Capitolo 8

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Il suono metallico delle monete, che rimbalzavano nel registratore di cassa ogni volta che Akito lo apriva per conservare il pagamento di ogni cliente, si stava mischiando a quello della musica che aveva ormai riempito ogni angolo del locale.
Mentre John preparava cocktail e spillava birre, sua cugina Akane quasi volava tra un tavolo ed un altro, divenendo un'esperta trasportatrice di vassoi stracolmi in meno di due ore. Quanto ad Akito, il suo compito si era concentrato nell'angolo del bancone, tra il registratore di cassa, la lavastoviglie e i bicchieri da asciugare ad una velocità che ormai non riusciva più a definire. E ne fu anche contento, perché la difficoltà che aveva avuto nel trovare la concentrazione giusta per poter lavorare in un modo quanto meno decente era stata sostituita in maniera obbligata dalla necessità di prestare attenzione a quello che succedeva nel locale di John. Quindi il suo cervello fu costretto a dedicarsi esclusivamente a quella serie di attività manuali, circoscritte alla cassa e alla lavastoviglie, escludendo ogni tipo di pensiero astratto o emotivo che non riguardasse il lavoro di quella sera.
Poi alle sue orecchie arrivarono le note di una una canzone un po' fuori dalla playlist a cui John lo aveva abituato quella sera e gli rivolse un'occhiata, un po' stranita ma anche rassegnata. Perché si aspettava un cambio di rotta da parte del suo amico, cambiamento che si rifletté in una serie di movimenti di spalle eseguiti proprio da John, che lo guardava sorridente con uno shaker stretto tra le mani. Allora Akito sollevò un sopracciglio e gli si avvicinò di qualche passo, approfittando di quel breve tempo morto alla cassa.
«Ma non doveva essere una serata country?» gli domandò, senza nemmeno troppa convinzione.
«Rock- country... devo farli scatenare un po' questi avventori, non pensi?»
Hayama gli rispose con un'alzata di spalle indifferente alla quale John replicò con una shakerata decisamente rumorosa, eseguita proprio in faccia al suo imbronciato amico che sbuffò. In realtà in cuor suo avrebbe voluto vivere con la stessa nonchalance di John, che sembrava divertirsi e godersi la vita in ogni singolo momento, mentre a lui sembrava di eseguire solo una serie incalcolabile di cazzate. E si convinse di non aver appreso nulla dagli anni trascorsi con John al riformatorio, perché se lui ne era uscito quasi indenne, si domandò se poteva dire la stessa cosa di se stesso, visto che non riusciva ad nemmeno ad ammettere che una sedicenne un po' troppo saccente non aveva così torto come lui invece aveva voluto farle credere.
«Io mi domando cos'è che hai firmato col sangue che ti impedisce di concederti qualcosa di positivo nella vita.» sussurrò poi John, versando rapidamente il frutto di quel miscuglio dal bicchiere di metallo luccicante. Akito osservò distrattamente la schiuma e le bollicine che si diffondevano sulla superficie del bicchiere, fino a dissolversi completamente, riflettendo sulla possibilità che le catene che si era attaccato addosso potevano invece restare lì all'infinito, senza alcuna via di dissoluzione.
Scosse la testa e rivolse al suo amico un sorriso da presa in giro.
«Un contratto di lavoro da quaranta ore settimanali al tuo locale.»
Allora John rise sinceramente divertito, aggiungendo ancora qualcosa al cocktail che aveva appena preparato.
«Trenta... sei tu che mi stai sempre tra i piedi, anche quando non dovresti.» lo canzonò, in tono tranquillo, osservando Akito che gli dava le spalle per avvicinarsi alla cassa, gesticolando qualcosa con le mani.
Quello scambio di battute con John lo rilassò e sentì di colpo i muscoli delle spalle cedere ad una nuova ritrovata tranquillità, almeno fisica, che gli permise di concentrarsi meglio sul pagamento di un conto da parte di un nuovo cliente. Ma quella tranquillità era destinata a svanire proprio come i soldi dal portafoglio del ragazzo che aveva appena pagato tutto il conto, per sé e per la ragazza che lo accompagnava, probabilmente per fare bella figura ad un probabile primo o al massimo secondo appuntamento, pensò lui.
E fu Akane a rimettere i suoi muscoli in tensione, quando tornò dall'ennesima battuta di recupero di bicchieri vuoti dai tavoli che, secondo lei, iniziavano già a scarseggiare.
«Hayama, mi sa che servono più bicchieri. Sono tutti a lavare e qui sul ripiano ce ne sono pochissimi...»
«Sì lo so. Tu pensa ai tavoli, qui me la vedo io... è che questa lavastoviglie fa schifo.» commentò lui, abbassandosi per controllare a che punto fosse con il lavaggio del carico precedente. Sbuffò, rendendosi conto che avrebbe dovuto lavare a mano il resto delle cose.
«Tuo cugino insiste nel volerla riparare da solo, quando invece andrebbe semplicemente buttata.» aggiunse infine, tirandosi le maniche della maglia scura che aveva fino ai gomiti e aprendo il getto d'acqua del rubinetto per iniziare a lavare.
«Comunque prima sono passata da lei a recuperare il suo bicchiere vuoto. Mi sembra un po' andata.»
A quella confessione Hayama si voltò verso Akane che teneva il vassoio stretto tra le braccia, insieme ad uno sguardo soddisfatto in viso.
«Be' stanno bevendo tutti, non mi sembra la novità del secolo.» replicò, immergendosi nuovamente nel suo bagno quotidiano di strafottenza e cinismo di cui proprio non riusciva a fare a meno in certe situazioni.
«Ah, quindi non ti interessa che lei sia ubriaca.»
«No. Non ho nemmeno capito di chi tu stia parlando onestamente. Io fossi in te penserei a lavorare.»
Akane si mise un pollice tra le labbra, divertita dall'atteggiamento di Akito che cercava palesemente di difendersi dai suoi colpi.
«Parlo della rossa, con la gonna e le calze alla francese. Quindi non ti interessa?»
Hayama non le rispose nemmeno e cercò di concentrarsi sui bicchieri da lavare, divenuti troppi. Decisamente troppi.
«E non ti interessa nemmeno sapere che ho visto ben due ragazzi provarci con lei? Uno le ha addirittura messo una mano dove proprio non avrebbe dovuto...» continuò lei, appoggiandosi al bancone accanto ad Akito e di spalle alla folla che riempiva tutto il locale.
Se Akane si sentiva finalmente soddisfatta nell'aver messo Akito a disagio, senza nemmeno preoccuparsi di capirne il motivo, quest'ultimo invece perse totalmente quel barlume di tranquillità acquisito insieme a John solo qualche attimo prima. Sentì la tensione generarsi sui muscoli del collo, fino a scivolare lungo le braccia per poi schiantarsi sulle mani, generando un urto così forte da farlo trasalire. Hayama sgranò gli occhi ma non sentì nulla. Se non avesse visto quella goccia di sangue sulle dita della sua mano mischiarsi al getto d'acqua fredda del rubinetto, non si sarebbe nemmeno accorto di aver rotto un bicchiere, forse per averlo stretto troppo forte.
Avvertì una leggera risata e quando si voltò verso Akane, lei era già lontana, con il caschetto scuro che le ondeggiava sul collo, muovendosi in direzione della folla per un'altra battuta di recupero.
«Piccola stronza...» borbottò, prendendo uno straccio qualunque per sistemare sia la ferita che il danno ai bicchieri.
Spostò poi l'attenzione al registratore di cassa notando solo in quel momento la presenza di due ragazze che aspettavano il loro turno per pagare. Una delle due sbuffò, visibilmente annoiata. Allora le raggiunse, porgendo loro il conto. In realtà non le aveva nemmeno guardate in faccia, quindi si sorprese abbastanza quando la ragazza che aveva sbuffato, facendo muovere le labbra condite da un rossetto rosso molto vistoso insieme allo schiocco di due dita, sulle cui unghie spiccava lo stesso colore della bocca, cercò di richiamare la sua attenzione. Akito sollevò le sopracciglia, accorgendosi solo in quel momento che quella con le labbra rosse era stata appena abbandonata dalla compagna, già sotto la porta d'ingresso.
«La mia amica dice che sei carino. Questo è il suo numero... mi raccomando, non fare lo stronzo!» gli disse, in una sorta di minaccia velata, porgendogli un bigliettino ripiegato su se stesso in modo frettoloso. Hayama spostò lo sguardo sulla ragazza alla porta per poi tornare a quella davanti a lui.
«D'accordo.» disse semplicemente, nemmeno troppo interessato a leggere il contenuto di quel messaggio. Ma si rese conto di non aver più la possibilità di poterlo fare, perché John era comparso dal nulla, strappandogli il foglietto di mano.
«Vedi? Te l'ha detto pure lei.» disse, strappando il fogliettino in decine di piccoli frammenti che gettò nel cestino della carta, proprio accanto ai loro piedi. Akito lo guardò con sguardo duro.
«Ma siete ovunque, tu e tua cugina?» lo ammonì, stringendo poi lo straccio intorno al dito ferito. John guardò quel particolare, per poi allontanarsi da lui camminando all'indietro.
«Siamo la tua coscienza, Acchan!» disse, gesticolando con le mani.
Ma che rumore fa la coscienza, quando batte alla porta del proprio cuore?
Akito se lo domandò in quel momento, sentendo che il suo sguardo si stava spostando nuovamente verso il centro della sala, che stranamente corrispondeva anche al centro della sua concentrazione. E dimenticò il dito ferito, il bigliettino strappato e i bicchieri da lavare. Perché di nuovo fu catturato da quei movimenti ipnotici che stavano orchestrando una vera e propria sinfonia.
E in quella sinfonia maldestra, Sana sentiva ormai il corpo completamente scollegato dalla sua mente. Non seppe capirne la dinamica, ma sapeva di dover ricondurre tutto ai tre bicchieri di tequila bevuti insieme a John. Probabilmente il fatto di averli mandati giù uno dietro l'altro, aveva contribuito a farla sentire così stordita in così poco tempo.
I suoi amici sorridevano, ballando sotto le note di una canzone country, genere ritornato a dominare la playlist di John, che probabilmente nessuno di loro aveva nemmeno mai sentito. Ma si divertivano ad imitare qualche passo visto chissà in quale film americano. Poi Hisae lasciò il braccio di Toshio e si avvicinò a Sana.
«Mi accompagni in bagno?» le urlò all'orecchio per farsi sentire dalla sua amica. Quest'ultima le rivolse un sorriso estasiato, senza nessun motivo, e Hisae si rese conto di che effetto le avesse fatto l'alcol datole da John.
Quando si ritrovarono da sole, nello stretto corridoio del bagno del locale, Sana non la smetteva di ridere e si rendeva sempre più conto che, probabilmente, aveva esagerato con la tequila. Sentiva la musica arrivare dalla sala in maniera ovattata e si domandò se quella non fosse una percezione solo sua.
Hisae, al contrario, sembrava perfettamente lucida e si appoggiò alla porta del bagno dei maschi, incrociando le braccia sul petto.
Allora Sana si bloccò, notando lo sguardo serio della sua amica fisso su di lei. Nonostante la sbornia, si rese conto che qualcosa non andava.
«Non vai in bagno?»
«Non ci devo andare.» rispose lei.
«E allora perché...»
«Che sta succedendo?» domandò Hisae, senza permettere a Sana di terminare la sua di domanda.
«Ma in che senso?» Sana era frastornata e non capiva se il motivo di quella confusione fosse dovuto al suo stato alterato o allo sguardo di Hisae, che continuava a poggiarsi su di lei, insistente e duro.
Allora quest'ultima si staccò dalla porta del bagno degli uomini e si avvicinò all'amica.
«Tu che litighi con Gomi, gli sguardi con Hayama. Sana, che sta succedendo?» insistette indurendo il tono della voce. Sana sgranò gli occhi, sentendo un brivido lungo la schiena.
«Niente. Io e Shin abbiamo litigato, succede no? Tu e Toshio non litigate mai?»
«Certo che litighiamo. Ma qui c'è qualcosa di diverso e secondo me c'entra Hayama.»
«Che assurdità.»
Hisae la scrutò attentamente in viso, assottigliando lo sguardo. Sana, di rimando, si sentì ancora più in imbarazzo.
«Allora dimmi che quello scambio di sguardi tra voi due prima al bancone è frutto della mia immaginazione.»
Allora Sana restò per un istante interdetta, con le labbra dischiuse, colpita in pieno viso dalla frase della sua amica, che ebbe il potere di risvegliarla facendola piombare in un nuovo, ennesimo stato di confusione.
Forse quello era il momento che stava aspettando da tanto, il momento in cui il destino le aveva offerto la possibilità di condividere, finalmente, la sua profonda angoscia e confusione con qualcun altro che non fosse solo se stessa. Forse si sarebbe sentita meglio se avesse rivelato alla ragazza il profondo ed intricato miscuglio di emozioni che stava vivendo ormai da settimane.
Ma l'espressione dura sul volto di Hisae fece in modo che quell'impeto di coraggio che le era appena venuto, svanisse.
«Sana... Hayama esce con Fuka, la tua migliore amica. E tu stai con Shin da anni ormai. Che diavolo stai facendo?» Hisae si era avvicinata al viso dell'amica per evitare di alzare troppo la voce. Tuttavia, la rabbia che provava dentro era sufficiente affinché qualsiasi buon proposito di mantenere contegno e discrezione si vanificasse.
«Lo so, lo so bene. Non c'è niente di cui preoccuparsi, io e Shin abbiamo avuto solo una stupida discussione.» rispose lei, abbassando lo sguardo al pavimento.
«Mh, e di Hayama cosa mi racconti?»
«Non c'è niente da dire. Siamo compagni di corso, anzi forse non siamo nemmeno più quello.»
Hisae la guardò sospirando. Aveva notato il cambiamento di espressione sul viso della sua amica e sentiva, dentro di se, che ciò che vedeva era sintomo dello stato d'animo di Sana e non della sbronza alla tequila. Conosceva bene la sua amica, sapeva quanto per lei certe cose fossero importanti e, a conti fatti, vederla in quel modo non la rendeva certo felice. Era giorni che Sana era assente, quando fino a qualche settimana prima era sempre stata lei a trascinare quel gruppo. In realtà era merito suo se esistevano come amici e si rese conto che, da quando lei stava vivendo chissà cosa che la turnava in quel modo, si erano visti sempre meno.
Allora la prese per mano e Sana sollevò di nuovo lo sguardo dal pavimento, raggiungendo il viso della sua amica che, stranamente, non le appariva così duro come solo pochi minuti prima.
«Io penso che ci sia qualcosa che non va e che tu sia molto turbata. Lo penso da settimane ormai.»
«Ma no, che dici. Non c'è nulla che non vada...»
«Ti piace Hayama?» le domandò di getto, mantenendo però un tono estremamente dolce e comprensivo.
Sana sgranò gli occhi e si sentì girare la testa. Forse in quel momento era l'alcol ad agire sul suo corpo.
«No, assolutamente no.» disse, senza rendersi conto che i suoi occhi si erano già riempiti di lacrime.
«Sana...» sussurrò la sua amica, rilassando le spalle. La osservò con immensa tristezza mentre il suo viso si riempiva di lacrime, e probabilmente quella reazione era amplificata anche dal suo stato attuale, per cui sperava che la cosa non fosse complicata quanto invece Sana la stava facendo sembrare.
Tuttavia le lacrime della sua amica sembravano tutt'altro che esagerate e Hisae capì che Sana doveva sentirsi in quel modo da molto tempo, per essere crollata in quel modo tra le sue braccia, nello stretto corridoio dei bagni dell'Old Boy.
«Non so cosa mi succede, non ci capisco più niente.» singhiozzò nascondendo il viso tra le mani.
«Mi sento così persa e non riesco più a trovare una via d'uscita in tutto questo casino. E ti sembrerò esagerata, come sempre. Tu mi dici sempre così... ma io questa volta, sul serio, non so cosa fare perché è la prima volta che riesco a sentirmi felice rendendo infelice qualcun altro.» disse di getto, sentendo solo in quel momento le braccia di Hisae che la cingevano e lei si lasciò andare, inondando la spalla della sua amica di lacrime che stavano spingendo per uscire da così tanto tempo. E Sana si sentì stranamente meglio, come se l'angoscia che la tormentava si era alleggerita di qualche grammo e ora lei riusciva a sostenerla con più facilità.
«Ed è successo qualcosa, tra voi intendo?» le chiese Hisae, continuando a stringerla tra le braccia.
«No, niente affatto. Credo che lui mi detesti e io ho deciso di chiudere ogni rapporto. Sarà meglio per tutti... non ce la faccio più ad evitare lo sguardo di Fuka.» sussurrò lentamente, appoggiando la testa al petto della sua amica. Si sentì finalmente meglio e riuscì anche a smettere di piangere. Poi percepì il tocco leggero delle dita della sua mano tra i capelli.
«Troveremo un modo per sistemare le cose.» pronunciò distrattamente, sperando di sembrare convincente. Ma in quell'esatto istante la porta dei bagni si spalancò e il viso turbato di Tsuyoshi fece la sua comparsa, insieme a qualche suono più distinto proveniente dalla sala.
«Sana, ma che stai facendo?»
«Sono in bagno... non si vede?» rantolò lei, voltandosi dalla parte opposta del suo amico per asciugare le lacrime dalla faccia, sperando di non rendere il suo viso un disastro.
«Muoviti, c'è Shinichi ed è completamente ubriaco.» aggiunse non curandosi minimamente delle facce sconvolte che entrambe avevano.
«Cosa?» mormorò lei. Allora Hisae la prese per mano, stringendogliela, e la trascinò all'esterno seguendo Tsuyoshi che sembrava stesse andando completamente fuori di testa.
«Tsu, ma che gli prende?» domandò Hisae, una volta in prossimità del gruppo di amici. Indicò Gomi, visibilmente stravolto, che rideva a crepapelle stringendo una bottiglia mezza vuota di chissà cosa.
«Ma che ne so. È arrivato già ubriaco e non fa altro che chiedere di te, Sana.» si rivolse a lei con un'espressione un po' preoccupata.
