Capitolo 15

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Ancora prima di riaprire gli occhi avvertì un invadente profumo che gli risalì attraverso le narici fin su al cervello.
Probabilmente fu proprio quella la sua sveglia e se non ci fosse stato quel profumo così insistente nell'aria non si sarebbe nemmeno alzato in tempo. Allora voltò il capo dall'altra parte del letto osservando con titubanza una matassa aggrovigliata nelle lenzuola che seguiva l'altalenante movimento di un respiro ancora assopito.
Corrugò la fronte cercando di focalizzare l'attenzione su quel corpo che si muoveva lento, ma più ci provava e più sentiva che l'unica cosa che riusciva ad avvertire veramente era quel profumo così insistente che aleggiava nell'aria. Allora spostò le lenzuola e si mise a sedere su un angolo del letto ponderando sul da farsi: se avesse aperto la finestra, avrebbe generato un'ondata di aria fredda causata dello stretto clima di febbraio. E quella gli sembrò un'opzione decisamente da escludere.
Allora decise di alzarsi semplicemente e di andarsene via da quella stanza che ormai era completamente impregnata.
In realtà non sapeva bene il motivo per cui quel profumo gli desse così tanto fastidio. Eppure non era nemmeno la prima volta che lo sentiva, anzi.
Lei era così abituata ad indossarlo che ormai era diventato quasi un indumento, un cappello, un maglione e lui, di conseguenza, non sapeva proprio in che modo poterglielo strappare di dosso. Allora pensò che il modo migliore per sopperire a quella invadente presenza fosse semplicemente sostituirla con qualcosa di più forte ma più buono. Quindi andò in cucina e accese la macchina del caffè e subito l'oggetto iniziò a diffondere un aroma completamente diverso, facendolo rilassare di colpo.
Probabilmente quella sensazione di piacere era dovuta più che altro alla sua passione nonché assuefazione nei confronti di quella sostanza scura, ma in quel momento non se ne curò più di tanto perché la cosa che gli importava di più era sostituire quel profumo.
E che lei andasse via.
Afferrò la tazza che aveva riempito di caffè e si sedette al suo tavolo in cucina, accavallando le gambe e guardando fuori dalla finestra del balcone. Era una cosa che aveva iniziato a fare tutte le mattine, e benché continuasse a non avvicinarsi mai troppo a quel posto, aveva iniziato ad apprezzare quello che, a conti fatti, era effettivamente il posto più bello del suo appartamento.
«C'è del caffè anche per me?»
Quella voce che proveniva dalle sue spalle sembrava essere ancora decisamente assonnata, allora lui non si preoccupò affatto di voltarsi e rivolgerle una qualsiasi tipo di occhiata. D'altronde lei non voleva altro che del caffè, così come non voleva altro che il suo corpo, ed era su quella linea che si trovavano in perfetta sintonia.
«Mh?» insistette lei, allora Akito si voltò trovandosela appoggiata all'uscio della porta della cucina, avvolta nelle lenzuola grigie del suo letto, con una spalla sapientemente scoperta. Corrugò appena la fronte, chiedendosi se quella spalla strategica, messa lì in quel modo, non fosse altro che un richiamo ad un ulteriore seduta intima, come la chiamava lei.
Allora si domandò se ne avesse davvero voglia.
«Ok, controllo da sola.»
«Guarda... è mezza piena.» la informò lui, accennando all'oggetto con un lieve gesto del capo. Lei allora gli sorrise, e si avviò verso il ripiano della cucina dove lui teneva la caraffa del caffè e nel fare quel breve percorso, il lenzuolo le scivolò ancora un po' di più, scoprendole la schiena. Allora Akito spostò una gamba verso il lembo del lenzuolo che lei si trascinava dietro e lo alzò leggermente con un piede.
Lei se ne accorse e si voltò verso di lui, restituendogli l'ennesimo sorriso malizioso.
«Ti dà fastidio che io vada in giro per casa così?»
Akito alzò le spalle, abbastanza indifferente rispetto a quella domanda. Non gli dava fastidio che lei andasse in giro per casa avvolta dal lenzuolo del suo letto. Probabilmente la cosa che lo infastidiva erano i suoi atteggiamenti maliziosi, che riteneva tipici di una donna della sua età, in cerca di perenni e costanti conferme su un aspetto fisico destinato a cambiare per forza di cose.
Eppure lui non avrebbe mai pensato che lei avesse bisogno di mostrarsi in quel modo agli uomini perché, a conti fatti, era una delle donne più belle con cui era stato. Allora lanciò una fugace occhiata a quella schiena che tanto cercava di spiattellargli sotto il naso, osservandone la curva morbida che si fletteva verso il basso, per poi ondeggiare ancora in su, quasi a disegnare una chiave di violino perfetta e, a quel punto, pensò che avrebbe potuto pure abbassarlo di più quel lenzuolo.
Preso da quel nuovo pensiero, che contribuì insieme al caffè a smantellare quel profumo fastidioso, appoggiò il piede sul lembo del lenzuolo che giaceva a terra inerme, e lo piantò affinché lei non potesse più decidere quanta pelle e quanto corpo mostrargli. Lei si sentì bloccata in un certo punto indistinto alle sue spalle, poi una leggera forza, a cui decise di non opporsi affatto, che tirava quell'indumento di fortuna dalla parte opposta, lasciandola quasi completamente nuda.
