Capitolo 37: Il mio passato

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Dopo che, Amos fece finta di accompagnare Pheobe a casa sua, Noah e Amelia si diressero in camera, cercando di riposare un po'. Il ragazzo si lasciò chiudere la porta alle spalle, ma sembrava un po' affranto dalla situazione. La strega prese posto sul letto dopo essersi tolta le scarpe; aveva ancora il naso rosso per il pianto.

«Che hai?» gli chiese. Afferrò uno dei suoi cuscini e l'abbracciò posando il mento su di esso.

Sbuffò, togliendosi anche esso le scarpe e facendo il giro del materasso per raggiungerla. Si sedette accanto a lei, e iniziò ad accarezzarle i capelli, lentamente. Lei si lasciò andare, posando la testa sulla spalla del suo ragazzo, socchiudendo gli occhi.
Erano ancora tutti scombussolati, ma finalmente riuscirono a rilassare i muscoli e il cervello.

«Niente...» sospirò, rispondendo dopo un po' alla domanda posta poco prima.

Alzò la testa, cercando di scrutare ogni particolare sul suo volto, notando come fosse triste. Credeva che fosse provato anche esso dalla morte della sua amica, ma sentiva che la motivazione fosse ancora più profonda.

«Sai che con me puoi parlare...» disse con voce strozzata. Aveva ancora voglia di piangere e sfogarsi. Voleva fare qualcosa per non permettere all'assassino di vagare per le strade di Helldale indisturbato.

«È che...» fece una pausa, un silenzio che faceva pensare. «Ho paura che questa cosa possa colpite te...» ammise abbassando lo sguardo.

Se la luce fosse stata più potente, Amelia avrebbe notato come le guance del suo ragazzo avessero preso un colorito alquanto rosso. Giocherellava con le dita, afferrando il calzino bianco che copriva il piede, attorcigliandolo fra di esse.

«E devi essere triste?» domandò. Non voleva che ci fosse qualcuno in pensiero per lei, era convinta che sapeva badare a sé stessa. Era una strega, cosa poteva mai fare un umano con lei? Ma il killer aveva ucciso anche maghi che avevano poteri da anni e anni.

«Sei la prima persona con cui non voglio fare solo sesso.» spiegò. Alzò il volto, incrociando lo sguardo della ragazza, che rimase un po' stordita; ma lo lasciò continuare. «Mi sto affezionando a te, sempre di più.» schiuse di poco la bocca; voleva dirle così tante cose, ma non sapeva da dove iniziare.

«Non voglio che qualcuno ti porti via!» esclamò, portandosi le mano fra i capelli.
Sembrava nervoso, scosso. Erano dei sentimenti che non gli appartenevano ed era strano anche per lui.

Amelia, senza pensarci due volte, saltò su di lui e lo strinse in un abbraccio così forte da rimettere in sesto entrambi. Sentiva il suo cuore battere come non mai; le sensazioni erano così tante e strane. Noah le attorcigliò le braccia intorno la vita, come se non volesse farla scappare via. Le infilò le mani sotto il maglione, accarezzandogli la schiena delicatamente. Amava sentire la sua pelle nuda a contatto con le sue dita, lo faceva stare bene.

«Voglio mostrarti una cosa...» esordì il ragazzo, stringendola ancora di più a sé.

Amelia credeva che fosse arrivato il momento di donarsi a lui, di unire le loro anime definitivamente. Ma quando il mago si alzò dal letto, capì che non era quello il momento.

«Prendi le scarpe...» le ordinò, mentre si accucciava a terra per infilarsi le sue.

Amelia non stava capendo cosa lui volesse fare, ma eseguì quello che le diceva. Così la prese per mano e in un attimo sparirono, lasciando dietro di loro una nuvola bianca.

Si ritrovarono in una radura che lei non aveva mai visto; non sembrava affatto Helldale, visto che conosceva quella città come le sue mani. L'erba era così verde, che non pareva neanche gennaio. Gli uccellini cinguettavano felicemente sulle punte dei cipressi, che circondavano i due. Sotto i loro piedi, un campo di margherite si estendeva fino alla collina successiva e un profumo di fiori freschi inebriava le loro narici.

Amelia e la porta dell'infernoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora