Capitolo 14

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Dalla sua prospettiva riusciva a vedere solo tanti puntini luminosi che si deformavano dietro ad una sottile ma tangibile lontananza. Avrebbe voluto contarli, ma appena ci provava si rendeva conto di quanto quell'impresa fosse fallimentare già in partenza: a Shibuya c'erano circa duecentoventi mila abitanti, e se ogni luce apparteneva ad uno di essi, escludendo i negozi e le attività commerciali, quel numero, che corrispondeva alla gente che abitava il quartiere che lei stava osservando dall'altro di una sopraelevata autostradale, doveva essere almeno la metà.
Sbuffò piano appoggiando la tempia al finestrino dell'auto che stava dando vita a quella velocità che non le permetteva di contare i puntini luminosi che tremolavano appoggiati ai palazzi.
Poi lo stereo passò una canzone che riconobbe dalla prima nota e si volto verso un lato.
«Ti dispiace se cambio frequenza?» domandò con nemmeno troppa convinzione, anche se stava appoggiando già un dito sul pulsante della radio.
Lui alzò le spalle e le rivolse poi un sorriso tranquillo.
«Fa' pure... non so nemmeno che frequenza sia in realtà. L'avevo accesa per inerzia.» la informò con fare divertito. Sana gli restituì un sorriso un po' forzato e tornò a guardare la strada e le luci tremolanti appoggiate sui palazzi.
Si passò la lingua tra i denti, aveva ancora in bocca il sapore del salmone misto alla salsa di soia e shiso che avevano condito il sushi mangiato a cena insieme a Shoji per il loro secondo appuntamento. Lui aveva organizzato quella serata nei minimi dettagli, annunciando per lei una grossa sorpresa che proprio non avrebbe potuto dimenticare. E alla fine quella sorpresa si era rivelata essere una cena nel ristorante di sushi più famoso di Shibuya e lei, mentre assaporava salmone e riso infagottato nell'alga nori, si era sentita ancora più a disagio di quando lui l'aveva invitata ad uscire la prima volta, quando lo aveva rifiutato, senza nemmeno pensarci su troppo.
Poi Shoji aveva insistito, le aveva portato un mazzo di rose rosse proprio al negozio, perché pensava che quelli fossero i suoi fiori preferiti, senza nemmeno averglielo chiesto. Alla vista di quell'enorme mazzo di rose Sana aveva percepito un prepotente senso di imbarazzo, oltre ad un sensibile fastidio perché lei gli aveva ribadito la sua decisione, ma lui sembrava essere insistente.
Allora le aveva regalato un peluche, un orso bianco con una zip sulla pancia. Lei aveva guardato quell'oggetto con una certa titubanza e quando lui l'aveva spronata ad aprire il corpo del peluche, lei vi aveva trovato all'interno una specie di mappa disegnata a mano. Poco indicativa e molto pasticciata, ma almeno quel gesto l'aveva fatta sorridere perché su quella mappa c'era segnato un percorso che terminava con un traguardo rappresentato da un enorme gelato con su scritto: iniziamo da qui?
«Non ti piaceva quella canzone?» le domandò lui, riportandola alla realtà. Abbassò lo sguardo quando sentì la sua mano sfiorarle un ginocchio, prima di depositarsi sul cambio dell'auto. Sana allora scostò appena le gambe dal cambio, poggiando le ginocchia alla portiera accanto a lei. Gli rivolse un sorriso nervoso: «Non molto.» rispose, sperando che lui non approfondisse il discorso.
«Capisco. Anche a me comunque, hai fatto bene a cambiare frequenza.»
«Bene.»
Nel rispondergli restò con lo sguardo ferma sul suo viso, osservandogli fugacemente il profilo mentre lui si concentrava sulla strada scura davanti a sé. Ne scrutò le linee decise della sua mascella e l'accenno di barba che gli ricopriva il viso per metà. Qualche ciocca di capelli gli fuoriusciva da un berretto di lana e Sana pensò che quell'accessorio non gli donasse particolarmente, perché gli schiacciava la testa e aumentava le dimensioni del suo naso. Ma pensò anche che alla fine non le importasse veramente, se non fosse stato per il colore dei suoi capelli. Erano castani, chiarissimi, ma non biondi e Sana non riusciva a capire il motivo per cui quel colore di capelli le sembrasse così sbagliato.