Sana condivideva appieno le preoccupazioni dell'amico e tutto quel trambusto contribuì a far scemare la sua di sbronza. Hisae invece cercò di alleggerire i toni.
«E dai Tsu, che dramma. Avrà bevuto un paio di bicchieri e ora è venuto qui a smaltire la sbornia. Lascialo divertire.» ma Tsuyoshi non sembrava della stessa idea e si girò verso il gruppo che aveva notato il loro ritorno dal bagno. Così come lo aveva notato Gomi.
«Eccola lì, la mia Sana.» disse in una sonora risata, allargando le braccia e facendo attenzione a non perdere la bottiglia di quello che sembrava essere whisky. Barcollò in direzione dei tre che non si erano mossi nemmeno di un centimetro dal punto indistinto al centro del locale dove si erano fermati.
Sana rimase immobile stringendo la mano di Hisae. Non sapeva cosa aspettarsi dall'avanzata del suo stravolto fidanzato. L'ultimo passo che lui fece fu abbastanza azzardato perché inciampò sui suoi stessi piedi, andando a sbattere contro uno dei tavoli disposti nella sala. Riuscì ad aggrapparsi al ripiano con entrambe le braccia, ma l'urto provocò la caduta di una serie di bicchieri vuoti. Gomi scoppiò a ridere, probabilmente di se stesso, e poi si tirò su facendo ancora qualche passo verso Sana, Hisae e Tsuyoshi.
«Amore mio, quanto mi sei mancata.» esclamò allargando le braccia per abbracciarla. Lei corrugò la fronte ma non si mosse. Non lo aveva mai visto così stravolto e non aveva idea di come gestirlo.
«Sei riuscita a respirare, eh? Guarda qui quanta aria che c'è in questo posto di merda!» aggiunse ispirando a pieni polmoni un'enorme boccata d'aria, che a stento riuscì poi a trattenere.
«Shin, ma quanto hai bevuto?» sussurrò lei avvicinandosi al suo ragazzo.
Lui alzò la bottiglia mezza vuota, mostrandogliela con uno sguardo fiero.
«Questa credo sia la seconda... anche se è vuota per la metà. Tsu, come si dice allora? La seconda meno metà? Quindi la prima più mezza?» fece al suo amico, che lo guardò con un sorriso nervoso.
«Allora prima più mezza, amore mio. Ma guarda come si respira bene qui...»
Lui non faceva altro che alludere alla discussione che avevano avuto e Sana iniziò a sentirsi totalmente a disagio, soprattutto a causa della presenza di Hisae.
Nel frattempo, anche Fuka aveva raggiunto il gruppo osservando Gomi con uno sguardo indurito. Era sul punto di intervenire e se solo Sana le avesse fanno un cenno, lo avrebbe fatto all'istante.
«Ma perché non la smetti, eh?» fece Sana, scaturendo in Gomi l'ennesima risata.
«E perché scusa? Qual è il problema se dicessi ai nostri amici che te ne sei andata perché ti mancava l'aria? È una cosa così normale, no? D'altronde è un male voler fare l'amore con la propria fidanzata, vero Tsu? Scommetto che Aya scappa via ogni volta che cerchi di toccarla.» si rivolse nuovamente al ragazzo, che avrebbe voluto sprofondare, risucchiato nelle tenebre da qualche creatura mitologica comparsa all'improvviso proprio sotto i suoi piedi.
Sana era rossa in viso, non solo per l'imbarazzo, ma anche per la rabbia che Gomi le aveva suscitato, sbandierando ai quattro venti ciò che era successo quel pomeriggio a casa sua.
«Smettila Shin, questi non sono problemi che li riguardano. Se avessi un briciolo di maturità, non ti comporteresti così.» disse lei, riversandogli addosso tutta la sua rabbia. Allora lui le si avvicinò, stando sempre attento alla sicurezza della sua bottiglia e solo allora Sana riuscì a quantificare l'alcol da lui ingerito, a giudicare dal forte odore che emanava.
Gomi prese il viso di Sana tra le mani e la guardò negli occhi. Si rese conto che aveva pianto e corrugò la fronte. In quel momento lei pensò di aver ritrovato la dolcezza del suo ragazzo, perduta nei fiumi di alcol ingeriti. Ma lui fece un brusco movimento verso il suo viso, appoggiando le labbra sulle sue in un gesto talmente violento che lei quasi barcollò. E dovette trattenersi alla sua giacca per evitare di cadere a terra. Lui cercò la sua bocca con la stessa veemenza con cui lei cercò invece di svincolarsi da quella morsa.
«Ma cosa fai?» disse, con gli occhi pieni di lacrime una volta liberatasi dalle sue mani. Ma lui cercò nuovamente di avvicinarsi, con uno sguardo confuso.
«Vedi cosa sei diventata? Ogni volta che ti tocco tu scappi via e non dire cazzate perché è così.»
«Ma questo non è il modo...»
«E qual è il modo? Quello di farmi impazzire, davanti a tutti? Sana, ti rendi conto che mi stai facendo impazzire? Io ti desidero ma tu non fai altro che fuggire!» quasi urlò, e di nuovo cercò un contatto con lei avvicinandosi, ma barcollando visibilmente. Ma quando cercò di baciarla di nuovo, afferrandola per le spalle con troppa forza, sentì un'energia che lo trascinava dalla parte opposta rispetto al suo oggetto di interesse. Si voltò verso il punto d'origine di quella forza sconosciuta e sgranò gli occhi, incontrando quelli ambrati di una persona che conosceva fin troppo bene.
«Stai esagerando amico. Se vuoi dare spettacolo fallo fuori di qui.» disse Hayama in tono tranquillo ma con uno sguardo decisamente indurito.
«Non ci posso credere, ancora tu! Ma cosa vuoi? Sto parlando con la mia ragazza, fatti gli affari tuoi.» gli sputò in faccia, strattonando il suo braccio dalla ferrea presa del ragazzo.
Akito lo lasciò andare, ma si mise tra lui e Sana: «Sei nel mio locale e non mi interessa con chi tu voglia parlare. Va' fuori, o ti caccerò con la forza.»
«Naturalmente. Un criminale come te è pronto ad usare le mani in ogni situazione. Vedi Sana? Vedi chi è il tuo amico? Uno che non vede l'ora di spaccarmi la faccia.» disse, sporgendosi oltre il ragazzo per raggiungere lo sguardo di lei.
