20. Habits

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Ci volle qualche ora prima che JJ cominciasse a parlare. Non appena lo vidi ridotto in quel modo, sporco di sangue e con il viso a pezzi, anche dentro di me sentii qualcosa rompersi, mi ero sentita trascinare dentro un buco nero e cominciai a sudare freddo. Lo feci entrare subito senza dire una parola. Lui piangeva e tremava, cercavo di tranquillizzarlo per come potevo. Non rispondeva alle mie domande e non riuscivo ad essere pressante o costringerlo a tutti i costi a dirmi la verità perché la sua fragilità in quel momento mi annientava. Lo portai su, sembrava che non fosse in grado di muoversi e che dovessi essere io a guidarlo. Mentre gli toglievo la maglietta e lo lavavo con cura lui mi guardò e disse «Mi sono messo in un cazzo di guaio, Mad», i suoi occhi in quel momento erano imploranti di aiuto.
«Non preoccuparti JJ, risolveremo tutto, ci sono io con te» e lui continuava a dire che ormai era proprio un bel casino.
Quando aprii la porta pensai subito fosse stato suo padre a ridurlo in quel modo e la rabbia mi stava facendo esplodere le vene, avrei voluto distruggerlo con le mie stesse mani. Ma poi osservai meglio JJ, era spaventato come mai lo era stato ed era sconvolto. Non era stato suo padre, purtroppo alle lotte con lui c'era abituato e non lo avrebbe di certo scosso al punto da non riuscire a parlare senza balbettare. Era stato qualcos'altro. Qualcosa di cui lui non mi aveva mai parlato ma non sapevo cosa. E il pensiero di non sapere mi ossessionava, mi preoccupava, cosa mai aveva potuto combinare? Per un attimo mi maledissi perché se c'era dentro lui, c'ero dentro anch'io. Non bastava il fatto che suo padre mi odiava e minacciava mio padre perché non voleva che io stessi con suo figlio? Non bastava che dovevo tenere nascosto tutto anche se ero consapevole che prima o poi avrei pagato le conseguenze di stare trasgredendo gli ordini di quel pazzo? Ora c'era anche un'altra parte della vita di JJ che lo metteva in pericolo. E io non ce la facevo più a soffrire per lui. Però lo amavo, è così. Non potevo tenerlo lontano da me solo perché temevo i casini in cui si cacciava, o solo perché aveva un padre di merda. Lui non si è mai tirato indietro per me ed è per questo motivo che in quel momento, vedendolo solo e indifeso, vulnerabile e ferito, decisi che io sarei sempre stata un passo avanti a lui, per prendermi io tutti i cazzo di pugni e lasciarlo tranquillo, almeno per un po'.
Ero seduta in cucina mentre pensavo a tutto questo, mentre mi chiedevo chi lo avesse ridotto in quel modo e, nonostante, avesse molti nemici in città, ragazzi di cui si era portato a letto la fidanzata, tizi di scuola che lo odiavano, non credevo ci fosse qualcuno che lo detestasse a tal punto. Doveva essere qualcosa di importante, qualcosa di brutto. Volevo sapere la verità ma mentre bevevo il mio tè e riflettevo lo guardavo dormire docile e sereno sul divano, finalmente riposava nell'unico posto in cui si sentiva al sicuro. E non lo avrei svegliato. Meritava di stare bene per quanto gli fosse possibile.
Stavo sistemando la cucina quando la sua voce impiastricciata dal sonno mi chiamò.
«Mad, puoi venire qui un attimino solo?» e alzò il braccio facendolo oscillare per attirare la mia attenzione. Inutile dire che corsi subito da lui.
Mi piegai sulle ginocchia di fronte a lui ancora steso sul divano e gli accarezzai il viso, trattenendo le lacrime dopo avere visto tutti i tagli e lividi che aveva in quella bellissima faccia. Era sempre bellissima.
«Mi dispiace averti fatta spaventare» mi sussurrò, assurdo che anche quando era lui quello in pericolo finiva sempre per scusarsi con me.
«A me no, io voglio prendermi sempre cura di te» mi sorrise e dopo si incupì. Girò il viso verso il soffitto e si stropicciò gli occhi.
«Beh, Mad, questa volta sono in un cazzo di casino» ripetè ancora.
«Parlamene allora, ti ascolto» e mi misi a gambe incrociate per terra tenendogli ancora la mano forte per dargli coraggio.
«Tempo fa prima di conoscerti, oltre a comprare erba, beh, la vendevo. Dovevo dei soldi a questi tizi ma non li ho più porca troia. Mi hanno picchiato a sangue. E sarà così la prossima volta che mi vedranno e non li potrò pagare. Ecco, io sono morto» non mi stupiva il fatto che sostanzialmente si fosse messo a spacciare. A scuola c'era già la voce che lui vendesse erba e lo avevo già messo in conto quando iniziai a stare con lui. Semplicemente da quando stavamo insieme notavo che fumasse poco e niente e quindi non approfondii mai l'argomento. Forse dovevo, alla luce dei fatti.
«JJ, dio mio. Ma cosa hai fatto con quei soldi? Dovevano essere tanti»
«Ho comprato altra erba» e rise.
No, non c'era niente da ridere.
«Fumi ancora così tanto?» chiesi.
«Non tanto ultimamente perché sono sempre con te e, sai, non mi sembra corretto essere fuso. Ma quando sono solo, beh sempre» disse tranquillamente.
«Cazzo JJ per me puoi farti tutte le canne che vuoi però non fartele se poi significa essere picchiato così, non lo capisci?» la parte arrabbiata di me stava venendo fuori e anche lui si stava innervosendo. Si alzò subito in piedi.
«Ah ecco, grazie del consiglio non ci avevo pensato! Ora che finalmente mi hai illuminato con queste tue sagge parole saprò esattamente cosa fare» urlò ironico. E questo fece alterare ancora di più me.
«Sai, pensavo che con quei soldi ci avessi fatto qualcosa di più importante. Ma no, comprati erba. Così diventi ancora più coglione» mi pentii subito di quella frase.
«Sei solo una maestrina del cazzo» non risposi, non volevo alimentare un litigio inutile e fuori luogo.
Ero incazzata con lui ma non lo avrei distrutto ulteriormente con le mie parole sapendo che già era a pezzi per i fatti suoi.
«Ora per favore mi vai a prendere la giacca? Voglio andarmene» salii senza dire una parola. Forse avrei dovuto mantenere la calma ma proprio non ce la faccio quando vedo le persone a cui tengo mandare a puttane la loro vita. Dovevo trovare una soluzione per aiutarlo. E poi capii cosa dovevo fare. Forse era una scelta avventata, ma ero sicura fosse quella giusta.
Scesi giù e lui si mise la giacca. Si diresse verso la porta senza neanche degnarmi di uno sguardo.
Mise le mani in tasca e uscì fuori molti molti soldi. Tutti quelli che avevo messo da parte con il lavoro, per il mio futuro.
«E cosa sono questi, Madison?» mi chiese.
«Ciò che ti serve per liberarti di quegli stronzi» risposi senza esitazione.
Rimase a bocca aperta qualche secondo. Poi mi baciò.

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