Allora sbuffò, voltandosi nuovamente verso il finestrino della macchina a fissare i puntini sui palazzi.
«Ti stai annoiando?»
«Come scusa?»
«Dicevo, ti annoi?»
Quella domanda le arrivò da un'espressione alquanto preoccupata, allora gli sorrise pensando che in fondo non si sentiva affatto annoiata. Pensava solo che fosse nel posto sbagliato in un momento ancora più sbagliato.
«No, non sono annoiata. Mi è piaciuta la cena...»
Quindi lui si voltò verso di lei un solo attimo, il tempo necessario per accarezzarle il mento con il dorso di una mano per poi tornare alla strada.
«Comunque siamo arrivati.» disse, decelerando e accostando l'auto verso uno spiazzo abbastanza libero, non troppo distante da una serie di palazzi messi in fila uno dietro l'altro.
«Oh... non me n'ero accorta.» realizzò guardandosi intorno disorientata.
Lui fermò l'auto e spense il motore. Poi si spostò di lato, appoggiando le spalle alla portiera dietro di lui e incrociò le braccia in un gesto che stava parlando per sé: era chiaro che si aspettava qualcosa. Si fermò lì in quella posizione e la guardò con un sorriso estasiato che a Sana mise quasi i brividi.
«Sai cosa pensavo mentre mangiavi il sushi?»
«A cosa?»
«Pensavo alle tue labbra, che si muovevano come se non mangiassero da un'eternità.» le disse con un sorriso.
«Ah sì?» rispose lei, leggermente imbarazzata. Era ben consapevole che il motivo dietro a quell'imbarazzo non era dovuto all'osservazione fatta da Shoji durante quello che voleva essere un momento intimo, preludio di qualcos'altro. In realtà non poteva fare altro che ritenere quell'osservazione profondamente sbagliata, e che altrettanto sbagliato fosse il posto in cui erano stati, e la cena che avevano consumato.
E mentre lei continuava a seguire il filo illogico e irrazionale di quei pensieri senza un briciolo di concretezza, non si accorse nemmeno che le spalle di Shoji si erano staccate dall'appoggio metallico su cui si erano depositate e che lui le fosse fin troppo vicino. Sapeva perfettamente cosa stava per succedere e riconfermò la sua teoria secondo cui si sa sempre quando qualcuno sta per baciarti, fatta eccezione per un'unica volta.
Perché si ha sempre un'eccezione da raccontare.
Allora sentì la punta delle sue dita sfiorarle la riga morbida del suo viso, fino a poggiarsi sul mento. Le sentì fredde e si domandò perché visto che la temperatura era così piacevole all'interno dell'auto. Sembrava quasi che quell'abitacolo fosse immune al freddo che la neve di febbraio stava generando all'esterno.
Poi quelle stesse dita si trasformarono in un unico pollice, che disegnò il contorno della sua bocca fino a fare una leggera pressione sul labbro inferiore, un po' verso il basso, dischiudendolo per chissà quale motivo.
E poi successe che Shoji si avvicinò, continuando a mantenere quel sorriso calmo e dolce.
«È tutta la sera che ti guardo la bocca... ed è tutta la sera che desidero baciarla.»
Quello strano sussurrò la stranì, ma allo stesso tempo la fece sentire stranamente compiaciuta per il fatto di aver capito perfettamente le sue intenzioni, ancora prima che le sue spalle si appoggiassero alla portiera del suo lato.
Alla fine la sua bocca era anche piacevole, morbida e ben definita, i suoi leggeri movimenti la misero a suo agio perché quel lento dischiudere le labbra sulle sue le diede il tempo necessario per decidere di comprendere ciò che stava provando. Avvertì un sapore sconosciuto quando la sua lingua gli leccò il labbro inferiore, ma chiuse ugualmente gli occhi. Tuttavia fu proprio quel suo gesto a rispondere veramente a quel bacio, perché mentre le labbra di lui si aprivano lentamente sulle sue per permettere alla sua lingua di cercarla, Sana serrò le sue, interrompendo quel momento che lui stava aspettando chissà da quanto.