«E non sai quanto sia vero.» sibilò l'altro, continuando a restare fermo nella sua posizione. Gomi, però, cercò di spostarlo via, afferrandolo per un braccio.
«Levati di mezzo. Devo parlare con lei...» ma Hayama gli afferrò la mano che si era poggiata sul suo braccio, e fece un profondo respiro.
«Te lo dirò un'ultima volta. Va' fuori dal mio locale.» ripeté, afferrando Gomi per il colletto della giacca. In quel momento, probabilmente, nessuno dei due aveva il pieno controllo sulle proprie emozioni e reazioni perché se Gomi era visibilmente alterato dall'ingente quantità di alcol ingerita, Akito era alterato esclusivamente da un profondo senso di rabbia che cresceva dentro di lui a dismisura.
«Basta, tutti e due... smettetela. Anzi sapete cosa vi dico? Me ne vado io!» urlò Sana, facendo qualche passo verso Gomi. Guardò prima lui, poi rivolse un ultimo sguardo ad Hayama, che le sembrava in quel momento completamente fuori di sé. Non riuscì a sostenere a lungo il suo sguardo e si precipitò verso il bancone su cui aveva abbandonato il suo cappotto e se lo infilò.
«Sana-chan, ma che sta succedendo lì in mezzo?»
«Va' da Akito.» disse soltanto, infilandosi il cappotto. John la guardò preoccupato osservando poi la ragazza di spalle varcare la soglia del suo locale scappando fuori.
Allungò poi il capo alla ricerca del suo amico e si precipitò nel mezzo di quella rissa nascente lasciando il bancone a sua cugina, che iniziò a sudare sette camicie per riuscire a badare alla mole di lavoro della serata.
John acciuffò Hayama per il collo della maglia scura nonostante il ragazzo fosse praticamente immobile davanti a Gomi che, al contrario, sembrava stesse prendendo la carica giusta per sferrargli contro un colpo coi fiocchi. In quel momento accorsero anche Tsuyoshi e Toshio, che cercarono di trattenere il loro amico per entrambe le braccia. Allora la sua bottiglia di whisky cadde a terra rompendosi in mille pezzi e lasciando che l'intero contenuto si riversasse sul pavimento del locale.
«Guardate cosa avete fatto, brutti testoni. Lasciatemi andare, gli devo spaccare la faccia a quel criminale.»
A quelle parole, John strinse la presa su Akito prevedendo una reazione ben peggiore di quella dell'altro ragazzo, ma, subito dopo, si rese conto che tutta quella forza non era affatto necessaria perché il ragazzo continuava ad essere immobile, non rispondendo alle provocazioni di Gomi. Allora cominciò a rilassare il braccio, allentando la forza sulla presa.
Hayama, allora, prese il braccio di John e lo allontanò.
«Tranquillo, non ho intenzione di fare altre cazzate.» sussurrò lui, e John fece un sospiro di sollievo compiaciuto del fatto che il suo figlioccio avesse messo la testa davanti all'istinto, per la prima volta in vita sua.
Ma Gomi non sembrava voler abbandonare la disputa e si avvicinò ad Hayama.
«Ehi ragazzino, credo che questo non sia il posto migliore per smaltire la tua sbornia.» John si pronunciò a favore dell'allontanamento di Gomi dal locale. Allora i suoi amici lo presero di forza, trascinandolo verso l'uscita, seguiti da Hisae ed Aya.
Fuka, invece si avvicinò ad Akito.
«Stai bene?» domandò, poggiandogli una mano sul braccio. Lui fece un leggero cenno del capo.
«Non l'ho mai visto così. Shin è sempre stato un tipo tranquillo. Evidentemente le cose con Sana si stanno mettendo davvero male... ti dispiace se vado con loro? Oltretutto sono preoccupata per Sana.» gli disse, indicando i suoi amici che lasciavano il locale.
«No, va' pure.» commentò soltanto, senza nemmeno un briciolo di espressione. Lei si aspettò un bacio che non arrivò mai, perché Hayama la guardò per un lungo istante, prima di seguire John verso il bancone del locale. Fuka corrugò la fronte, pensando che quello non era il momento giusto per esporre al ragazzo quei dubbi che ormai la stavano assillando da troppo tempo.
Quando Akito raggiunse John al bancone, si passò velocemente una mano tra i capelli, guardando il suo amico con una strana espressione in viso. Non riusciva a capirne il motivo, ma si sentiva in qualche modo responsabile per la piega che aveva preso la loro serata rock-country.
«Dov'è lei?» domandò a John.
«Se ti stai riferendo a Sana, è andata via di corsa qualche minuto fa.» gli rivelò, notando l'espressione incupita di Akito che quella risposta aveva generato.
«Sai, di solito la gente a piedi non è che faccia molti chilometri. Scommetto che le moto sono più veloci.» lo provocò, continuando ad asciugare un bicchiere ormai privo di qualsiasi traccia d'acqua.
«Be', che fai ancora lì impalato? Muoviti, tanto qui la serata è finita.» lo incitò per l'ennesima volta. E Hayama non se lo fece ripetere due volte. Afferrò velocemente il casco, slacciò il grembiule e lo lanciò sul bancone, senza nemmeno preoccuparsi di dove potesse finire, e corse verso l'uscita dell'Old Boy.
John lo seguì con lo sguardo, compiaciuto del fatto che il ragazzo avesse finalmente smesso di essere spaventato dalla possibilità di qualcosa che lo mandasse fuori controllo emotivo. Sperò solo che quel momento non diventasse un unico barlume in mezzo ad una fitta coltre di tenebre.
Ma Hayama non stava pensando affatto al futuro, a quello che sarebbe successo di lì ai prossimi minuti, ore, mesi. L'unica cosa che forzava il suo piede a spingere più forte sull'acceleratore era la necessità di trovare Sana e di parlare con lei. Non sapeva quanta strada avesse fatto fino a quel momento, non riusciva a quantificarla, gli sembrava di essere su quella moto da decenni. E sapeva anche che la probabilità di trovarla senza nessun indizio, poteva ridursi ad una percentuale davvero ridicola, se si guardava intorno e vedeva la moltitudine di persone affollare le strade di quella città.
