Capitolo 5

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Sana era arrivata al quinto bicchierino e, nonostante avesse mangiato un gigantesco hamburger, sentiva la testa leggera e le spalle sempre più rilassate.
Non aveva mai bevuto così tanto in vita sua. Anzi, se eliminava dalla lista gli intrugli colorati, come li aveva definiti Hayama, non aveva mai bevuto nella sua vita. Tuttavia, malgrado la consapevolezza di stare perdendo lentamente il controllo, si sentiva incredibilmente bene e non aveva nessuna intenzione di darsi un limite. Non quella sera, non con quella compagnia in quel posto da lei definito così rilassante, non dopo la sensazione di inquietudine che aveva provato leggendo il messaggio di Fuka.
Allora, alzò il bicchierino in alto sventolandolo in faccia a John.
«Questo Legendario é proprio leggendario, sai?» disse per poi ridere da sola di quella battuta. John, divertito, le riempì il sesto bicchierino rivolgendo uno sguardo ad Akito che nel frattempo stava raccogliendo alcuni bicchieri vuoti, in attesa che anche l'ultimo tavolo si liberasse.
«Te l'avevo detto io di non esagerare.» lo ammonì, tornando al bancone per depositare i bicchieri da mettere in lavastoviglie.
«Ehi Hayama, mi porteresti in braccio per favore?» disse lei, spalmandosi lentamente sul bancone di legno.
John ridacchiò sotto i baffi.
«Non ci penso nemmeno!
«Uffa, sei così orso. Un orso delle caverne uscito dal letargo prima del previsto.»
«Adesso ci provo io, piccola Sana.» si intromise John, strizzandole un occhio. La ragazza in risposta alzò le braccia in segno di vittoria, ma subito dopo dovette reggersi al ripiano in legno del bancone per evitare di cadere per terra.
«Vedi? La tua amica ha bevuto troppo, non puoi lasciarla andare a casa così.» lo punzecchiò John, ottenendo uno sbuffo annoiato di risposta.
«Sei tu che le hai versato tutto quel rum. Perché non la porti tu a casa?» disse Akito, iniziando a sistemare i tavoli ormai vuoti del locale, posizionando gli sgabelli di legno sopra ognuno di essi.
«Sono sicuro che lei voglia essere accompagnata da te.» lo provocò nuovamente, indicando Sana alle sue spalle che aveva iniziato a costruire una specie di castello di carta con i sottobicchieri rotondi che aveva trovato sul bancone. Akito sollevò le sopracciglia, spostando la sua attenzione sulla ragazza la cui concentrazione sembrava essere arrivata ai massimi livelli, mentre cercava di far combaciare quei sottobicchieri l'uno sull'altro. Ovviamente senza successo. Allora, si slacciò rapidamente il grembiule e lo lanciò a John che lo raccolse al volo, depositandolo poi in un punto indistinto sul retro del bancone.
Akito si avvicinò a Sana e appoggiò i gomiti sul bancone, poi con un gesto delle dita picchiò gli unici due sottobicchieri che parevano resistere alla forza di gravità, e li fece finire in terra.
«Hayama! Che distruttore che sei. Guarda cosa hai fatto... ora non avrò più un castello in cui dormire.» protestò Sana imbronciata, sbuffando e appoggiando poi il viso sui palmi delle mani. A quel punto lui le raccolse i gomiti con le mani, sciogliendo quella posizione e guardando la ragazza negli occhi.
Sana si bloccò, dischiudendo leggermente le labbra in un'espressione che John avrebbe definito "imbambolata".
«Andiamo principessa, se continui a bere dubito che lo raggiungerai mai il tuo castello.» le disse, allontanandosi da lei e afferrando la sua giacca. Poi rivolse un'occhiata a John.
«Ci vediamo domani.» disse semplicemente.
«Certo Akito, poi ricordati che la settimana prossima abbiamo quell'evento eh.»
«Come faccio a dimenticarlo se non parli d'altro?»
«Che evento?» domandò Sana, improvvisamente tornata da chissà quale dimensione.
«Una serata a tema rock-country. Ci sarà il pienone. Ovviamente sei invitata e porta chi vuoi.»
Sana allora saltò giù dallo sgabello, restando in bilico sulle sue gambe per qualche istante, poi rivolse un enorme sorriso a John.
«Che bello, adoro le feste. Conta su di me!» disse, alzando un pungo. Hayama invece sospirò, poi afferrò la ragazza per un braccio trascinandola fuori dal locale, mentre lei agitava un braccio in segno di saluto.
Una volta fuori, lui abbandonò la presa e la vide riprendere leggermente il suo colorito naturale, probabilmente merito dell'aria fredda della sera.
«Tu non mi avresti detto niente, brutto orso delle caverne.»
Hayama la fissò confuso.
«Della festa. Perché fai così?»
«Così come?»
«Ti stai negando. Mi stai negando la tua amicizia e questo non è carino.»
Il ragazzo si sentì leggermente in imbarazzo e non seppe rilevare il confine tra ciò che la ragazza pensava realmente in quel momento e quello che invece diceva a causa della quantità di alcol che aveva ingerito, e a cui non era minimamente abituata.
«Non ti sto negando proprio niente.»
Poi, di scatto, lei si avvicinò a lui e mise il suo braccio sotto il suo, stringendoglielo improvvisamente. Hayama sussultò appena, ma probabilmente lei nemmeno se accorse. Le lanciò un'occhiata di sottecchi e la scoprì a sorridere.
«Sono stata proprio bene oggi. Sono contenta di averti seguito.»
«Allora non eri qui per caso.»
«Andiamo, non dirmi che non l'avevi capito.»
«Diciamo che mi era balenata l'idea per la testa.»
«Comunque sono felice. Ultimamente ho passato dei giorni difficili sai?»
«Ah sì?»
«Proprio così. Mi sono sentita in trappola...» disse lei di getto, e in quel momento, quando Hayama cercò il suo viso, notò che l'espressione sorridente di poco prima era stata sostituita da una leggera venatura di tristezza.
«Oh guarda una panchina. Dai sediamoci, sono stanchissima.» urlò all'improvviso, trascinando il ragazzo per un braccio. Nonostante le proteste di quest'ultimo, Sana riuscì a raggiungere la panchina e a sedersi, imponendo ad Hayama di fare lo stesso.
«Finalmente.»
«Dicevi, di sentirti in trappola...» riprese lui, non curandosi minimamente dei movimenti di Sana e delle sue braccia che si agitavano al cielo, perché era convinta di aver visto una lucciola che le svolazzava in viso.
Lei poi si voltò verso di lui e la sua espressione tornò ad essere triste.
«Mi sento di colpo un'estranea, nella mia stessa vita. Sento di non riuscire più a gestirla, a gestire i rapporti con le mie persone... a te è mai capitato?»
«Non sono sicuro di aver capito...»
«Ma sì Hayama, ti è mai capitato di non sapere più chi sei e cosa vuoi?»
Lui la guardò incuriosito, non riusciva a dare una nota concreta a quel discorso, lui che di sentimenti non era mai stato in grado di parlare veramente. E, a conti fatti, Sana invece stava parlando proprio di quello.
«Sono un tipo più concreto, Kurata.»
«In che senso?»
«Che quando agisco e vivo insomma, non sono abituato a farmi queste turbe...»
«Capisco.»
«E comunque dovresti pensare di meno a certe cose. Tu non ti vedi, perché sei poco sveglia, ma la gente ti segue come se fossi una calamita... l'ho notato sai, al bowling. E non dovresti sentirti un'estranea solo perché non fai quello che gli altri si aspettano che tu faccia.»
Lei seguì le sue parole come se fossero tanti piccoli filamenti di un tessuto molto più grande e importante, e si sorprese di ciò che il ragazzo le aveva appena detto. Quante volte si era fermata a pensare a come essere, solo per esserlo con gli altri? E soprattutto, si era mai fermata a pensare a quello che realmente voleva dalla vita? In fondo aveva sempre pensato di vivere nel modo giusto, un modo tranquillo, senza troppi sconvolgimenti. Ma si chiese se fosse realmente felice, seduta su quella panchina, dopo aver bevuto rum nel locale di John.
Poi abbassò lo sguardo.
«Posso farti una domanda?» continuò, osservandosi la punta delle scarpe.
«Sono sicuro che anche se ti rispondessi di no me la faresti lo stesso.»
«Perché sei finito in un istituto di correzione?»
A quella domanda Hayama sgranò gli occhi e la guardò stupito, pensando alla lingua lunga di John che, di sicuro, le aveva spifferato qualcosa di intimo sulla sua vita.
«Cosa ti ha detto quella boccaccia di John?»
«Non ti arrabbiare. Ha detto che sei una delle persone migliori che conosca.»
Il ragazzo sbuffò e rilassò le spalle, sprofondando ancora un po' nella panchina di legno. Senza proferire parola, guardò in alto concentrandosi prima sulle chiome scure degli alberi che li sormontavano, poi sul cielo quasi privo di stelle a causa delle troppe luci di città che ne oscuravano la presenza. Fece un profondo respiro, come se stesse cercando di raccogliere le energie necessarie per iniziare quel racconto. Poi iniziò a parlare.
«Ti ricordi quando ti ho detto che ho fatto karate? Be', ero un ragazzino e a quel tempo ero piuttosto bravo. La mia scuola organizzava di frequente tornei e gare contro scuole di altre città. A me non dispiaceva andarmene da casa mia per un po'. Stare lontano da casa... stavo anche meglio sai? Ed è successo quando avevo quattordici anni, ero in un piccolo paesino non lontano da Kyoto, per una gara amichevole con una scuola di karate del posto. Sai, a quell'età non pensi alle conseguenze delle cose e... Cristo, mi ci vorrebbe una birra, adesso.» disse all'improvviso, con uno strano sorriso nervoso. Sana lo scrutò attentamente, ma non disse una parola, perché riuscì a cogliere perfettamente la difficoltà che era sorta nel ragazzo, appena aveva iniziato quel racconto. Lei aveva notato quanto fossero rari, se non inesistenti, i momenti in cui lui aveva articolato frasi contenenti soggetto e complemento e il fatto che le stesse raccontando tutte quelle cose la ipnotizzò quasi. E non fiatò.
«Era il terzo giorno di allenamento e c'era questo ragazzino, Yuto, che stravedeva per me. Mi stava sempre tra i piedi e io lo lasciavo fare. Non mi dava fastidio, lo consideravo un amico... più o meno. Non era uno di quelli che sarebbero stati disposti a tutto pur di ottenere la cintura nera. Lui era... puro ecco. Un po' come te.» affermò, lanciandole un'occhiata fugace. Sana continuava a restare in silenzio, malgrado quelle parole stavano diventando pesanti come macigni.
«Quella sera, dopo gli allenamenti, lo costrinsero a fare uno stupido gioco di resistenza e lui accettò. Mi guardò e mi disse: così sarai fiero di me Akito. Io non capii quanto tenesse alla nostra amicizia, avevo sottovalutato un sacco di cose a quel tempo. Ad ogni modo, lo fecero bere così tanto che a malapena riusciva a reggersi in piedi, era stravolto e iniziò a piangere come un bambino. In effetti lo era, ma io non me ne rendevo conto. Decisero di continuare il gioco nei boschi ma io non li seguii. Non lo feci perché mi annoiavano quelle cose, perché non amavo la compagnia delle persone e perché preferivo leggere una rivista o ascoltare della musica. E così non ho visto il momento esatto in cui Yuto è annegato, in un laghetto nemmeno troppo profondo. Ho preferito starmene in camera, ad ascoltare musica, mentre lui annegava.» disse le ultime parole con un filo di voce, abbassando lo sguardo.
Sana rimase in silenzio, riuscì solo a chiudere le labbra che le si erano dischiuse per la drammaticità di quel racconto. Inoltre, Hayama aveva un'espressione che non gli aveva mai visto in viso e, se non avesse imparato a conoscerlo un po' nelle ultime settimane passate insieme, avrebbe detto che fosse quasi in procinto di piangere. E lei si sentì infinitamente triste, perché non riusciva a mettersi nei suoi panni, non riusciva a capire il suo dolore. Fu in quel momento che sentì il calore di una lacrima rigarle il viso.
«Quando mi vennero a chiamare non c'era più niente da fare per Yuto. L'unica cosa che mi venne in mente fu sfogare il mio senso di colpa su quelli che lo avevano costretto a fare quello stupido gioco, senza mettere nemmeno in discussione il fatto che volessi pestare di botte solo me stesso. E così che sono finito in un istituto, perché ho pestato quei tipi fino a lacerarmi le mani. I genitori dei ragazzi che ho pestato a sangue, gente con i soldi, di quelli a cui basta schioccare le dita per avere qualsiasi cosa, mi hanno denunciato insieme alla famiglia di Yuto, convinta che fossi io il responsabile di quell'incidente. E da lì nemmeno la mia famiglia ha voluto sapere più niente di me. Ho smesso con il karate e con l'avere rapporti con loro... immagino che John ti abbia raccontato come ci siamo conosciuti?» lui tentò di smorzare la tensione passando ad altro, ma Sana si sentiva ormai troppo coinvolta.