Chinò il capo appoggiando la fronte sulla sua, pensando di aver suscitato in lui sicuramente un'espressione confusa che però non volle vedere.
«Brutto?» sussurrò lui.
«No. Troppo presto.» ammise senza mentire. Si era ripromessa di non farlo più e tranne qualche momento, ci stava più o meno riuscendo. L'eccezione però stava diventando un concetto decisamente ingombrante. Allora lei si allontanò dal suo viso e gli rivolse un sorriso di scuse.
«D'accordo, vorrà dire che la prossima caccia al tesoro sarà più lunga e impegnativa.»
A quella battuta lei non rispose che con una debole risata, che risuonò nell'auto quasi come un soffio. Quindi raccolse la sua borsa e alzò una mano, leggermente imbarazzata.
«Ti chiamo domani allora, buonanotte.» disse lui semplicemente, tornando ad appoggiare le spalle alla portiera dal suo lato.
«Buonanotte.»
Cancellò la distanza tra la macchina di Shoji e il portone del suo palazzo in tre rapide falcate, richiudendoselo alle spalle con un movimento decisamente troppo busco. Non sperò nemmeno che lui non se ne fosse accorto, né che non ci fosse rimasto male per quella specie di mezzo bacio accennato.
Non sperò niente, se non che l'ascensore fosse già al piano terra, così da riportarla a casa in meno di un battito di ciglia.
La luce in casa era accesa quindi smise di evitare di fare qualsiasi rumore.
«Ti stavamo aspettando.» la voce di Hisae risultò essere quasi meccanica. Sana la trovò seduta sullo sgabello accostato al tavolo penisola del loro soggiorno, alle sue spalle le luce della città si appoggiavano ancora ai palazzi, ma Sana in quel momento riuscì a trovarlo confortante.
«Tu e...?»
«Io e lei.» disse, alzando una bottiglia di tequila per sventolargliela in faccia. Sana allora sfilò le scarpe sul genkan e lanciò la giacca e la borsa sul piccolo divano a due posti disposto dall'altra parte della stanza.
«Festeggiamo qualcosa?»
«Dipende. Gliel'hai detto?»
«Di che parli?»
«Sana... il messaggio. "Trovami una scusa plausibile per fuggire da questa situazione". Gliel'hai detto?»
«Ah, quello...»
«Sì, quello.»
Sana allora sbuffò e raggiunse la sua amica che la seguiva con lo sguardo come un segugio seguirebbe la sua preda. La vide tirare a sé l'altro sgabello per poi sedersi esattamente di fronte a lei. Appoggiò il viso sul palmo di una mano e restò in silenzio.
«Sana! Guarda che mica muore se gli dici che non ti va di frequentarlo.»
«Dici?» domandò, in tono innocente.
«Be' sì. Hai mai sentito di qualcuno che sia morto per questo?» disse, alzandosi poi dallo sgabello per recuperare due bicchierini dal mobile sopra i fornelli. Versò della tequila ad entrambe e ritornò al suo posto.
«Comunque mi ha baciata...»
«Oh, e tu?»
«L'ho rifiutato, più o meno.»
«Be' un passo avanti. Festeggiamo allora.» disse, innalzando il bicchierino e rivolgendo un grosso sorriso alla sua amica, che si sentì improvvisamente meglio.
«Hai ragione, dovrei dirgli che non sono ancora pronta per una relazione.» disse, giocherellando distrattamente con il bicchiere ormai vuoto.
«No Sana, io non sono pronta ad avere una relazione. Tu non vuoi averla con lui. È diverso.»
Sana la guardò e si morse un labbro. Da quando Hisae e Toshio si erano lasciati, la sua amica sembrava essere diventata più dura e disillusa. E, nonostante le avesse ripetuto che quella era stata una decisione presa di comune accordo, Sana continuava a pensare che in qualche modo ci pensasse ancora. Allora piegò la testa su un lato, appoggiando il viso sul palmo della mano.
«Novità di Toshio?»
«No, macché. Ormai è finita, e non credo che nessuno dei due voglia tornare indietro. Dopo tanto tempo insieme pensi di aver perso più che altro un fratello. Inoltre, le storie finiscono e anche i dispiaceri così come l'alcol... purtroppo. Vuoi ancora?» le domandò, alzando di poco la bottiglia ancora mezza piena. Sana scrollò le spalle e le porse il bicchiere ormai vuoto che Hisae non tardò a riempire.
Ogni volta che Sana ripensava alla sua amica e alla fine della sua relazione con Toshio non poteva fare a meno di collegare tutto a quello che era successo dopo l'ultima serata passata insieme ai suoi amici. Poi lei glissava sempre su quell'argomento, sostenendo che ormai loro due non viaggiavano più insieme sullo stesso binario, e che era inutile continuare a pensarci. Ma Sana sentiva che la scelta di Toshio e Hisae di lasciarsi aveva tremendamente a che fare con Gomi e quello che era successo dopo.
«E Mizuki? É in casa?» domandò, accostando il bicchiere alle labbra.
«É uscita. Doveva lavorare... credo. Mi ha detto di dirti di aver preso il tuo riso e che domani te lo ricompra.»
«Mh, ok. Non ricordavo nemmeno di avere del riso.» disse senza nemmeno riflettere veramente su quella risposta. Spostò lo sguardo sulla bottiglia e poi raggirò il tavolo penisola per raggiungere la finestra dietro alle spalle della sua amica. Passò in rassegna alcuni dei dettagli che caratterizzavano quell'appartamento, dal colore scuro delle tende al copridivano dai toni caldi che Mizuki aveva voluto prendere in uno di quei negozi etnici che profumavano di incenso ed esotico. Quell'appartamento di Ueno per Sana rappresentava molte cose, una tra le tante ciò che era diventata la sua percezione dell'età adulta, nella quale iniziava davvero a muovere i primi passi. Nonostante fossero passati solo dieci mesi da quando tutto era diventato diverso, da quando la sua vita aveva preso una strada diametralmente opposta a quello che aveva sempre pensato potesse accadere.
Aveva deciso di prendere una stanza in affitto circa otto mesi prima e aveva trovato l'annuncio di una certa Mizuki che diceva di avere ben due camere libere nel suo appartamento in condivisione a Ueno, uno dei quartieri più stravaganti di Tokyo.
Il motivo per cui aveva preso la decisione di lasciare la casa in cui aveva vissuto per tutta la vita risiedeva in quella nuova e scalpitante sensazione che rotolava in ogni anticamera del suo essere di voler esplorare tutti gli aspetti che la circondavano, e che facevano parte di quell'enorme cosa sconosciuta che era la vita. Molto spesso si dava quella risposta quando pensava alle difficoltà di dover racimolare i soldi dell'affitto e delle bollette. Tuttavia una parte di sé pensava, ma non sperava, che il motivo dietro quella decisione risiedesse nella sua latente voglia di scappare da una condizione che le ricordava troppe cose e che non aveva ancora imparato ad accettare. Nonostante l'avesse resa la persona che era adesso.
Avere un circondario diverso avrebbe potuto contribuire a rendere diversa anche la percezione delle sue azioni, aveva pensato una volta.
«Sana, ma che fai?» domandò Hisae, guardando la sua amica con il viso appiccicato alla finestra del balcone e una mano poggiata sull'altro lato del vetro.
«Bo... pensavo. Ti ricordi quando mi hai chiesto se ci fosse una stanza libera qui?» le rispose, voltandosi verso di lei e abbandonando quella sorta di postazione da avvistamento alla finestra del balcone.
«Oh certo. Ricordo ancora le urla di mia madre quando ho preso questa decisione... ma alla fine ce la caviamo alla grande.» disse, enfatizzando l'ultima parte di quel pensiero.
«Già.» replicò con poca convinzione. Anche lei ricordava bene la reazione dei suoi genitori quando aveva comunicato loro di voler provare a vivere da sola e tentare di mantenersi in qualche modo, semplicemente perché ne sentiva l'esigenza. Voleva vedere se fosse mai stata in grado di camminare sulle proprie gambe e, sorprendentemente, i suoi genitori non le avevano opposto la minima resistenza.