Allora decise di fare lo stesso percorso che lei avrebbe intrapreso per tornare a casa dal locale, perché non gli veniva in mente nessun altro posto in cui avrebbe potuto trovarla. E quando notò una piccola figura, esile ma familiare, camminare su uno stretto marciapiede poco illuminato, iniziò a decelerare la sua corsa fino ad accostarsi alla ragazza. Lampeggiò un paio di volte con i fari della moto, ma lei non si voltò.
Hayama corrugò la fronte, consapevole del fatto che lei, ormai, non aveva alcun bisogno di voltarsi per scoprire che era stato a seguirla fino a lì. Allora, arrestò la moto spegnendola. Poi scese dalla sella e si sfilò il casco, deponendolo sul manubrio correndo letteralmente verso Sana che, invece, continuava a camminare per la sua strada.
La afferrò per un braccio stringendolo più del dovuto e solo in quel momento, lei si voltò verso di lui. Hayama sgranò gli occhi quando incontrò quelli della ragazza, gonfi e provati dalle lacrime versate.
«Che c'è?» chiese lei, corrugando la fronte e puntando lo sguardo sulla mano di lui ancora stretta intorno al suo braccio.
Hayama non rispose a quella domanda, perché si rese conto del fatto che lei ritenesse la sua presenza lì decisamente inopportuna in quel momento. Pensava che, forse, avrebbe potuto risolvere qualcosa correndole dietro ma si domandò subito quale aiuto avrebbe mai potuto porgerle, dopo averle detto chiaramente di uscire dalla sua vita. Dopo tutto ciò che aveva detto su di lei, che non fosse nemmeno in grado di capire quanto avesse sofferto nella vita e che la sua vicinanza non fosse altro che un capriccio per sentirsi una persona migliore, si domandò seriamente con quale coraggio poteva costringerla a restare con lui, quella notte.
«Tutto bene?» si limitò a dire, sentendosi subito ridicolo per quella domanda retorica.
Sana lo guardò stranita, allontanando il braccio dalla sua stretta.
«Sì sto bene. Ora scusami, ma devo andare.» così diede nuovamente le spalle al ragazzo.
«Dove stai andando?»
«A casa, Hayama.» rispose sbuffando. Fece qualche passo in avanti, ma nuovamente sentì una stretta all'altezza del braccio. E interruppe nuovamente la sua avanzata, sentendo il cuore batterle più forte.
«Sana, puoi fermarti per favore?»
Era la prima volta che Hayama la chiamava per nome e il cuore di Sana, in quel momento, sussultò rumorosamente dentro il suo petto. Le vennero in mente le parole di Hisae di qualche ora prima, il suo abbraccio confortante e lo sguardo di Fuka durante la scenata di Gomi. Si sentì persa e confusa e, nonostante avrebbe dovuto farci l'abitudine a quelle emozioni che la stavano devastando, non riusciva a non capitolare dinanzi a quei fitti tormenti. E, allo stesso tempo, il battito veloce che sentiva dentro di sé era causato dalla vicinanza di quella persona che era stata in grado di sconvolgere la percezione di tutto il suo mondo interiore. Si sentiva così incredibilmente attratta da lui che aveva paura di perdere il controllo. Allora, decise di non voltarsi affatto e di riservargli soltanto le sue spalle.
«Perché mai? Cos'altro vuoi?»
Il tono di quelle parole lasciava trapelare lo stato d'animo della ragazza, e Hayama si sentì in colpa, ripenso intensamente al modo in cui l'aveva trattata solo qualche giorno prima e pensò che John aveva ragione. Che avrebbe dovuto riflettere su molte cose e che stava facendo solo una marea di cazzate, una dietro l'altra. Per che cosa poi? Per paura?
«Niente... volevo sapere se stessi bene, dopo quello che è successo.»
«A cosa ti stai riferendo esattamente?» gli chiese lei, voltandosi e mostrandogli uno sguardo estremamente triste. Non era arrabbiata, nonostante avesse ancora in mente le sue parole dure, il modo in cui l'aveva bruscamente spinta fuori dalla sua vita. No, non era arrabbiata, e non lo era nemmeno con Gomi. Perché si sentiva terribilmente responsabile per lo stato di confusione in cui era piombato il suo ragazzo. Uno stato d'animo che lei ormai conosceva alla perfezione. Ma non sapeva in che modo fare chiarezza perché non era affatto sicura di avere il coraggio necessario per guardarsi dentro.
Cosa avrebbero pensato i suoi amici? Cosa avrebbe detto Gomi e, soprattutto, come avrebbe reagito Fuka?
«Comunque lascia stare. Sto bene, grazie per essertene interessato.» fece per voltarsi, ancora una volta, ma Hayama la afferrò di nuovo. Sana era pronta ad opporre resistenza a quel gesto, a far in modo che il suo corpo si muovesse esattamente nella direzione opposta a quella forza che cercava di attirarla a sé.
Ma più il suo cervello le ordinava di tirarsi indietro e allontanarsi, e più il suo corpo sembrava, invece, muoversi per conto suo, come un'entità a sé stante, spinto da una forza d'attrazione paragonabile a quella di una calamita. E a nulla valsero le proteste interiori che la sua testa stava mettendo su, perché quando Akito aumentò la forza che la stava conducendo esattamente nella direzione opposta a dove cercava, invece, di portarla la sua testa, il suo corpo ebbe il sopravvento.
E Sana smise di pensare nell'esatto istante in cui il suo viso, le sue mani, il suo corpo furono così vicini a quello di Akito che non percepì nient'altro che il suo profumo.
Quella non era affatto la prima volta che lei sentiva il suo profumo così da vicino, non era la prima volta che lui la stringeva tra le braccia, ma per Sana era come se lo fosse. Perché se quella sera in cui lui le aveva raccontato il suo passato aveva solo pregustato quella strana esplosione di emozioni nelle viscere più profonde del suo corpo, in quel momento, mentre sentiva le sue mani tra i capelli che la stringevano, il suo viso affondato nell'incavo del collo e il suo respiro che le solleticava la pelle, fu completamente invasa da una bomba di sensazioni che stavano toccando le radici più intime del suo essere. E sospirò profondamente, ispirando quel momento come se fosse l'unica boccata d'aria di cui avesse bisogno per sentirsi nuovamente nel posto giusto.
Sentì la sua mano tra i capelli che cercava di attirarla a sé più di quanto nessuno avesse mai fatto e, di conseguenza, le sue braccia si mossero nell'unica direzione che il suo corpo reputò opportuna, cingendolo completamente. Si aggrappò a quell'abbraccio come se, ormai, fosse consapevole di non poter più tornare indietro, dimenticando totalmente ogni sentimento provato prima di quel momento, cancellando tutta la tristezza che l'aveva avvolta come la più pesante delle coperte, lasciandosi completamente andare al suo respiro profondo, che riusciva a percepire come fosse suo.
Restarono così, abbracciati, stretti l'uno all'altro per un tempo che a Sana sembrò quasi infinito, finché entrambe le mani di lui percorsero il suo corpo, la sua schiena, fino a giungere tra i suoi capelli. In un gesto lento Akito si allontanò da lei, lasciando che le mani restassero imprigionate sul suo viso. Accarezzò le sue guance con i pollici, fissando gli occhi nel suo sguardo. Pensò che gli sembrava persa, che aveva le guance arrossate e che fosse bella, come qualcosa di raro e intoccabile, e si sentì sereno.
Lei gli rivolse poi uno sguardo confuso, in preda ad una miriade di emozioni contrastanti.
«Cos'era?» sussurrò, appoggiando le mani sulle sue braccia sospese. Lui la guardò intensamente.
«Non l'hai capito?» chiese lui, senza staccare gli occhi dai suoi.
Lei corrugò la fronte e lo guardò con un'espressione stranita, sentendo il suo cuore battere più forte mentre le dita di lui continuavano ad accarezzarle il viso. Akito, allora, fece una leggera risata.
«Un modo per chiederti scusa comunque. Non mi avresti ascoltato, se non ti avessi intrappolata.» disse con un debole sorriso. Sana si sentì leggermente frastornata, sentendosi di colpo un po' stupida per aver lasciato che le sue emozioni prendessero il sopravvento in quel modo, per aver completamente frainteso le sue azioni.
Ma era ovvio, cosa si aspettava? Che il principe azzurro venisse a salvarla dalla prigionia emotiva in cui si sentiva costretta da settimane, ormai.
Allora, gli prese le mani e le staccò dal suo viso portandole verso il basso fino a lasciarle andare, e questa volta fu Akito a sentirsi decisamente confuso.
«Va bene, accetto le scuse. Ora, se non ti dispiace, me ne andrei a casa...» biascicò, fissando lo sguardo sull'asfalto grigio sotto i suoi piedi. Non riuscì a rivolgergli un'ultima occhiata prima di voltarsi, per proseguire quel cammino verso casa sua che stava diventando così lungo e tedioso.
Riuscì a fare solo un passo perché, per la terza volta nel giro di pochi minuti, si sentì afferrare nuovamente per un braccio. Allora, l'unica emozione che provò fu rabbia perché, come qualcuno le aveva detto in passato, sbagliare è umano ma perseverare era diabolico. E a lei sembrò che Hayama non facesse altro, che non la smettesse nel perseverare in quella sua attività diabolica di evitare che lei andasse via, fermandola ogni qual volta riusciva a trovare finalmente il coraggio per dargli le spalle.
«Hayama smettila di fermarmi, io devo...» riuscì a dire, prima che la mano libera dalla presa sul suo braccio la intrappolasse a sua volta, afferrandole il viso. Sana si bloccò, dischiudendo le labbra nel lungo istante in cui il viso di Akito si avvicinava al suo. Non ebbe il tempo di parlare, di finire quella frase piena di rabbia, di ragionare su qualsiasi cosa perché fu completamente invasa dalla vicinanza del suo viso. Sentì un leggero sbuffo provenire dalle labbra di lui, quindi lei corrugò la fronte, guardandolo confusa. Ma in pochi secondi Akito cancellò completamente la distanza tra loro, tra le loro labbra, baciandola come mai nessuno aveva fatto prima di allora. Strinse le dita sul suo collo e schiuse le labbra sulle sue, sentendo finalmente il suo sapore appena la sua lingua accarezzò quella di Sana.
La prima cosa che lei sentì fu la morbidezza delle sue labbra, pensò che fossero calde e morbide, e si sorprese del fatto di essersi resa conto solo in quel momento che non aspettava altro che sentire quel sapore. Poi quel bacio divenne incredibilmente passionale, perché Akito infilò le dita tra i capelli di lei stringendoli poi con forza, e dischiuse le sue labbra con la lingua, cercando di farsi spazio affinché trovasse la sua, in un movimento così deciso che, per qualche secondo nessuno dei due riuscì a catturare la minima boccata d'aria. Quando finalmente si toccarono, anche le mani di Sana finirono sul suo corpo e dovette aggrapparsi più forte che poté perché si sentì spingere da lui verso un punto indistinto della strada. E quando finirono contro il muro di cinta di quelle che, probabilmente, erano abitazioni private, lei si lasciò andare ad un leggero gemito, completamente in balia delle sue mani che non facevano altro se non accarezzare il suo corpo come se lui non necessitasse di altro.
Le labbra di Akito si muovevano sulle sue, perfettamente incastrate le une alle altre, poi rallentò quel bacio, disegnando con la lingua il contorno delle sue labbra. Le morse il labbro inferiore, sentendola gemere un istante. Voleva sentirla, voleva toccarla e si rese conto che solo le sue labbra non gli bastavano affatto, allora scese giù sul mento, baciandoglielo delicatamente, spostando poi la sua foga sulla guancia. Gliela leccò per poi baciarla nuovamente sulle labbra, e più sentiva il suo respiro farsi pesante più la voglia che aveva di esplorare quel corpo che si rese conto desiderare come niente altro al mondo, aumentava a dismisura. Allora la sua bocca finì sul lobo di lei, che spostò il viso per far sì che lui riuscisse a raggiungere quel punto con maggiore facilità, desiderando che facesse in fretta perché anche lei non desiderava altro che continuare a sentire la forma delle sue labbra su di lei. Sana sentì la sua lingua farsi strada proprio in quel punto, per poi avvertire una leggera pressione perché lui aveva preso a morderle il lobo cercando di trattenersi dal farle male. Quindi, appoggiò il suo viso alla guancia di lei lasciando che le labbra restassero ancora ferme sul suo orecchio.
«Andiamo da me.» le sussurrò, infilandole una mano sotto il vestito dalla gonna abbastanza larga. Nonostante anche Sana desiderasse che quella mano arrivasse nelle intimità più profonde del suo corpo e, nonostante volesse che quelle labbra la esplorassero in ogni singola parte di lei, sentì allo stesso tempo un improvviso senso di inadeguatezza, oltre ad un profondo tonfo nel cuore che riuscì a restituirle un briciolo di lucidità. Allora allentò la presa delle sue mani sul corpo di lui.
Hayama percepì quell'improvviso allontanamento e rallentò il ritmo dei suoi baci, fin quando non avvertì un leggera pressione all'altezza del petto. Abbassò lo sguardo in quella direzione e si sentì spinto via, allontanato da lei che lo stava guardando con la fronte corrugata.
«Per fare cosa?» chiese lei in un sussurro. Lui sgranò appena gli occhi.
«Be', dimmelo tu...»
«No, sei stato tu a chiedermelo. È così che fai sempre?»
«Così come?» chiese lui a sua volta, più confuso di prima. Allora lei lo allontanò definitivamente, vedendolo barcollare appena.
«Così che prendi le ragazze e te le porti a casa, solo per andarci a letto?»
«Io farei questo? E che ne sai, scusa?»
«Lo so, si vede.» disse lei di getto. In realtà era stata Fuka a rivelare le intenzioni che il ragazzo aveva avuto con lei fin dalla prima sera. L'unica nota stonata era il fatto che, a quanto la sua amica dicesse, tra loro non era successo mai nulla.
«Si vede cosa?» insistette lui, iniziando a mostrare un tono molto più vicino alla frustrazione che alla tristezza.
«Che è quello che vuoi. Ma io non ci riesco...»
«A fare cosa? Kurata, comincio a non seguirti più.» replicò lui, rilassando le spalle in un gesto di resa e riprendendo a chiamarle per cognome.
«Non ci riesco, non così. Non con Fuka che...» ma in quel momento, tutto quello che sarebbe potuto accadere fu interrotto dal suono fastidioso del cellulare di Sana.
Hayama la guardò con un'espressione accigliata, pensando che proprio in quel momento avrebbe dovuto prenderle di mano quel maledetto cellulare e lanciarlo chissà dove. Ma, nonostante ne avesse una voglia tremenda, non fece nulla osservando il viso di lei andare completamente in panico.
«È Fuka...» disse, mostrando anche a lui il display del suo smartphone che si illuminava ad intermittenza. Hayama sgranò gli occhi e strinse i pugni, realizzando solo in quel momento che la frase di John riguardo le cazzate che, secondo lui, si era tanto impegnato a compiere negli ultimi tempi, stava diventando veramente difficile da gestire. E dire che, secondo il se stesso di qualche ora prima, aveva fatto tutto secondo la migliore delle logiche possibile. Gli avrebbe dato volentieri un pugno in faccia al se stesso di qualche ora prima, se avesse potuto.
«Devo rispondere... per favore allontanati.» lo supplicò, e così dicendo gli diede le spalle per rispondere al telefono, allontanandosi di qualche passo.
«Sana, ma dove sei? Stai bene?»
Nel sentire la voce della sua migliore amica, le vennero le lacrime agli occhi e si sentì davvero una schifezza. In quel momento giurò solennemente di dimenticare quel piccolo incidente di percorso e di cancellare per sempre il nome di Hayama dalla sua memoria, insieme a tutto il corredo che quel nome si portava dietro.
«Sì, sto bene. Sono quasi a casa.» commentò lei, con un tono di voce fin troppo basso. Per fortuna la sua amica non sembrò avere dubbi sulla veridicità di quella frase. Probabilmente, visto quello che era successo all'Old Boy, era più che plausibile che fosse sconvolta.
«Shin?» allora chiese debolmente.
«Lo abbiamo accompagnato a casa. Non faceva che sbraitare contro Akito, mi dispiace così tanto per lui. Alla fine che diamine gli ha fatto...»
Sana si sentì un verme e, se avesse potuto, avrebbe cominciato a strisciare per raggiungere la tana più lontana dalla civiltà e sparire per sempre in un qualsiasi sottobosco.
«Non lo so, credo sia colpa mia. Lui non c'entra.»
«Sana, Shinichi sta malissimo. Dovresti fare chiarezza dentro di te. So che anche tu stai soffrendo, si vede, ti conosco. Se non lo ami più, lascialo. Non sarà di certo la fine del mondo.»
Fuka fu schietta e dura come al solito, senza pensare minimamente di addolcire la pillola. Ma Sana non era così coraggiosa come la sua migliore amica.
«Dove sei tu?» domandò, cercando di portare l'attenzione su altro che non fosse la sua vita andata completamente in frantumi.
«Sto tornando all'Old Boy. Sono andata via così all'improvviso, vorrei riuscire a parlare con Akito.» e a quella rivelazione, Sana si voltò di scatto verso Hayama. Dischiuse le labbra quando lo vide in sella alla sua moto, con il viso completamente nascosto dal suo casco nero, fatta eccezione per gli occhi ambrati, fissi su di lei.
Sana pensò che lui le avesse letto nel pensiero o, probabilmente, aveva semplicemente sentito quella conversazione. Pensò che anche i supereroi si dileguavano in quel modo, quando avevano il sentore di essere in procinto di venire scoperti da qualcuno. E, in quel momento, Hayama assunse le sembianze di un qualsiasi Batman, o Spiderman, a cui avevano appena tolto la maschera, con in lontananza l'eco assordante delle sirene della polizia, pronta a catturare il nemico sbagliato.
Hayama mise in moto e partì, lasciando Sana nello stesso punto in cui l'aveva fermata tutte quelle volte, consapevole del fatto che, ormai, avrebbe dovuto fare i conti con una serie di conseguenze derivate dalle azioni del se stesso di qualche ora prima.

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