«Ma la tua famiglia...»
«Una madre morta e un padre perennemente assente per lavoro non la considererei una famiglia. Alla fine Kurata... le persone da amare te le scegli.» concluse, senza distogliere lo sguardo dall'asfalto scuro sotto i suoi piedi.
Allora Sana rifletté su quelle parole e poi pensò ad Hayama che pestava di botte quei ragazzi responsabili di quel terribile incidente. E poi ripensò alla rissa della festa.
«E alla festa, quando tu stavi...»
«Quel tipo non la smetteva di prendere in giro una matricola perché non riusciva a mandare giù un bicchierino di tequila. Poi sei arrivata tu.» concluse, alzando lo sguardo e guardandola dritta negli occhi. Solo allora lui si rese conto che Sana stava piangendo e non riuscì a comprenderne realmente il motivo. Non aveva idea di quanto lei, in quel momento, si sentisse stupida e in colpa per aver pensato anche solo una volta che potesse essere pericoloso o, come lo aveva definito Gomi, un criminale. Allora lei si alzò dalla panchina seguita dallo sguardo confuso di Akito, che raggiunse il suo solo quando lei si trovò in piedi di fronte a lui. Lentamente gli prese il viso tra le mani, senza pensare minimamente al significato di quel gesto, e il sussulto che ne scaturì dentro di lui durò solamente un istante, il tempo necessario per sentire il calore delle sue mani irradiargli il viso. Istintivamente le braccia di lui si allungarono verso la sua vita, sfiorandole il tessuto di lana del cappotto e maledisse quell'indumento che non gli permise di avere un altro contatto diretto con il suo corpo. Ma proprio prima che lui potesse afferrarla per i fianchi e attirarla a sé fu Sana a spingersi verso di lui, cingendo le braccia intorno al suo collo, in un abbraccio che lei sperava potesse fargli capire esattamente cosa stesse provando in quel momento.
E Hayama si lasciò andare, rilassò i muscoli e cinse finalmente il corpo di lei, stringendola tra le braccia e attirandola al suo di corpo, in un modo ancora più profondo. Sentì il suo respiro sul collo, un'ondata di calore che giunse proprio in tempo, prima che la sua anima si congelasse.
«Mi dispiace.» disse lei, sussurrando quelle parole sul suo collo. Lui sentì un brivido e desiderò che quel tocco divenisse più profondo, non importava dove fossero o con chi stessero.
«Sono una sciocca Hayama. Tu... io non avevo capito niente.» continuò, sfiorandogli questa volta la pelle del collo. Ma nel pronunciare quelle parole, così vicine alla sua pelle, Sana si svegliò di colpo perché nell'esatto istante in cui aveva sentito quel tocco sulle labbra, si rese conto di aver provato qualcosa che andava oltre quel sentimento di tristezza che l'aveva avvolta come un'onda. E in preda ad uno strano panico incontrollato, si staccò bruscamente da lui, infilandosi le mani nelle tasche del cappotto. Abbassò lo sguardo sull'asfalto, ma lui non ebbe il coraggio di guardarla.
«Scusami comunque. Ora è meglio se andiamo, si sta facendo tardi.»
Lui corrugò la fronte, frastornato. Si sentì come se si fosse appena risvegliato da una lunga notte di sonno e si alzò di scatto dalla panchina, infilando anche lui le mani nelle tasche della sua giacca di pelle.
Durante il tragitto verso casa, nessuno dei due proferì parola. Sana si sentiva la testa piena del profumo della pelle di Akito, del calore del suo corpo che l'aveva avvolta quando era stata lei ad abbracciarlo per cercare di trasmettere a lui il suo di calore. E si era sentita invece travolta da una strana sensazione di familiarità che la spaventò a tal punto da ammutolirla.
Quando da lontano Sana scrutò una sagoma scura appoggiata al cancello della sua villa, indietreggiò di qualche passo. E Hayama lo notò.
«Che ti prende?» le domandò.
«Oh no, c'è Shin. Se mi vede in questo stato insieme a te succederà l'inferno.»
«In questo stato?» fece lui, ancora più confuso.