Anzi.
Sua madre le aveva detto che l'avrebbe aiutata in qualsiasi modo, ma lei si sentiva così decisa e convinta a voler fare tutto da sola che aveva rifiutato quella proposta seduta stante. E quando si rese conto che da sola non riusciva ad affrontare veramente tutte le spese, si sentì molto frustrata a dover ritornare sui suoi passi e chiedere aiuto. Ma quella vicenda l'aveva spinta a riflettere su un aspetto sul quale non aveva mai nemmeno buttato un occhio: per la prima volta nella sua vita sentì di voler combattere per qualcosa, percepì quell'ardore che le era sempre mancato, che aveva sempre inconsciamente represso perché non aveva mai trovato veramente l'occasione per farlo uscire fuori dalle sue viscere. E benché si fosse comunque trattato di un banalissimo appartamento da prendere in affitto, Sana si era imposta di gestire quella cosa con le sue sole forze, camminando sulle sue gambe anche se questo voleva dire portare sulle spalle il peso di una fatica immane e, di conseguenza, rallentare la sua marcia.
Aveva sempre pensato questo, quando rifletteva sulla scelta di vivere da sola, affrontare le lezioni bilanciandole con un lavoro part-time che le permetteva di camminare a fatica sotto il peso di quella scelta. Ma, a volte, la parte di sé che riteneva quella decisione una scappatoia a quello che non riusciva ad accettare, prendeva il sopravvento e, in quei momenti, sentiva una stretta ferrea alla gola, un nodo che si scioglieva e l'unica cosa di cui sentiva il bisogno era la solitudine. Spesso restava chiusa in camera sua ad ascoltare musica. Perché si era resa conto anche di essere in grado di ascoltare la musica solo nella solitudine della sua stanza.
«Comunque, che impegni hai domani?» la voce di Hisae la trasportò nuovamente al presente, che in realtà non era nemmeno troppo diverso dal passato. Sana la osservò sistemare la bottiglia di tequila nella loro dispensa fatta di cose miste, cose in condivisione che comprendevano alcolici, preparati per dolci e qualche confezione di cereali piazzati lì da chissà quanto tempo.
«Al mattino lavoro... poi pensavo di fermarmi in biblioteca subito dopo il turno. Tu?»
«Be'... in verità domani pranzo fuori.» disse, leggermente in imbarazzo.
«Ah sì?» mugugnò l'altra distrattamente, mentre si sfilava il maglione di dosso e lanciandolo sul divano, insieme alle altre cose. Le venne in mente che avrebbe dovuto mettere su una lavatrice e si domandò che tempo ci sarebbe stato l'indomani.
«Sì. Vado a pranzo con Aya e Fuka. Scusami, ma è stata Fuka ad organizzare e lo sai... certe volte non ha mezze misure.»
Sana alzò le spalle.
«Tranquilla, ormai sono abituata a questi atteggiamenti. Poi la conosco e lo so che quando il suo umore è a terra non ragiona su certe cose.»
Hisae la guardò e si morse un labbro.
«Mi dispiace che sia ancora così restia a frequentarti. A volte mi sembra che tu le manchi, e comunque in generale non mi sembra abbia problemi ad uscire in gruppo.»
«Gruppo?» rifletté Sana. Si era seduta sul divano, piegando le ginocchia da un lato e aveva appoggiato il viso sul palmo di una mano, concentrata sulle parole di Hiase che in realtà conosceva alla perfezione, perché dopo il discorso "relazioni" c'era sempre il discorso "Fuka".
«Be' sì, quello che ne resta.»
«Tu, lei e Aya. Tsuyoshi che fine ha fatto?»
«Ah, e che ne so. Cioè Aya ci parla sempre di lui quindi sappiamo vita morte e miracoli. Ma lui preferisce uscire con Toshio... giustamente anche direi. Quindi è un bel po' che non lo vedo.»
«Capisco.»
«Comunque io penso che Fuka ci rifletta molto sul vostro rapporto... è che certe volte è così orgogliosa.»