Allora si voltò, tenendo stretta in una mano la tazza di caffè che si era appena versata, l'altra restava salda sul lenzuolo che le era arrivato ormai al ventre, scoprendole interamente il seno. Akito la guardò attentamente, percorrendo con gli occhi le curve perfette di quella donna fino a giungere al viso rotondo. Pensò che le sue labbra erano veramente eccitanti nella loro forma ovale, ma non gli erano mai interessate più di tanto.
Allora Mako sorrise ad Akito, ma lui non le rispose focalizzando la sua attenzione su tutt'altro, ripercorrendo con lo sguardo quel sentiero a ritroso per arrivare a fissare i suoi seni scoperti.
«Che c'è? Vuoi ricominciare?»
A quella domanda lui ci pensò sul serio, e si chiese se in effetti avesse davvero voglia di riprendere il discorso interrotto quella notte solo perché un'immane stanchezza era sopraggiunta, sorprendendo entrambi. Si domandò se, effettivamente, avesse davvero voglia di infilarsi nuovamente in quella donna, oppure voleva solo dimostrarle che lui sapeva provocare molto meglio di lei.
Allora si alzò in piedi, abbandonando il suo caffè sul tavolo e raggiungendola in pochi istanti. Le si appoggiò addosso, fermando una mano sul ripiano della cucina alle sue spalle e bloccando ogni suo possibile movimento.
Mako sorrise, aspettando che Akito facesse la sua mossa. Se c'era una cosa che la spingeva a raggiungerlo spesso nel suo appartamento, era proprio quel suo fare deciso che veniva fuori da chissà quale parte profonda del suo essere. Non era mai riuscita a prevedere nessuna delle sue mosse, e proprio quel travolgente gioco fatto di poche parole ma molti fatti, eseguiti con una certa furia animalesca, la attirava verso di lui, proprio come una falena verso la luce.
Entrambi vivevano una vita trascinata, ma probabilmente Mako ne aveva piena consapevolezza a differenza di Akito, per cui tutto quello che la spingeva era riuscire in qualche modo a sopperire a quel senso opprimente di appiglio che scivola via lungo le dita di una mano. Lei sapeva perfettamente che quella situazione era un palliativo, ma sapeva anche quale fosse il suo problema. Tuttavia, con la stessa sicurezza con cui conosceva se stessa, avrebbe affermato che invece Akito viaggiava semplicemente alla deriva, senza avere la minima idea di quale fosse la meta agognata. E pensava spesso anche che lei, alla sua età, aveva una vita completamente diversa e, per certi aspetti, Akito le faceva una gran tenerezza.
Tuttavia, erano proprio quei momenti a spingere fuori il lato più animale del ragazzo, perché appena lei cercava di rivolgergli un sorriso addolcito dalla tenerezza che lui le suscitava, Akito rispondeva in maniera diametralmente opposta. In più di un'occasione, aveva semplicemente smesso di guardarla in faccia, per strapparle letteralmente i vestiti di dosso.
Quel ragazzo per lei era uno strano contrasto, ma per quanto avesse desiderato trascorrere la mattinata in sua compagnia, si vide costretta a tenerlo a bada. Così mentre le sue dita si infilavano prepotentemente tra le cosce di lei, esplorando un'intimità che gli era stata servita su un piatto d'argento, Mako gli prese un polso arrestando i suoi movimenti.
«Temo che sia tardi, comunque.» gli sussurrò sulle labbra. Lui allora corrugò la fronte, emettendo uno strano verso e sfilò rapidamente le dita dal suo corpo, senza curarsi minimamente di essere gentile o tantomeno delicato. Spesso si riduceva ad un vero e proprio sfogo il sesso tra loro, almeno Akito pensava che doveva dare quella impressione visto da fuori. Ogni volta che lei lo raggiungeva nel suo appartamento, lui evitava di parlare afferrandola dove capitava, facendo suo quel corpo che sembrava avergli dato il pieno consenso di fare ciò che voleva. E non si era mai nemmeno preoccupato di gestire un ipotetico lato emotivo o lontanamente dolce, perché tutto quello che voleva era non sentire più niente.
Ma in quel momento, tornò a sedersi sulla sedia dov'era poco prima accavallando le gambe.
«Mi piacerebbe davvero passare tutto il giorno a fare sesso con te, Akito. Ma la scusa della riunione fuori città comincia a non reggere più ed è meglio che mi faccia trovare a casa, al suo ritorno.» gli comunicò, avvolgendosi nuovamente nel lenzuolo.
Akito alzò le spalle, domandandosi allora perché avesse fatto tutta quella scena di spalle scoperte e schiena spiattellata in faccia, se poi non aveva davvero tempo per fargli finire lo spettacolo.
Ma più che una tortura, l'avrebbe definita simile ad una scocciatura, e riprese a bere il suo caffè.
«Possiamo vederci tra qualche giorno... magari venerdì. Lui il venerdì sera esce sempre e non si chiederà certo che fine faccia sua moglie.» lo informò tranquilla.
«Fa' come ti pare.» le rispose semplicemente, senza fornire nessun altro tipo di dettaglio su come certe questioni lo facessero sentire. La verità era che, con la ritrovata lucidità, non sopportava più quel dannato profumo.
«Allora ti scrivo io.» concluse lei, dandogli le spalle per tornare in camera e recuperare le sue cose.
«Mako?» la chiamò, prima che lei fosse troppo lontana per sentirlo, allora tornò sui suoi passi, affacciandosi all'uscio della porta.
«Mi dici che profumo indossi?»
«Oh... si chiama J'adore, è di Dior. Ti piace?» fece lei sorridente. Ma lui si limitò ad osservarla per un momento che a lei sembrò più lungo del solito per poi rifilarle la solita alzata di spalle. Si voltò dalla parte opposta continuando a bere il suo caffè.
E in quel momento che Mako sentì nuovamente quel moto di tenerezza che Akito, di tanto in tanto, le suscitava.
Quando si ritrovò da solo, dopo che Mako si era prodigata a salutarlo con un lieve bacio sulla guancia, Akito depositò la sua tazza di caffè ormai vuota nel lavandino della cucina, e tornò nella sua camera da letto. Osservò rapidamente ciò che era rimasto dell'ennesima notte trascorsa con lei appoggiando lo sguardo sul lenzuolo che si era messa addosso per raggiungerlo in cucina, e che ora giaceva sul suo letto sotto forma di una matassa informe. Ne afferrò un lembo, tirando verso di sé il lenzuolo per distribuirlo sul letto, ma sentì immediatamente le tracce indistinguibili di quel profumo. Allora abbandonò l'impresa e si lanciò verso la finestra della sua camera, spalancandola completamente.
Erano ormai parecchi mesi che Akito aveva smesso di seguire le lezioni all'università per dedicarsi esclusivamente al suo lavoro al locale di John. L'idea di abbandonare quel corso di studi, in realtà, gli era balenata molto tempo prima, quando si era reso conto che in quel modo non sarebbe andato da nessuna parte. E l'impegno nello studio non c'entrava affatto perché non era mai stata una variabile veramente determinante.
Quando si era iscritto all'università, era stato John a spronarlo ma lui non si era mai sentito veramente convinto di quella scelta. Aveva sempre sostenuto che non fosse necessario un pezzo di carta per tenere salde le redini della propria vita, benché meno di quella economica e, reduce da una serie di riflessioni nemmeno troppo sottintese, aveva lasciato tutto per lavorare al locale a tempo pieno. E aveva anche colto la palla al balzo della sua espulsione dopo la faccenda del pestaggio di Gomi per poter chiudere definitivamente quel capitolo della sua vita.
Proprio a causa della sua ormai costante presenza, ogni giorno andava lì per sbrigare le faccende da retro bancone che comprendevano avere a che fare con i fornitori, gestire il piano marketing e definire qualche aspetto un po' contorto della politica pubblicitaria di John.
Di quest'ultima parte Akito non se n'era mai preoccupato troppo, ma si rese conto che effettivamente avrebbero potuto migliorarsi notevolmente. Non che quell'osservazione fosse stata farina del suo sacco. Il merito era stato proprio di Mako, che gestiva l'agenzia pubblicitaria alla quale John aveva iniziato a rivolgersi pochi mesi prima.
In realtà aveva conosciuto Mako solo dopo un paio di settimane di stretta collaborazione con quell'agenzia. I primi tempi aveva avuto a che fare con un certo Hiroto Yamada che, in effetti, era il capo dell'azienda. Ma dall'alto della sua posizione di coordinatore di tutto lo staff, aveva deciso ben presto di delegare il compito di gestire l'aspetto comunicativo dell'Old Boy ad una delle sue collaboratrice, Mako per l'esattezza.
E lei si era dimostrata subito molto interessata alla causa perché, come aveva raccontato nei primi trenta minuti di conversazione con John e Akito, quando aveva vent'anni si era pagata l'università facendo la cameriera proprio in un locale simile a quello. Allora aveva iniziato a frequentare l'Old Boy molto assiduamente, cercando spunti per lavorare ad un ottimo progetto che avrebbe di sicuro messo il loro locale al primo posto tra i più frequentati della zona.
Ma se John si era mostrato entusiasta del progetto di Mako, che comprendeva una serie di concerti live ben sponsorizzati attraverso una massiccia campagna di diffusione attraverso alcuni canali radio, Akito aveva subito mostrato la sua titubanza pensando che, in effetti, gli affari non andassero affatto male e che a strafare si sarebbe rischiato di finire davvero male.
Lui aveva sempre pensato che Mako, in realtà, lo avrebbe invitato comunque a quella serata live dopo nemmeno un mese di lavoro insieme, anche se non ci fosse stata di mezzo una sorta di riabilitazione di quel genere di eventi agli occhi del ragazzo da parte dell'affascinante pubblicitaria.
Lo aveva sempre pensato, semplicemente perché era stato perfettamente in grado di leggere il linguaggio del suo corpo quando si era presentata alla serata con un vestitino attillato color oro, che le lasciava la schiena completamente nuda così come le gambe. E il fatto che John e la sua ragazza Kagome non fossero stati minimamente contemplati in quella situazione era stata una certezza che si era semplicemente aggiunta a quel bacio che lei gli aveva praticamente implorato di darle, quando la folla del concerto era diventata così ingombrante da riuscire a nascondere entrambi da occhi indiscreti.
E alla fine quel bacio era diventata una notte di sesso trascorsa nell'appartamento di Akito, a cui avevano fatto seguito molti altri incontri analoghi. La sicurezza di Mako si consolidava nel silenzio di Akito che, molto spesso, riempiva i tempi morti dei loro incontri notturni. La sicurezza di Akito, invece, era stata tempestivamente sancita il giorno in cui Mako si era presentata al locale con suo marito, poco tempo dopo il loro primo bacio.
Era riuscito a fare una doccia veloce, ma non aveva fatto in tempo a sistemare la sua camera da letto, le lenzuola e tutto il resto. Si vestì velocemente per andare al locale, dando fugacemente un'occhiata al suo orologio da polso per controllare l'ora.
Si rese conto di avere davvero poco tempo per riuscire a fare fronte agli impegni che aveva quel giorno, a partire proprio dal dover andare al locale di John. Questi aveva mantenuto la malsana abitudine di conservare ogni sorta di documento nella cassaforte dell'Old Boy, per cui Akito fu costretto ad andare lì prima di ogni sua altra commissione, e recuperare il plico con i documenti di cui aveva bisogno.
Il suo più grande problema, comunque, era diventato il fatto di dover andare in giro senza la sua moto. Da quando l'aveva venduta aveva dovuto ponderare molto bene su come spendere i suoi soldi per un mezzo alternativo. Certo era che la somma ricavata non era stata proprio esigua ma, visto il fatto che con cui soldi aveva estinto il suo debito con John, non gli era rimasto granché.
Così, circa due mesi prima aveva acquistato una piccola auto di seconda mano, nell'attesa di potersi permettere nuovamente un mezzo a due ruote. Quindi, oltre al fatto di aver sostituito la moto con un'auto, a dargli noia c'era sempre quella coda assurda che si formava in prossimità del centro che lo spingeva, ogni volta che usciva di casa, a piantare l'auto dove capitava per continuare ad andare in giro a piedi.
Allora sbuffò quando i suoi occhi videro per l'ennesimo giorno di fila, l'ingorgo rumoroso che lo aspettava lungo la strada che lo avrebbe condotto all'Old Boy. Abbassò il finestrino per appoggiare il braccio verso l'esterno, nonostante l'aria fosse decisamente fredda sentiva che quella mattina aveva stranamente bisogno di sentire il gelo pungergli il viso. Se lo sentiva quasi imbalsamato e, probabilmente, se avesse esposto a John quella specie di considerazione, il suo amico gli avrebbe risposto semplicemente che il motivo per cui si sentiva in quel modo era perché la sua faccia non mostrava la minima espressione, oltre la completa indifferenza.
John era l'unica a definire indifferenza quella che tutti gli altri traducevano come apatia, quell'aggettivo era scappato perfino al suo avvocato una volta, quando Akito si era mostrato del tutto disinteressato alla possibilità di dover svolgere un lungo servizio civile per poter espiare le sue colpe.
Guardò l'ora sul suo orologio e sbuffò, dimenticando perfino quante volte l'avesse fatto da quando si era svegliato quel giorno. Forse il primo sbuffo lo aveva dedicato proprio a Mako nascosta tra le lenzuola del suo letto, o al suo profumo. A volte distinguere tra lei e la sensazione che provava nei confronti di quell'odore diventava molto complicato, e quindi sbuffava.
Sì, doveva averlo fatto proprio quella mattina.
Accelerò di poco in vista dell'ingorgo che sembrava si stesse lentamente liberando, quando finalmente adocchiò un parcheggio non troppo lontano dal locale, si fiondò all'istante decidendo in quel momento che avrebbe lasciato lì la sua auto per poi continuare i suoi giri a piedi.
Prese velocemente i documenti che John gli aveva lasciato nella cassaforte e sentì in bocca il sapore amaro ma riconoscibile di déjà vu perché lui, una situazione del genere l'aveva già vissuta. E di certo non stava pensando soltanto alla trafila infinita che aveva vissuto con il suo avvocato e John dopo quello che era successo a Gomi. Quando strinse tra le dita quel plico di carta non riuscì ad evitare di pensare a quel giorno in cui aveva fatto la stessa cosa, con l'unica differenza che ad aspettarlo all'esterno c'era lei.
Eppure tutto quello che era successo dopo, aveva posticipato la consegna di quei documenti di quasi un anno, e per Akito quel momento stava facendo riemergere un passato nemmeno troppo lontano, ma che non era stato ancora in grado di guardare in faccia.
Lui aveva sempre pensato, in quegli ultimi dieci mesi, di aver imparato a convivere con certe cose e, benché spesso evitasse semplicemente di riportare alla mente certi eventi, la vita sembrava metterglieli in faccia costantemente. Nonostante quei documenti non avessero nulla a che fare con lei, almeno non direttamente, Akito la pensò come gli succedeva spesso. Così come altrettanto spesso gli succedeva di scuotere poi la testa, come se quel gesto bastasse a far uscire via certi pensieri ingombranti.
Appoggiò una mano sul bancone percorrendolo per tutta la sua lunghezza, fino ad arrivare al retro del locale. In realtà quel posto era pregno di lei, e mentre passava la mano sul bancone di legno, la sua mente andò dritta all'unica notte trascorsa insieme.
E, di nuovo, scosse la testa.
Accelerò il passo verso il retro e recuperò in fretta i documenti che John gli aveva lasciato. Richiuse la porta del locale con le chiavi e si allontanò, cercando di vincere quella disastrosa partita a ping pong che la sua testa stava facendo con l'ultima immagine di lei che ricordava.
E quella pallina bianca continuava a sbattere forte contro le pareti dei suoi occhi, sbatteva tra le lenzuola dove aveva dormito Mako la sera prima, circondate da quel profumo fastidioso e dalle sue movenze sinuose ed accattivanti, e si rompeva quando toccava la terra che lei gli aveva tolto da sotto i piedi, lasciandolo cadere in un mondo in cui non riusciva più a capire cosa volesse che gli accadesse.
E cosa sperasse stesse accadendo a lei.
Alzò la testa e contò i piani che avrebbe dovuto oltrepassare per raggiungere l'ufficio del suo avvocato in cui, presumibilmente, doveva esserci anche il notaio. E la faccia di quest'ultimo, sorridente e soddisfatta, gli diede ancora più ai nervi.
Allora cercò di focalizzare la sua concertazione su John.
«Signor Hayama... ormai è fatta.» lo accolse proprio in quel modo, a braccia aperte e con una penna stretta in una delle mani. L'altro invece, il suo avvocato, era sobriamente seduto dietro la scrivania, su una grossa poltrona di pelle scura e rigirava dei fogli tra le mani.
«Hayama prego, si accomodi.» lo esortò, indicandogli una delle due sedie disposte dall'altra parte della scrivania.
Akito si sentì leggermente a disagio, ma anche in una strana e trepidante attesa. Pensò che avrebbero dovuto sbrigarsi perché qualcos'altro sarebbe potuto accadere, proprio come quasi un anno prima, allora si precipitò alla sedia e porse i documenti al suo avvocato, sotto lo sguardo vigile dell'altro.
«Dove devo firmare?» domandò sbrigativo.
«Deve mettere due firme leggibili qui e un'altra sul documento di richiesta di emancipazione.» fece l'avvocato, porgendogli una serie di scartoffie da firmare. Akito le scrutò brevemente, acciuffando qua e là parole chiave in grado di spiegargli il contenuto di quei testi estremamente tecnici e formali. Tutto quello che voleva era avere la libertà giuridica per decidere di sé, ma soprattutto dare a John la libertà di non dover essere più così estremamente preoccupato per lui.
Avrebbe voluto avere le facoltà oratorie necessarie per fare a John uno di quei discorsi strappalacrime di ringraziamento, nonostante il suo duplice ruolo di tutore e amico lo aveva spesso destabilizzato. Lui aveva sempre compreso il peso che la decisione di John verso di lui aveva avuto nella sua vita, ne era sempre stato consapevole, ma allo stesso tempo si era domandato molte volte quale fosse il confine tra loro due. Che il John che lo aveva preso sotto la sua ala protettiva fosse o meno lo stesso che aveva deciso di essergli anche amico e quando era venuto l'uno e poi l'altro.
Tuttavia, malgrado avesse spesso pensato quelle cose, la natura del loro rapporto non aveva comunque inciso sui suoi atteggiamenti verso di lui. Ma la stessa cosa non era successa con Sana.
Nei confronti di lei aveva spesso sostenuto di vivere in una specie di scissione emotiva in cui esisteva l'Akito che le era entrato dentro e che aveva sconvolto il suo mondo e, allo stesso tempo, in qualche remota parte del suo cervello fluttuava l'Hayama bisognoso, il ragazzo che aveva avuto un passato difficile e che aveva suscitato la sua compassione in più di un'occasione. In primo luogo quella sera di febbraio di tre anni prima, quando lei lo aveva tirato su senza nemmeno saperlo. E a volte lui ci pensava al fatto di non essere mai riuscito a dirle tutta la sua storia fino in fondo.
Sbatté gli occhi un paio di volte, mentre quelle parole scure stampate sul documento che avrebbe dovuto firmare gli rimbalzavano sotto il naso. Allora scosse la testa e si sentì anche uno stupido per aver elaborato l'ennesimo pensiero su una cosa che, di fatto, non esisteva più.
Sana Kurata, nel suo perenne essere indecisa e insicura su quanto volesse dalla vita e come lo volesse, a quanto pareva era riuscita a cambiare atteggiamento, perché lei da quel mattino a casa sua non era mai più tornata indietro.
E lui, tutto sommato, aveva imparato ad accettarlo.
Stava per emanciparsi legalmente, dopo un anno di ritardo a causa dell'incidente con Gomi, aveva una vita che andava, in qualche modo. Alla fine poteva conviverci con quella strana idea di cosa che gli sfuggiva perennemente dalle mani, senza riuscire a capire di cosa si trattasse. Bastava scuotere la testa e...
«Non firma? Qualche ripensamento?» fece il notaio alle sue spalle.
Akito non rispose, si limitò ad apporre il suo nome dove gli aveva indicato il suo avvocato velocemente, per poi riconsegnare i documenti spingendoli sulla scrivania verso di lui.
L'avvocato poggiò i gomiti sul tavolo e incrociò le dita sotto il mento.
«Bene Hayama, tra qualche settimana riceverà il responso da parte del tribunale, ma non ci sono i presupposti per pensare che sia negativo. Direi che possiamo essere contenti del risultato...» commentò con un sorriso soddisfatto. Hayama lo scrutò per qualche secondo, ritendendo quello l'unico sorriso opportuno da parte sua, ma non disse nulla, limitandosi ad accavallare le gambe in attesa di essere congedato.
«Comunque, le consiglio di tenere la testa bassa... quello che è successo l'anno scorso le ha ritardato l'emancipazione solo di un anno. Spero che lei abbia capito la lezione e che non si metta più a correre un rischio così stupido. Con i precedenti che ha, non ci vuole niente a tornare dentro per rissa e aggressione.» concluse, allontanando le mani l'una dall'altra e abbandonandosi sulla poltrona in pelle scura.
Akito sollevò le sopracciglia, guardandolo con insistenza.
«È tutto... le farò sapere appena avrò notizie dal tribunale.»
Allora Akito si alzò rapidamente dalla sedia, salutando i due senza troppi convenevoli. Sperò che il responso da parte del tribunale non avrebbe tardato troppo e così si rimise in marcia per tornare al locale.
E non si sorprese di trovarvi John al suo interno, insieme a Kagome. Hayama salutò entrambi con un cenno del capo, dirigendosi al bancone dove lei era seduta su uno sgabello intenta a leggere dei documenti. John, invece, se ne stava in piedi dall'altra parte del bancone sporgendosi di tanto in tanto verso la lettura di Kagome.
«Oh, Akito. Com'è andata?» domandò lui. Hayama gli rivolse un'asettica alzata di spalle, poi si sedette su uno degli sgabelli in fila al bancone.
«L'avvocato dice che dovrei avere una risposta entro qualche settimana, ma sembra fiducioso sull'esito positivo.» disse in tono tranquillo.
«Grandioso, alla fine si è risolto tutto. Visto Acchan
«Già.»
«Ehm, Akito... credo che anche tu dovresti dare un'occhiata a questi.» si introdusse Kagome, porgendo ad Hayama il plico di documenti che lei e John erano intenti a leggere. Allora lui si sporse verso di lei, reggendosi con una mano sullo sgabello, finché non si introdusse anche John.
«Questi li ha mandati il notaio... dovresti recuperare i tuoi documenti e fare tre copie per ognuno. Ma una volta che il tribunale ti darà il via libera, è fatta amico.» disse John con un sorriso che gli arrivava fin dentro gli occhi. Akito si domandò se quella svolta nella sua vita rendesse più felice John che se stesso, ma ogni volta che cercava di riflettere veramente su quell'aspetto non riusciva a cavare nemmeno un misero ragno dal buco. Allora desisteva e gli mostrava la sua gratitudine, proprio come in quel momento, perché senza John probabilmente la sua vita sarebbe stata molto diversa.
«Sei contento, Acchan
«Di diventare tuo socio... non lo so. Sarò costretto a vederti ancora più spesso, non so se mi conviene.» rispose lui, facendo un piccolo salto dallo sgabello e avviandosi verso il retro del bancone.
«Ti è tornato il sarcasmo vedo... è successo qualcosa?» lo seguì verso il retro osservando Hayama che accendeva la caffettiera per poi lasciarsi andare sul divanetto malandato, che continuava ad occupare il suo posto d'onore in quella piccola saletta.
«Quando mai se n'è andato?» replicò, con una certa indifferenza.
Allora John si avvicinò verso la caraffa con il caffè che si riscaldava e prese due grosse tazze. Aspettò qualche minuto prima di spegnere l'elettrodomestico, per poi versare il caffè in entrambe le tazze. Si avvicinò ad Akito, porgendogliene una per poi sedersi accanto a lui.
«Comunque, non mi convince la nuova trovata pubblicitaria di Mako... tu ci hai parlato?» domandò, scrutando l'altro con la coda di un occhio. Hayama non si scompose nemmeno di un millimetro, se non per avvicinare la tazza fumante alle labbra.
«In realtà no. Pensavo di farlo nei prossimi giorni. E comunque sai che a me certe sue trovate non sono mai piaciute.»
«Be' ma vi vedo in sintonia... pensavo che ne aveste parlato. E cosa hai fatto ieri invece?» continuò lui, dedicandosi poi al suo caffè. Hayama lo guardò per un lungo istante, poi ritornò alla sua tazza.
«Niente di particolare. Ho guardato un film in tv.»
«Ah sì? E che film?»
«Non me lo ricordo.» fece lui, appoggiando poi la schiena contro il divano e chiudendo gli occhi. Rilassò i muscoli in un profondo sospiro, a volte con John gli serviva tutta la poca pazienza di cui disponeva.
«Mh... comunque, ti trovo un vero schifo, sai?»
Akito allora si voltò verso John e gli rivolse un'alzata di sopracciglio irritata.
«Già, hai le occhiaie e sembri stanco morto. Che stai combinando?» gli domandò con tono tranquillo. Fece un altro sorso di caffè e rilassò anche lui le spalle, convinto che in realtà Akito non gli avrebbe raccontato nulla di quanto lui volesse sapere. Ma quell'aspetto del suo amico non era mai stato un vero e proprio impedimento. Aveva sempre scavalcato la sua volontà di essere impenetrabile come l'argilla, ritendendola più che altro un inutile atteggiamento che si portava dietro da quando si sentiva solo un bambino solitario.
«Niente di particolare... devo cambiare materasso mi sa.» gli rispose lui, mantenendo quell'aria indifferente che John avrebbe volentieri preso a cazzotti. Allora, in preda ad un furore dettato esclusivamente da quella voglia di picchiare il suo amico a sangue fino a farlo rinsavire in qualche modo, si voltò completamente verso di lui, appoggiando un gomito sullo schienale del divano.
«Materasso eh? Che stai combinando Akito?»
«Te l'ho detto... niente di particolare.» fece lui, con uno strano tono innocente.
«Guarda che il marito di quella lì è uno importante. Vedi di non fare altre cazzate.»
Quella frase si guadagnò un'occhiata un po' più lunga da parte di Akito, che scrutò John corrugando la fronte.
«Non so di cosa tu stia parlando.» continuò lui, tornando a concentrare la sua attenzione sul caffè. Akito in quel momento non provava assolutamente nulla, e se da una parte la sicurezza che quella specie di relazione che aveva con quella donna difficilmente sarebbe venuta fuori soprattutto per le draconiche imposizioni che lei stessa aveva messo alle modalità dai loro incontri, dall'altra il fatto di non avere il minimo interesse nei suoi confronti lo spingeva a cercarla solo quando voleva soddisfare certe necessità, e il fatto che fosse lei a farsi viva, in realtà, era qualcosa che avveniva con molta più frequenza. In ultimo, per gli accordi che aveva preso proprio con Mako, la loro campagna pubblicitaria era salva comunque, e in ogni caso.
«Non fare l'idiota con me, possibile che tu abbia ripreso a fare solo cazzate? Eppure mi sembrava che fossi maturato su certe cose...»
«Senti, non cominciare a rompermi le palle. Ho firmato i documenti e tu non sei più il mio tutore legale. Non capisco perché debba scaldarti tanto per una cosa da niente.» replicò Akito, iniziando a mostrare un certo tono insofferente.
«Perché me ne frego di quei documenti. Non sarai più sotto la mia tutela, ma sei un mio amico... il più caro che ho e mi sembri messo male, ultimamente.»
In realtà quelle parole suscitarono qualcosa in Akito, e proprio quel sentimento che lui sentì essere così vicino ad una specie di imbarazzo gli impose di inchiodare lo sguardo nel liquido scuro, che ondeggiava lentamente nella tazza.
«Non ti devi preoccupare, è tutto sotto controllo.» suggerì, continuando a seguire quelle piccole onde che sparivano appena raggiungevano la parete di ceramica.
«Senti... io sono contento che tu ne sia uscito e che ti sia buttato la storia dell'aggressione alle spalle. Sono contento che tu stia per diventare mio socio, ma vedo che continui a perderti. Vedo che ti trascini e che...»
«Cosa John? Cosa faccio? Il fatto che Mako sia sposata è un problema che vedi solo tu. Chi se ne frega di lei.» sputò senza nemmeno riflettere, alzandosi di scatto dal divano.
«Allora perché buttarsi in queste situazioni complicate, perché continuare a insistere e farsi del male? Perché continui a fare cazzate solo perché non riesci a smettere di pensare a colpe che nemmeno hai.»
«Perché magari io sono fatto così... magari è questo quello che mi fa stare bene.» disse, indicando con le braccia allargate dei punti indistinti intorno a sé.
John restò fisso con lo sguardo su di lui, senza muovere nemmeno un muscolo.
«Non capisco quale sia il problema, vita mia decisioni mie.»
«Decisioni di merda direi.»
«Sì, ma è comunque la mia merda e se voglio scoparmi una, non vedo quale sia il tuo problema John. Mi sembri mio padre, Cristo.» sbuffò le ultime parole, passandosi una mano tra i capelli con fare esasperato.
Allora l'altro si alzò in piedi, stringendo la tazza di caffè con entrambe le mani, guardando Akito per una manciata di minuti.
«Alla fine non cambi mai Acchan. Ti senti messo sempre alle strette quando qualcuno si preoccupa per te.»
Akito sollevò entrambe le sopracciglia, in un'espressione di lieve stupore.
«Puoi farti chi ti pare, in realtà. Non era veramente quello il punto, ma evidentemente sei troppo impegnato a fare cazzate per avere una discussione decente.» concluse, dandogli le spalle per avviarsi verso la sala dove c'era ancora Kagome seduta al bancone.
Akito lo seguì con lo sguardo, quando John interruppe la sua marcia per voltare appena il viso verso di lui.
«Oh e, io e Kagome oggi abbiamo alcune commissioni importanti. Se non hai troppe cazzate da fare, potresti andare a prendere Akira al negozio di tolettatura?»
«Con il cane arrivano anche le responsabilità, non lo sapevi?»
A quella battuta, Akito riuscì ad intravedere un debole sorriso sul profilo quasi nascosto di John, e in realtà quella constatazione lo fece sentire sollevato.
«Si chiama Pet Grooming, quartiere Ueno. Akira dovrebbe essere già pronta... povera anima, quando vedrà te al nostro posto le verrà un colpo.» terminò ridacchiando, prima di abbandonare il retro bottega per raggiungere Kagome.
In realtà Hayama aspettò ancora qualche minuto prima di uscire dal retro e recuperare la sua giacca per andare a prendere il cane di John e Kagome. Si sentiva in qualche modo in difetto a farsi vedere dopo quella specie di discussione, e nemmeno tanto verso John. Aveva la strana sensazione che Kagome lo guardasse sempre in modo strano, quasi come lo guardava Mako in certi momenti che lui proprio non riusciva a sopportare.
Allora oltrepassò la sala, salutando entrambi con un fugace gesto del braccio ed uscì dall'Old Boy per andare verso Ueno.
Digitò l'indirizzo di quel negozio di tolettatura che non aveva mai sentito nemmeno nominare e mise in moto la macchina, sbuffando sonoramente quando il cellulare gli segnalò un ingorgo proprio a pochi chilometri dal Pet Gooming. Si passò una mano tra i capelli ripensando ai tempi ormai andati in cui poteva andarsene in giro con la sua moto.
In realtà non si era mai pentito di averla venduta per ridare a John i soldi spesi con gli avvocati per la faccenda di Gomi, il suo unico problema era la frustrazione di non averne abbastanza per liberarsi di quel rottame a quattro ruote che lo portava, più o meno in giro.
E alla fine la sua mente ritornò nuovamente a quel periodo perché aveva la strana e costante percezione che la sua vita si fosse fermata proprio in quel momento. Aveva la sensazione di non avere niente tra le mani e, soprattutto, l'inquietante sapore di totale indifferenza nei confronti di quella considerazione. Aveva sempre pensato di non meritare niente, ma aveva avuto John e l'Old Boy; aveva spesso sostenuto di non essere in grado di riconoscere la felicità perché non l'aveva mai provata, ma aveva incontrato Sana. E il bello era che non l'aveva solo incontrata, l'aveva provata, l'aveva vissuta e così come la sua mente si stava abituando all'idea di volerla avere nella sua vita, così proprio la vita aveva messo lei nella condizione di scegliere anche per lui.
E l'aveva fatto eccome.
Sbuffò di nuovo, sentendosi anche abbastanza idiota perché ultimamente non faceva che ragionare sul fatto che in fondo lei, alla fine, una decisione l'aveva presa, e in qualche modo non poteva farci proprio niente. Così come aveva voluto a suo tempo.
Svoltò a destra e imboccò l'arteria principale del quartiere Ueno, osservando distrattamente tutti quei negozi colorati e pieni di gente che riempivano le strade di quel posto così diverso da tutto il resto della città. Rapidamente riuscì ad infilarsi tra due macchine parcheggiate e si sentì stranamente fortunato di aver trovato un posto così vicino alla meta. Il negozio di tolettatura si trovava a circa cinquecento metri di distanza.
Scese dall'auto e si avviò tra la moltitudine di persone che quasi si spintonavano a vicenda per avere il proprio spazio sui marciapiedi, tra una miriade di odori provenienti dai vari fast food disposti lungo la strada circondati dalle urla di alcuni camerieri che esortavano le persone a provare le rispettive prelibatezze. E allora fece un vero e proprio slalom accelerando il passo verso il negozio di cui riusciva a vedere già l'insegna da lontano.
Era decisamente appariscente, con un enorme cane disegnato tra le parole Pet e Gooming che tirava fuori la lingua ad intermittenza. Sollevò un sopracciglio pensando di trovarsi in una specie di parco giochi piuttosto che in un negozio di tolettatura per animali, poi abbassò lo sguardo verso le grosse vetrine che contenevano gli oggetti più disparati. Tra i tanti troneggiavano cucce di stoffa di vari modelli e dimensioni, più tutta una serie di aggeggi per la pulizia degli animali. Allora si domandò se quello fosse il posto giusto, visto che aveva più l'aspetto di un normale negozio di accessori per animali che altro. Poi lesse il listino prezzi affisso proprio sulla porta d'ingresso del negozio, e si convinse che lì dentro c'era il cane di John e che doveva anche sbrigarsi, vista l'ora e il fatto di dover iniziare il turno di lavoro di lì a breve.
Poi successe qualcosa di strano, perché avvertì una strana sensazione che lo paralizzò solo un paio di secondi. Era come se qualcuno gli avesse alitato una ventata fredda dietro il collo e, immediatamente, si toccò proprio quel punto voltandosi di scatto per controllare cosa stesse succedendo alle sue spalle. La strada era piena di persone ma nessuna di queste abbastanza vicina a lui da rivelarsi il fautore di quello strano brivido. Allora Akito si convinse che era stata solo una sensazione causata dall'aria fredda di febbraio e mentre rimuginava su quell'idea, qualcosa gli vibrò nella tasca dei pantaloni.
Afferrò il cellulare e lesse un messaggio di Mako che lo invitava a raggiungerla nel suo ufficio quella stessa sera per discutere della nuova trovata pubblicitaria che aveva pensato per l'Old Boy, terminando poi con una faccina ammiccante che Akito interpretò nell'unico modo che conosceva.
Corrugò la fronte restando ancora qualche minuto sullo schermo del telefono, per poi oscurarlo e riporlo nella tasca dei pantaloni, quindi alzò la testa verso il negozio, deciso ad entrare spinse la mano contro la porta di vetro che si aprì senza difficoltà.
E poi, successe che la vide.

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