Lei non rispose perché si rese conto che ormai era troppo tardi e che Gomi li aveva visti, perché si stava avvicinando a loro aumentando sempre più la velocità dei suoi passi.
«Ancora tu! Sana ma che ci fai in giro con questo qui... a quest'ora?» disse indicando Hayama con un braccio. Gomi era furioso e Sana non lo aveva mai visto in quello stato, nemmeno la sera della festa.
«Shin, calmati. Mi ha solo riaccompagnata a casa.»
Hayama invece, aveva un'espressione totalmente fredda e indifferente, e guardò il ragazzo senza nemmeno degnarsi di rispondergli.
«Ma che hai fatto? Si sente l'odore di alcol da un chilometro. Ora ti fa anche bere questo criminale?»
Hayama strinse i pugni, non sentiva solo la noia ma anche la rabbia montargli su come non gli succedeva da tempo. Guardò velocemente Sana e si rese conto che aveva il viso completamente sconvolto.
«Vi lascio soli, così magari la starai a sentire.» disse infine cercando di calmarsi, ma con un tono leggermente provocatorio che proprio non riuscì a trattenere.
«Pensi di cavartela così, eh criminale?»
Hayama aveva messo al vaglio una serie di possibili risposte, una tra le tante un pugno sul naso, così da mandare in frantumi la sicurezza di quel tizio di aver capito ogni cosa della vita. Ma proprio quando stava decidendo come reagire all'ennesimo insulto di Gomi, fu la mano di Sana a volare davanti al suo viso per depositarsi proprio sulla guancia sinistra del suo fidanzato.
«Smettila di chiamarlo così.» disse lei, con le lacrime in viso e un'espressione talmente furiosa che entrambi i presenti stentarono a riconoscerla.
«Sana, ma cosa...?»
«Se vuoi parlare con me d'accordo. Ma per favore, smettila di prendertela con lui perché stai fraintendendo tutto.» disse tra le lacrime. Gomi, che si teneva ancora la guancia con la mano, sembrò calmarsi e fu in quel momento che Akito decise di abbandonare quel posto e tornarsene a casa sua.
Sana non disse niente, non salutò Hayama né cercò di fermarlo. Si sentiva troppo triste e sconvolta per riuscire a fare qualsiasi passo verso qualcuno. Allora fu Gomi ad avvicinarsi lentamente a lei, prendendola per mano e trascinandola verso l'interno del suo giardino.
Lui la seguì mentre lei si trascinava in casa e la difficoltà che sentiva nell'aprire la porta e varcare quella soglia non era affatto causata dall'alcol che aveva bevuto quella sera all'Old Boy.
Si sentiva completamente distrutta, avvertiva la sua anima che si lacerava e avrebbe desiderato non fare null'altro se non piangere tutta la notte. Piangere per aver schiaffeggiato Gomi, trattandolo come un'insolente estraneo, piangere perché non riusciva più a capire se stessa e la sua vita, ma soprattutto piangere per Akito e per un senso di colpa così grande da dover sopportare a soli quattordici anni. E alla fine una timida lacrima spuntò, solcando lo scalino dei suoi occhi per finire dritta lungo la guancia arrossata dal freddo.
Gomi, che ne frattempo l'aveva seguita fin dentro casa, notò il suo stato d'animo e le afferrò un braccio, cercando di non fare dei movimenti troppo bruschi. Anche lui si sentiva stravolto da una rabbia nei confronti di Hayama che non riusciva proprio a decodificare. Per una vita intera era stato considerato da tutti un bravo ragazzo, una persona tranquilla e incapace di provare rabbia e rancore. Ma quel ragazzo aveva risvegliato in lui una sorta di istinto primordiale che lo stava spingendo sull'orlo di un baratro: desiderava a tutti i costi dimostrargli che non era affatto un rammollito qualunque, da poter prendere per un braccio davanti alla propria fidanzata e intimorire in quel modo. Voleva fargli capire che anche Hayama doveva temerlo, proprio come Gomi temeva lui. Si sentì profondamente scosso da quel turbinio di pensieri e solo l'andatura barcollante di Sana, proprio davanti a lui, riuscì a farlo tornare bruscamente alla realtà.
Allora si spinse in avanti, afferrando la ragazza per i fianchi che si voltò di scatto verso di lui.
«Scusami, mi gira un po' la testa.»
«Non preoccuparti... dai ti aiuto ad andare in camera tua.» le propose, cercando di usare il suo tono più dolce. Nonostante gli sforzi però, gli sembrò che lei lo avesse guardato come si guarda uno sconosciuto e allora Gomi abbassò lo sguardo e, lentamente, condusse Sana verso la sua camera da letto.
Quando finalmente la ragazza riuscì a stendersi sul suo letto si sentì leggermente meglio e, senza nemmeno sfilarsi il cappotto, si sdraiò su un latto, dando le spalle a Gomi. Lui allora si sedette accanto a lei per poi sdraiarsi su un fianco, a debita distanza dalla sua ragazza e un po' titubante di abbracciarla, visto lo schiaffo che gli aveva dato solo qualche minuto prima. Tuttavia decise di farsi coraggio e, timidamente, allungò un braccio verso di lei fino a cingerle dolcemente la vita, sorprendendosi del fatto che lei non oppose nessuna resistenza. Allora azzardò, affondando il viso nell'incavo del suo collo, respirando il suo profumo che sembrava ormai divenuto così lontano nei ricordi della sua mente.
«Mi dispiace Sana, per tutto.» mormorò sulla sua pelle.
«A me dispiace per lo schiaffo.» disse lei con gli occhi lucidi.
Lui le diede un leggero bacio sul collo, risalendo con la mano verso il suo viso e afferrandoglielo dolcemente con le dita. Fece una leggera pressione per farla voltare verso di lui, e lei continuò a non opporre resistenza. Allora per un istante si guardarono nuovamente negli occhi, come non facevano da così tanto tempo e dopo un solo secondo speso in quel modo, lui la baciò con estrema dolcezza, afferrandole il viso con le mani.
Sana chiuse gli occhi e si abbandonò a quel bacio, ai movimenti della lingua del suo ragazzo che conosceva così bene, in ogni minimo dettaglio. Sentì la sua mano che pian piano scivolava sotto il cappotto, oltrepassando anche il tessuto della maglietta, fino a sfiorarle la pelle sotto il reggiseno. Sentiva ancora la testa leggera e quell'assurda sensazione di onnipotenza dinanzi a qualsiasi cosa avesse scoperto dopo quella serie di bicchierini di rum bevuti al locale di John, allora si lasciò andare ad un gemito più forte quando sentì le sue labbra sfiorarle il collo. Prima la bocca, e poi dei movimenti decisi con la lingua iniziarono a tracciare una scia lunga tutta la distanza tra il viso e la spalla, che Gomi prontamente iniziò a liberare dagli indumenti. Sana quindi infilò le sue dita tra i capelli di lui e glieli strinse, liberando la sua eccitazione resa ancora più evidente dal suo essere su di giri. E in quel momento, mentre lui stava muovendo il viso verso il basso per continuare a baciare il suo corpo, a lei venne in mente qualcos'altro. Le vennero in mente delle braccia che l'avevano stretta solo qualche ora prima, le venne in mente il profumo della sua pelle, quando nel parlargli gliel'aveva quasi sfiorata con le labbra. Le venne in mente il suo corpo avvolto dalle sue braccia, e fu improvvisamente investita da un'incredibile voglia di stringere qualcun altro in quel momento. E non riuscì a fermare la sua mente, che continuava ad immaginare e a pensare altre mani che percorrevano le curve del suo corpo, altre labbra che le baciavano il seno, un'altra lingua che si muoveva tra le sue gambe. E al pensiero di quell'immagine, fattasi vivida quasi come un ricordo, gemette più forte lasciandosi andare al movimento di quelle dita che sentiva dentro di sé.
Complice l'alcol o, probabilmente, il fatto che il suo corpo fosse stato completamente in balia della sua immaginazione, Sana fu invasa totalmente da un orgasmo talmente potente da lasciarla quasi senza fiato. E mentre lei continuava a sussultare, in preda agli ultimi residui di quell'apice di piacere, si abbandonò totalmente alla forza di gravità lasciandosi andare sul letto. Quando riaprì gli occhi, Gomi le stava sorridendo con un'aria soddisfatta e lei si sentì confusa.
Il suo cuore non riusciva a riprendere un ritmo normale, lo sentiva ancora battere veloce dentro di sé, malgrado avesse ormai raggiunto l'orgasmo, e si rese conto che quel battito accelerato era causato da un improvviso senso di imbarazzo che la colse di sorpresa, perché aveva appena realizzato di essere venuta con il suo ragazzo solo perché aveva pensato tutto il tempo ad un altro.

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