobe e invitarla di nuovo ad uscire.

Quando prese il suo cellulare gli tremavano le mani e mentre digitava il numero, il sudore grondava sulla sua fronte.

Aveva così voglia di vederla, di parlare con lei, ma non ebbe mai avuto il coraggio fino a quel giorno di fine novembre.

«O adesso o mai più.» ripetè deciso un paio di volte, prima lanciare il cellulare sul letto.

Prese posto sul materasso, posando la testa fra le mani sbuffando.

«Sto impazzendo per una ragazza che non potrò mai avere.» scosse la testa, cercando di riprendersi.

Dentro di sé era così confuso: non sapeva se continuare a sentirla e rischiare i suoi poteri, o lasciare stare e tornare alla sua vita di sempre. Sentiva, però, che qualcosa finalmente poteva andargli bene.

Riprese il dispositivo e digitò lentamente ogni numero di telefono di Pheobe, che ormai aveva imparato a memoria per quante volte aveva provato a chiamarla.

Iniziò a squillare, ma dopo a malapena tre squilli, scattò la segreteria.

«Ah...» sbuffò il ragazzo, lanciandosi sul letto con il telefono sul petto.
«Non la chiamerò più!» esclamò chiudendo gli occhi.

Ma dopo qualche minuto, che sembrarono anni, il cellulare iniziò a vibrare su di lui.

«Pronto?» rispose senza neanche guardare chi fosse all'altro capo del apparecchio.

«Ciao!» esclamò qualcuno.

Quando Amos riconobbe la voce della sua amata, balzò in piedi. Le mani iniziarono a tremare come poco prima, l'ansia iniziò a crescere in modo esponenziale. Mai si sentì così nervoso, neanche all'esame del college anni fa.

«Ho trovato la chiamata. Ero impegnata, volevi qualcosa?» chiese con fare dolce, come solo lei sapeva fare.

Amos scosse la testa, come se potesse vederla. Ma poi si rese conto che non le aveva ancora risposto. Non riusciva a dire neanche una parola, il che era molto strano.

«Ecco...» riuscì a dire, per poi stare ancora in silenzio.

«Sei così timido!» esclamò la ragazza, che rise molto forte.

«Ma non è vero!» disse Amos.
Non amava sentirsi dire certe cose, perché lui era veramente timido con le donne.

«Cosa volevi?» chiese ancora Pheobe.

«Volevo chiederti se ti andrebbe ancora di stare con me!» domandò così velocemente che la ragazza gli fece ripetere la domanda ancora una volta.

Era così agitato, che camminava su e giù per tutta la stanza. Poteva quasi consumare il pavimento e ritrovarsi in soggiorno.

«Va bene, perché no?» rispose la ragazza.

Amos era al settimo cielo e iniziò a saltellare su se stesso. Era veramente cotto a puntino.

«Quando?» chiese ancora la giovane.

Non perse tempo, prese una banana che aveva nel cesto di frutta sulla scrivania e la spezzettò. Mise un pezzo in bocca e ecco che sparì dalla sua stanza per ritrovarsi proprio davanti la finestra della camera di Pheobe.

«Anche ora!» esclamò dando dei colpetti sul vetro.

Pheobe chiuse il telefono e accolse con un sorriso enorme sul suo volto. Andò verso la finestra e vide la sagoma di Amos fuori.

«Sei pazzo!» esclamò tra una risata e un'altra.

Aprì la finestra con molta velocità, per non far vedere a nessun vicino, cosa stesse succedendo.

«Ora che ho visto la tua camera, posso anche teletrasportarmi qui!» esclamò girandosi per guardare meglio.

La stanza era arredata molto diversamente dalla camera di Amelia.
Il colore che prevaleva era il rosa e il lilla.

Un grande letto a due piazze dominava la scena, sembrava così morbido per via delle coperte di lana. Tantissimi pupazzi di tutti i colori erano sul cuscino.
C'era una scrivania proprio accanto alla finestra, di color crema, con un Macbook oro rosa sopra. Non c'era nessuna libreria, ma una mensola con pochi libri scolastici.
Un armadio, dello stesso colore della scrivania, occupava tutta la parete di fronte al letto.
Era semplice, la solita camera di una ragazza umana.

«Carino!» esclamò Amos, indicando un peluche a forma di coniglio.
«Sai che posso animarlo?» chiese retoricamente alla ragazza.

Prese il coniglietto, spostando delicatamente gli altri pupazzi e si sedette sul letto.

«Guarda attentamente!» esclamò richiamando l'attenzione della ragazza, che si sedette accanto a lui.

Passò la mano sugli occhi celesti del peluche e ecco che in un attimo iniziò a saltellare per tutta la stanza.

«O mio dio!» esordì Pheobe, portando le mani davanti la bocca.
«È una cosa fantastica!» disse guardando il peluche che cercava di arrampicarsi sul letto.

«E ora...» schioccò le dita.

Il peluche cadde sul tappeto, facendo un tonfo sordo e si fermò inerme. Tutto era tornato alla normalità.

La ragazza andò a raccoglierlo, rimanendo sbalordita dalla magia appena vista.

«Mi piacerebbe un sacco essere come voi!» esclamo la ragazza, girandosi fra le mani il coniglio e incredula.

In Amos si accese una lampadina, un fulmine a ciel sereno si scagliò dentro la sua mente da ingegnoso e creativo. Fu così colto da un idea strampalata e folle, che non si accorse neanche che Pheobe gli aveva chiesto cosa volesse per merenda.

Amelia e la porta dell'infernoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora