Capitolo 4

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Dopo la lite con Gomi, Sana si sentiva privata di tutte le energie necessarie per prendere qualsiasi decisione sul da farsi. Aveva pensato di chiamare Aya o Hisae, ma avrebbe dovuto spiegare loro troppe cose, compresi tutti i pensieri che le frullavano per la testa negli ultimi tempi. Avrebbe dovuto raccontare loro dell'atteggiamento aggressivo di Shinichi, che ormai stentava a riconoscere.
Aveva pensato anche a Fuka, in ultimo, ma aveva anche cancellato quell'idea dalla mente con la stessa rapidità con la quale era emersa. Lei, più degli altri, doveva restare fuori da quella storia, proprio nel momento in cui sembrava così contenta di aver trovato qualcuno che le piacesse. E le sue turbe di sicuro non l'avrebbero fatta sentire meglio. Inoltre, con molta probabilità, in quel momento si trovava proprio insieme ad Hayama.
Decise, infine, di continuare a camminare senza una meta precisa, tra le strade affollate del centro di Tokyo.
Dopo essere praticamente fuggita via dalla sua macchina, Gomi aveva cercato di persuaderla nel tornare a bordo e permettergli di accompagnarla a casa, ma lei era stata insistente, oltre che categorica, nel non voler accettare assolutamente il suo passaggio in macchina. Aveva deciso di voler restare da sola e lui avrebbe dovuto accettare quella sua richiesta, nonostante fosse la prima volta che litigavano in maniera così furiosa. Sana pensò che non si era mai mostrata così combattiva nel difendere un'idea che lui, invece, trovava tanto assurda quanto pericolosa.
Si fermò per un attimo a fissare la vetrina di un negozio d'abbigliamento, passò in rassegna i cinque manichini che indossavano la merce esposta e la sua attenzione fu catturata da una sciarpa arancione, a trama scozzese. Se Fuka fosse stata lì con lei le avrebbe sicuramente detto che quella era robaccia e che se voleva essere sexy e affascinante avrebbe dovuto sicuramente gettare nel cestino della sua mente la folle idea di acquistarla.
Sorrise tra sé e sé, pensando alla sua amica e soprattutto, pensò che quella era la prima volta in cui si sentiva sola nella sua vita. La prima volta in cui non aveva nessuno a cui chiedere aiuto e pensò anche che doveva essere tremendamente triste vivere un'intera esistenza in quel modo.
Lentamente si allontanò da quel negozio per giungere in corrispondenza di una gelateria ancora aperta. Decise che, in fondo, avrebbe potuto sentirsi meglio se avesse mangiato quel gelato di cui aveva tanta voglia solo qualche ora prima. Acquistò quindi un cono al cioccolato sormontato da panna montata e continuò la sua marcia senza una destinazione precisa.
Poi, all'improvviso, un faro accecante la abbagliò in viso e lei fu costretta a coprirsi gli occhi con una mano. Si sentì frastornata, colpa anche del tremendo frastuono di un motore abbastanza pesante, che si faceva sempre più vicino. Poi, quando la moto le si era praticamente affiancata, riuscì a mettere a fuoco ciò che aveva davanti.
«Kurata? Che ci fai in giro da sola?»
«Hayama?»
Riconobbe prima la sua voce e poi, una volta che lui si tolse il casco dalla testa, riuscì anche a vedere il suo viso. Con un gesto della mano Hayama spense il motore della sua moto e scese, avvicinandosi a lei.
«Non dovresti essere con Fuka?» chiese lei, continuando a mangiare il suo gelato. Paradossalmente, nonostante quella notte facesse particolarmente freddo, quel dolce sapore di panna riuscì a riscaldarla in qualche modo.
«L'ho accompagnata a casa qualche minuto fa.» la informò lui.
«Davvero?»
«Sì, davvero. Non hai risposto alla mia domanda.»
Allora lei ricordò.
«Avevo voglia di un gelato.» disse, alzando le spalle.
«Da sola?»
«Perché? È vietato?»
«Non pensavo che il tuo ragazzo ti avrebbe lasciata andare.» disse lui, con un tono leggermente provocatorio. Ma lo sguardo triste di lei, che finì in basso a guardare l'asfalto freddo della strada, gli fece capire che quello non era affatto un buon momento per scherzare.
«Mi dispiace per come si è comportato. Però sai... lui la storia della rissa non l'ha proprio mandata giù.»
Inizialmente Hayama non capì, poi fece un rapido giro nel magazzino dei suoi ricordi e collegò il comportamento di Gomi di quella sera a qualcosa che lui aveva semplicemente rimosso dalla sua memoria.
«Mh, capisco.»
«È convinto che tu sia un teppista.»
«Ah sì?»
«Già.» disse lei, prima di sedersi su una panchina poco distante da dove lui aveva parcheggiato la sua moto. Lui la seguì dapprima con lo sguardo, poi fece qualche passo verso di lei.
«Magari lo sono sul serio.»
«L'ho pensato anche io di te, alla festa.»
«E lo pensi ancora?» chiese lui, sedendosi accanto a lei sulla panchina gelida. Sana, allora, gli rivolse un sorriso che era anche il primo che dedicava solo a lui. Hayama restò a fissarla per qualche minuto, riflettendo distrattamente su quell'espressione che le aveva visto addosso molte volte durante le lezioni di sociologia generale, quando l'aveva sorpresa a ridere con qualche compagna di corso. Ma pensò anche che quella era la prima volta che vedeva quel sorriso così da vicino, semplicemente perché era la prima volta che lei gli sorrideva in un modo così spontaneo.
«Penso che ci sia dell'altro. E mi piacerebbe molto sapere cos'è.»
Lui continuò a fissarla, senza proferire parola. Nei minuti che seguirono restarono entrambi in silenzio. Stranamente Sana non approfondì quella frase con ulteriori domande alla ricerca di qualche dettaglio nascosto e lui non le diede modo di pensare che si stesse sbagliando. Entrambi, in quella fredda notte di fine aprile, si sentirono finalmente a loro agio su quella panchina, dopo una serata trascorsa all'insegna della tensione. Tanto da non aver bisogno nemmeno di parlare per comunicare le loro sensazioni.
Mentre erano ancora immersi in un religioso silenzio, Sana si voltò verso di lui e notò che il ragazzo era completamente assorto nei suoi pensieri. Si domandò a cosa fosse rivolta tutta quella concentrazione.
«Hayama... alla fine cos'è che preferisci?» esordì lei, inducendo il ragazzo a mostrarle un'espressione confusa.
«Al bowling. Hai detto che preferisci altro. Cosa?»
Allora Hayama gettò un occhio al suo orologio da polso e poi alzò lo sguardo verso la strada davanti a sé, corrugando la fronte. Sana si domandò ancora una volta quali fossero i suoi pensieri e perché avesse quell'aria così concentrata. Poi lui si alzò, seguito dallo sguardo confuso di lei.
«Che fai?»
«Ti faccio vedere cosa preferisco.» rispose secco lui. Lei si alzò a sua volta, tenendo sempre stretto tra le mani il suo cono gelato.
«Adesso?»
«Be' non è molto lontano da qui. Che c'è, non ti fidi?» rispose lui con un'alzata di spalle.
Sana lo guardò stranita. Avrebbe voluto rispondergli che per qualche strana ragione, non era affatto la mancanza di fiducia nei suoi confronti il suo problema. Poi pensò rapidamente a quella specie di proposta e si scoprì, in realtà, tremendamente curiosa di sapere cosa avesse in mente il ragazzo. Lo aveva sempre visto così apatico e indifferente che la possibilità di quella incursione in qualcosa che lo riguardasse le sembrò una sorta di manna dal cielo, e decise di non voler perdere quel treno. Allora lo seguì, dopo aver acconsentito ad andare con lui e, in pochissimo tempo raggiunsero un locale dall'ingresso piccolo e buio che lei non aveva mai visto prima. Non c'era nessun'insegna, fatta eccezione per quella del nome e, di colpo, Sana si sentì un po' a disagio. Akito la guardò alzando un sopracciglio.
«Dobbiamo entrare qui. Hai intenzione di portartelo dietro?» e indicò il suo cono gelato. Allora Sana spostò lo sguardo verso la porta chiusa del locale, come se stesse cercando qualcosa prima di ritornare a lui.
«Non mi sembra ci siano cartelli con su scritto: vietato entrare con un gelato.» disse con un tono che le uscì più acido di quanto avrebbe voluto. Il ragazzo, quindi, alzò le spalle ed entrò.
Quando anche Sana fece la stessa cosa, fu immediatamente catapultata in un ambiente a lei decisamente poco familiare. Si guardò intorno e si accorse che quel posto altro non era altro che una comunissima sala da biliardo, illuminata solo da grosse lampade a neon disposte sopra i tavoli da gioco e circondata da un profondo chiacchiericcio, generato dai numerosi giocatori intenti a focalizzare la loro attenzione sulle palle colorate, il cui suono metallico riecheggiava ogni volta che una di queste sbatteva contro il bordo di legno dei tavoli. Allora Sana guardò Akito.
«Tutto qui? Preferisci il biliardo?» domandò lei, un po' delusa.
«Già. Lo trovi strano?»
«Affatto, è comunissimo invece.»
Lui allora alzò un sopracciglio.
«Mi hai chiesto cosa preferissi al bowling, non cosa preferissi in generale.»
«Be' che differenza fa? E poi non lo trovo così diverso dal bowling. Insomma, qui ci sono solo più palle.» constatò lei, un po' annoiata.
«Ci hai mai giocato?» le chiese lui, con un tono indispettito, ma lei lo interpretò come una presa in giro e corrugò la fronte.
«Certo, cosa credi? Tutti hanno giocato a biliardo, una volta nella vita.»
«Quindi, se ti propongo di giocare non ti tirerai indietro?»
«Io non mi tiro mai indietro. Forza, metti quello stupido triangolo intorno alle palle.» esclamò fiera di se stessa. Akito, che non riusciva proprio a non trovare divertente quanto quella ragazza apparisse fuori dal suo ambiente in quel momento, con il cono gelato ancora in una mano e l'altra alzata a pugno in segno di sfida, si recò al bancone disposto in fondo alla sala. Sana lo osservò da lontano e notò che aveva salutato con una stretta di mano il ragazzo dietro alla cassa. Evidentemente lo conosceva già e allora pensò che lui quel posto doveva frequentarlo assiduamente. Si rese conto di non sapere assolutamente nulla di lui, nonostante tutte le domande che gli aveva fatto per quel compito.
Quando il ragazzo tornò da lei, stringeva in una mano una bottiglia di birra. Presero due stecche dagli appositi ripiani su cui erano custodite e si avvicinarono al tavolo che lui aveva riservato per la partita.
Sana cominciò a saltellare sulle punte dei piedi, come se si stesse preparando ad una gara olimpionica.
«Forza Hayama, disponi le palle...»
«Calmati, guarda che non è una gara.»
«E quindi? Bisogna mettere impegno in tutto ciò che si fa. Coraggio, sono pronta.» disse, con un sorriso di sfida. Hayama la guardò per un breve istante, leggermente diffidente. Poi dispose le palle da gioco all'interno del triangolo per poi tirarlo via.
«Comincia tu.» le propose e Sana, che aveva preso quella partita come se fosse la sfida del secolo, si avvicinò al ragazzo e gli porse il cono gelato che si stava lentamente sciogliendo. Lui alzò un sopracciglio: «Che ci devo fare?»
«Reggerlo...» disse con tutta la nonchalance del mondo, non curante del fatto che il cioccolato si stesse lentamente sciogliendo e senza nemmeno guardarlo in faccia. Hayama sbuffò ma non oppose resistenza e le prese il cono dalle mani, sporcandosi un po' le dita. Guardò rapidamente la piccola scia di gelato sciolto che colava proprio sulla punta del suo pollice e rifletté sul fatto che una scena simile non la vedeva da moltissimi anni. Da quando era un bambino probabilmente, o forse la sua memoria era semplicemente offuscata dalla nebbia del tempo e lui non era più in grado di distinguere un ricordo dall'immaginazione.
Sana invece era talmente presa che era già appiccicata al tavolo, nel punto in cui era più vicina alla palla bianca e si distese leggermente, cercando di puntare al meglio l'estremità della stecca in corrispondenza del punto da colpire. Sentì una leggera risata in sottofondo e, mantenendo la stessa posizione spalmata sul tavolo verde, si voltò verso Akito.
«Stai ridendo di me?»
Lui scosse la testa: «Non lo farei mai!»
Lei di risposta fece una specie di verso a lui indecifrabile, poi tornò a concentrarsi sulla palla bianca. Ma quando trasferì la sua forza alla stecca si rese conto subito di aver fatto qualcosa di sbagliato, perché la sfera rimbalzò per ben due volte sulla superficie verde del tappeto disposto sul tavolo, prima di finire dritto sul pavimento.
«Oh no, che sfiga.» esclamò delusa, sollevandosi da terra in punta di piedi per avere la possibilità di seguire la traiettoria della palla. E di nuovo scoprì Hayama ridacchiare divertito alle sue spalle. Quindi, abbandonò la posizione sul tavolo e si avvicinò nuovamente al ragazzo.
«Meno male che ci avevi già giocato.»
«Voglio proprio vedere cosa sai fare tu, adesso.»
«Posso buttarlo via questo coso appiccicoso e mezzo sciolto?» le domandò riferendosi al sempre verde cono gelato. Lei lo guardò accigliata e gli rubò immediatamente l'oggetto di mano.
«Non ti hanno insegnato che il cibo non si butta?» replicò, mentre il gelato continuava a sciogliersi e a colare lentamente sulle sue dita. Lui osservò quel particolare e quando Sana seguì con lo sguardo il suo punto di interesse, spostò il gelato dietro la sua schiena e, con un cenno del capo, gli indicò il tavolo da biliardo e le palle ancora disposte perfettamente nella forma a triangolo.
Akito allora si avvicinò al tavolo e, dopo aver disposto nuovamente la sfera bianca nel punto giusto, si inclinò leggermente puntando l'estremità della stecca alla palla scura.
«È vero, anche qui ci sono palle, come nel bowling.» esordì riprendendo la battuta di Sana rispetto alla differenza tra quel gioco e l'altro. Poi continuò: «Ma qui devi mettere in atto una strategia. Non basta colpire un mucchio di birilli per vincere... devi pensare a come muoverti e mettere l'avversario con le spalle al muro.» e così dicendo, chiuse un occhio per prendere meglio la mira e con un colpo deciso, trasferì la sua forza alla stecca che colpì la palla. Questa si schiantò contro il gruppo colorato che esplose immediatamente in mille direzioni diverse. Sana osservò quel gesto, quasi ipnotizzata da quel ventaglio di colori che roteava su se stesso e non prestò minimamente attenzione al gelato che ormai lacrimava sulla sua mano. Spostò poi lo sguardo su Akito, concentrato sulla disposizione delle palle numerate, girava intorno al tavolo simulando traiettorie immaginarie con il solo movimento di una mano e pensò che in quel momento lui le sembrò davvero affascinante. Si sentiva affascinata dalla sua sicurezza nel sapere perfettamente dove e come colpire per mettere a segno il suo tiro e non riusciva a smettere di guardarlo, mentre lui pensava alle sue mosse. Quando poi arrivò il suo turno, fu proprio lui a richiamare la sua attenzione, indicando con la stecca di legno il gelato che ormai colava fino al pavimento.
«Kurata... vuoi un pannolino?» la prese in giro perché, a conti fatti, l'immagine che aveva avanti agli occhi gli ricordò tremendamente quella di una bambina.
Lei non gli rispose nemmeno rivolgendogli però un'occhiata accigliata. Le sembrava di essere stata già sconfitta perché, malgrado tutto, con quel cono sciolto non avrebbe potuto farci più nulla. Tuttavia, nonostante odiasse dargli ragione, dovette soccombere all'evidenza di dover buttare quel gelato e lo fece nel cestino dei rifiuti più vicino.
«Sei contento ora?»
Akito le rispose facendo spallucce, poi aggiunse: «Quello non era più cibo, comunque.»