«Io non credo si tratti di orgoglio. Insomma è passato quasi un anno, magari per certi aspetti è così. Probabilmente si è semplicemente resa conto che sta bene anche senza avermi nella sua vita.»
Sana disse quella frase con grande rassegnazione. Era perfettamente consapevole di quello che aveva fatto e di quanto, a distanza di un anno, le cose fossero completamente cambiate. E non solo per se stessa.
«Sarà come dici, ma io penso che lei si danni molto per il fatto di non aver capito nulla di quello che le succedeva intorno a quel tempo.»
Sana allora alzò lo sguardo verso la sua amica, guardandola un po' confusa.
«Ma sì... voglio dire, tu eri la sua migliore amica. Vi conoscete da un'eternità e il fatto che non sia stata capace di vedere oltre la propria voglia di stare con Hayama secondo me fa un po' la differenza.»
«Dici?» domandò, senza un briciolo di convinzione.
«Secondo me sì. Non ci voleva un mago per indovinare certe cose. Io penso che questo aspetto influisca molto sul suo essere altalenante nei tuoi confronti, è un po' come se si incolpasse da sola ecco.»
Hisae si mise un dito sul mento, mordendosi appena le labbra. Guardò attentamente l'espressione sul viso di Sana, e poi sospirò rilassando le spalle.
«E comunque... Aya mi ha detto di aver incontrato Shin in centro.» rivelò Hisae, scrutando nuovamente l'espressione di Sana di sottecchi. E non si sorprese affatto di vederla estremamente triste.
«Perché me lo dici solo ora?» disse di scatto, alzando la testa.
«Bo... aspettavo il momento giusto.»
«Mh... e come... come sta?» chiese, leggermente titubante.
«Aya l'ha trovato in forma. Stava andando allo studio di suo padre... ed era insieme ad una ragazza. Comunque non si è trattenuto molto e io credo che abbia anche finto di essere in ritardo. Secondo me non si sarebbe nemmeno fermato se Aya non lo avesse incontrato di faccia.» concluse, verificando ancora una volta il risultato di quella notizia sul viso di Sana.
«Oh... capisco. Be' è più che naturale credo, dopo tutto quello che è successo.» osservò lei, abbassando lo sguardo sul pavimento. Hisae allora si alzò dallo sgabello e raggiunse la sua amica sul divano. Le si sedette accanto e la guardò, rendendosi conto di quanto quella notizia l'avesse resa triste.
«È naturale sentirsi tristi. Insomma, se sapessi che Toshio sta con un'altra...»
«Lo so, lo so. In realtà... mi sento sollevata. Onestamente, Hisae, non mi sento triste, ma solo sollevata.» realizzò, alzando lo sguardo verso di lei. Hisae, allora, sollevò le sopracciglia e la guardò confusa.
«È che sono stata io a portarlo a questo... io l'ho completamente distrutto. Ho cancellato quello che eravamo in così poco tempo da non fargli rendere conto di nulla. E il modo in cui l'ha scoperto... gli ho spezzato il cuore Hisae. E sapere che oggi sta bene, che ora magari è di nuovo felice mi fa sentire sollevata. E anche un po' vigliacca, perché è come se mi stessi scrollando di dosso tutto quello che ho fatto. Ma in fondo... in fondo è così, no?»
Allora sul viso di Hisae si disegnò un grosso sorriso felice, e si lanciò sull'altra abbracciandola così forte che per un istante le impedì il respiro.
«Ma come sei diventata saggia Sana-chan
«Che dici... a pranzo quasi incendiavo la casa. Questa non mi sembra proprio saggezza.» disse lei, un po' in imbarazzo.
«No, però è vero. Cioè in cucina fai sempre schifo.»
«Che gentile.» replicò Sana, sciogliendosi dal suo abbraccio.
«Ma sei diversa adesso. Ed era anche ora, insomma. Non potevi di certo restare così poco sveglia per sempre?»