Lei lo imitò con una smorfia, come avrebbe fatto una qualunque bambina dispettosa e si avviò verso il tavolo, piantonando la stecca sul pavimento come se fosse un bastone da passeggio. Quando però si rese conto delle palle disseminate un po' ovunque sul tavolo, si domandò dove avrebbe dovuto mettersi per far finire almeno una di quelle palle in una buca qualsiasi. Si passò una mano tra i capelli, mettendosi poi una ciocca dietro l'orecchio, infine si morse un labbro e corrugò la fronte.
«Kurata... tutto bene?»
Lei lo guardò, poi tornò a ispezionare il tavolo e, alla fine, decise la sua mossa. Fece per inclinarsi sul tavolo, allungando un braccio sulla stecca quando sentì una mano di lui poggiarsi proprio sul suo arto teso.
Lei gli lanciò un'occhiata imbarazzata.
«Sei molla, proprio come il tuo amico.»
«Come scusa?» gli domandò confusa, tornando in piedi e scostandosi dalla sua presa. Pensò di aver sentito una strana sensazione di disagio nell'essere toccata da lui, per la prima volta e non era così sicura di volerla riprovare.
«Il tuo braccio. Hai paura di qualcosa?»
«Io? Ma... paura? Di cosa dovrei avere paura?»
«Il tuo amico al bowling aveva paura della palla. Tu, invece? Devi essere più convinta di quello che fai.»
«Non ho paura. È che non so dove colpire.»
«Rifletti su cosa accadrebbe se colpissi quella.» disse, indicando con un cenno del capo una palla in particolare. Sana fece un rapido giro di tutte quelle disposte sul tavolo, e si rese conto che effettivamente il suggerimento di Hayama aveva un senso. Allora si passò la lingua tra le labbra e provò a colpire la sfera bianca in direzione della sua scelta. Tuttavia, malgrado il suggerimento dell'altro, il suo tiro fu anche peggiore del primo.
«Come non detto, sei un caso perso.» commentò lui, con un'alzata di spalle. Ma, nonostante quell'ennesimo fallimento e le battute sarcastiche di Hayama, Sana non contò più i minuti. Il suono metallico delle palle che sbattevano le uno contro le altre era diventato quasi rilassante, il corpo di Akito che andava avanti e indietro lungo il tavolo verde una specie di costante, perfino il fumo di sigaretta di qualcuno non troppo avvezzo alle regole si tramutò in un tassello inserito alla perfezione in quel mondo parallelo in cui sembrava stesse vivendo un'altra vita.
Quando il loro turno di gioco terminò, con una scontatissima vittoria da parte di Hayama, lei rimase quasi delusa dalla velocità con cui il tempo era passato. In breve furono nuovamente al punto di partenza e Sana si rese conto di aver appena abbandonato quel mondo parallelo in cui si era sentita così a suo agio, lontana da tutti i pensieri negativi che l'avevano assillata quella sera.
«Ti do uno strappo a casa, se pensi di essere in grado di non cadere.» le disse, porgendole il suo casco una volta vicini alla sua moto.
«Mi dispiace Hayama, ma io non ci salirò mai con te su quella.» rispose lei, indicando la sua moto parcheggiata alle spalle. Lui alzò un sopracciglio e la fissò.
«Fa' come vuoi allora. Io me ne torno a casa.» concluse, dandole le spalle e avviandosi verso la moto.
«E mi lasci così?»
«Mi sembra che tu sia stata dotata di un paio di gambe funzionanti, no? Usale!» e così dicendo, si infilò il suo casco scuro e partì, passandole accanto.
Sana fu di nuovo sola, ma stranamente non provava più quel senso di incomprensione e inadeguatezza che l'avevano colta poco prima, spingendola a rifugiarsi in un gelato e in una panchina solitaria nel freddo della notte. Passare quel tempo con Hayama le aveva fatto dimenticare il suo stato d'animo, e lei si domandò scioccamente se lui se ne fosse accorto e se l'avesse portata a giocare a biliardo consapevole di quanto lei avesse bisogno di allontanarsi dal suo mondo.

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