«Già.» disse lei, in un lieve sorriso non troppo sentito. In realtà quella semplice battuta la riportò immediatamente indietro nel tempo, a quando poco sveglia si sentiva per davvero semplicemente perché c'era qualcuno che glielo faceva notare costantemente. E fu proprio quel ricordo a renderla triste. Quella che sentiva in quel momento era davvero tristezza, perché percepiva la mancanza prorompente di qualcosa che aveva semplicemente cercato di reprimere con tutta se stessa.
Allora si alzò di scatto dal divano per poi acciuffare la montagna di vestiti che vi aveva depositato sopra.
«Dove vai?»
«A dormire. Domani sveglia presto.» le disse con un sorriso. Era perfettamente consapevole che Hisae non avesse colto il suo stato d'animo e cercò di evitare che capisse qualcosa, defilandosi semplicemente nella sua stanza.
Perché per lei i primi tempi dopo la decisione che aveva preso era stati duri. Ripensava spesso alle prime settimane passate dopo l'ultima volta che l'aveva visto, e sentiva sempre un profondo sapore amaro risalirle dalla bocca dello stomaco.
Non aveva mai riflettuto con se stessa se quella decisone, presa solo ed esclusivamente per amore di Fuka, fosse stata quella giusta e se si fosse pentita. A conti fatti non era servito a molto, dal momento che il suo rapporto con la sua ex migliore amica si era trasformato in qualcosa di puramente superficiale e di circostanza. Sapeva che lei continuava ad impegnarsi nello studio grazie ai racconti di Hisae e sapeva anche che quest'ultima aveva dovuto giustificare con l'altra la sua decisione di andare a vivere proprio con lei. Motivo che aveva generato un litigio tra le due durato quasi tre settimane. Ma, al di là di quelle semplici notizie, lei e Fuka avevano comunque chiuso il rapporto profondo che avevano prima di Hayama. Molto raramente Sana era stata invitata a qualche uscita del vecchio gruppo, ma si era sempre sentita estremamente a disagio, dovendo affrontare costantemente lo sguardo incattivito dell'altra verso di lei. Allora aveva smesso di accettare gli inviti di quel gruppo che, a conti fatti, non esisteva nemmeno più, e si era creata la sua personale alternativa.
Si chiuse la porta della sua stanza alle spalle e lanciò maglione e giacca sul letto senza nemmeno pensarci troppo. Si sfilò gli orecchini a cerchio che aveva e li ripose nel portagioie di legno scuro intagliato che Mizuki le aveva regalato quando si era trasferita in quella casa, facendo poi la stessa cosa con una collana di perline rosse riponendola però in un contenitore apposito che aveva messo nel primo cassetto del suo comodino. E senza nemmeno rendersene conto, sfiorò alcuni quaderni che aveva più o meno nascosto sotto i vestiti, sentendo un improvviso senso di vuoto farsi largo in un punto indistinto del suo stomaco. Lo percepì quasi come una fitta quando osservò il quaderno che usava insieme ad Akito per quel compito di sociologia generale che aveva dato vita allo sconvolgimento della sua vita.
Sorrise ripensando all'amara ironia della sorte che aveva deciso di non permettere loro di portare mai a termine quel compito.
Lei aveva sempre pensato che Hayama non si sarebbe più fatto vivo a lezione in ogni caso, anche se il loro professore non fosse stato sostituito da un assistente, a causa di un'improvvisa operazione. E pensò che fosse abbastanza divertente il fatto che proprio quell'assistente avesse deciso di sostituire il compito a cui avevano iniziato a lavorare con qualcosa di più tradizionale.
Per un breve istante, Sana aveva pensato che il destino le avesse giocato veramente un brutto scherzo e che se quell'operazione fosse stata anticipata di qualche mese, forse la sua vita sarebbe rimasta invariata. Poi si era domandata subito dopo se avesse potuto rinunciare alla felicità che aveva provato anche solo per così poco tempo, a discapito di una vita facile e invidiabile.
Alla fine era riuscita a superare quell'esame, senza Hayama e senza il compito che avevano iniziato a svolgere insieme.
Si sentì sfinita di colpo, quindi chiuse quel cassetto e si buttò sul letto pensando al fatto che probabilmente avrebbe dovuto dire a Shoji che ci aveva provato, ma che non voleva più vederlo perché, in fondo, stava bene così.

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