Naosuke si perse tra i clienti, che si susseguivano uno dopo l'altro, e lo sguardo vuoto di Sana, circondato da una strana aurea di tristezza che si era fatta ancora più grossa, dopo la visita di quello che lei diceva con insistenza essere solo un amico.
Da quando aveva conosciuto Sana, qualche mese prima, si era sempre domandato quale fosse il motivo che si celava dietro quel perenne velo di tristezza che le appannava gli occhi.
Sana alla fine rideva anche, ogni volta che lui di proposito le faceva una battuta sarcastica lei rideva comunque. Spesso succedeva che lui lo facesse apposta, di ridursi ad essere ridicolo solo per strapparle una risata, ma nonostante quella risata, la tristezza restava sempre lì, ancorata dietro le pupille scure dei suoi occhi.
Allora lui corrugava la fronte, ma si era reso conto che Sana non si accorgeva nemmeno di quella sua espressione, subito dopo una sua risata triste.
Così, quando l'ultimo cliente abbandonò il negozio, Naosuke lasciò anche la sua postazione dietro alla scrivania dell'accettazione, e si diresse verso la sala retrostante. Restò qualche secondo sull'uscio della porta intento ad osservare Sana di spalle, che stava pettinando il pelo proprio del cane del suo amico.
Non si mosse né fece alcun tipo di rumore. Si limitò ad osservare la sua amica e i movimenti delle sue braccia, mentre stringeva la spazzola in una mano e con l'altra teneva ferma Akira per il guinzaglio. Gli sembrò così concentrata, a giudicare dai movimenti della testa che seguivano l'andamento della spazzola sul pelo soffice del cucciolo, e quasi si domandò se fosse il caso di intromettersi, di cercare di capire come stesse e di interrompere quel susseguirsi di movimenti del corpo, che sembravano donarle una certa tranquillità.
Almeno dalla prospettiva di Naosuke.
Poi le sue braccia si fermarono e Sana si voltò verso di lui, probabilmente avvertita in qualche modo della sua presenza. E gli sorrise.
«Come va qui?» domandò lui, avvicinandosi lentamente verso il tavolo su cui Sana si occupava di Akira.
«Bene. Ho praticamente finito.» rispose lei, passando ancora una volta la spazzola sul pelo del cane. Naosuke appoggiò un gomito sul tavolo suscitando subito la curiosità del cane di John, che gli annusò il viso prima di bagnargli una guancia con la lingua. Allora il ragazzo accarezzò distrattamente il muso di Akira che iniziò a scodinzolare un po' troppo energicamente.
«Nao non distrarla... mi mancano pochi minuti. È stata così buona finora.» protestò lei, allontanando il cane da Naosuke, che ridacchiò in risposta.
«Mi sembra perfetta comunque. Il tuo amico sarà molto contento.»
«Già.» si limitò a dire lei. Allora Naosuke osservò attentamente la sua faccia, notando quella tristezza velata nei suoi occhi farsi un po' più profonda.
«E lo conosci da molto? Mi è sembrato contentissimo di vederti.»
«Un po'... poco più di un anno.» disse vagamente, nonostante sapesse perfettamente il tempo trascorso dal giorno in cui aveva conosciuto John. Cercò di concentrarsi sul lavoro, come aveva fatto subito dopo la sua visita improvvisa, ma sapeva che Naosuke non avrebbe retto a lungo quella parete che stava cercando disperatamente di innalzare tra lui e il suo passato recente.
«E stai bene adesso?»
Sana sollevò appena le spalle: «Più o meno...» rispose, demolendo lei stessa le fondamenta che aveva appena messo su. Il punto fondamentale era che quella domanda le sciolse un nodo in gola che non riusciva più a trattenere. Allora rivolse a Naosuke gli occhi diventati immediatamente lucidi, per un solo istante, prima di abbassare lo sguardo sul tavolo di metallo.
«Sì però pure lui, poteva evitare di farsi vedere con la fidanzata. Che insensibile... poi che nome è John?» sbuffò Naosuke. Ma Sana lo guardò alzando le sopracciglia, impiegando qualche secondo abbondante a comprendere la sua affermazione. Poi alzò le mani agitandole appena.
«No hai frainteso, John è davvero un amico.»
«Ah sì?»
«Sì Nao. Io sono davvero felice di averlo rivisto...»
«Dalla tua faccia non si direbbe.»
«E invece ti sbagli. La mia faccia è sempre la stessa.»
Naosuke avrebbe voluto dirle che era proprio quello il punto, ma si vide stranamente bene dal farlo. In un certo senso comprese che Sana non voleva esporsi troppo, perché sul suo viso era chiaro come il sole che stava cercando di cancellare la tristezza che era diventata quasi il suo marchio.
Allora il ragazzo la osservò mentre si allontanava dal tavolo e agguantò il guinzaglio del cane per evitare che scappasse via, rendendo vano il lavoro della sua amica e collega.
«Mi stai dando il cambio per caso?»
«Proprio così, tu occupati di Akira.» rispose lei, aggiungendo anche un debole sorriso. Naosuke sospirò nel vederla fuggire da quella che poteva essere una conversazione più intima perché Sana, a suo parere, non faceva altro che scappare. Di glissare sugli argomenti con nonchalance sembrava non esserne proprio in grado ed era sempre più palese la sua voglia di fuggire.
Ed era fuggita anche quella volta, indietreggiando verso l'ingresso del negozio per sostituire Naosuke all'accoglienza.
Quando, infatti, sentì il rumore della porta d'ingresso che si apriva alle sue spalle pensò di essere arrivata appena in tempo, perché il nuovo cliente non venisse accolto da una scrivania vuota.
Si aggiustò la casacca, stirandosela addosso con le mani e acciuffando qualche pelo di Akira attaccato al tessuto azzurro. Poi si voltò, raccogliendo in ogni sua parte del corpo la forza per esporre al nuovo cliente il suo miglior sorriso.
«Salve, come possiamo esserle...» e il suo sorriso si bloccò, nell'istante in cui il nuovo cliente, appena entrato nel negozio aveva alzato la testa dal suo cellulare.
E il suo sorriso non fu l'unica parte del corpo a bloccarsi, perché a questo si accodarono le braccia insieme alle dita delle mani, si aggiunsero poi il naso e le orecchie, che smisero di sentire i suoni e gli odori. E quei sensi bloccati non riuscirono a ricevere nessuno stimolo esterno, compresa l'ipotetica risposta di Akito a quella specie di accoglienza troncata, perché l'unica cosa che Sana sentì di avere ancora a disposizione furono le sue gambe. E proprio quelle gambe si mossero, permettendole di fare uno scatto che lasciò Akito leggermente interdetto, perché Sana gli diede le spalle cercando di tenere a bada, in qualche modo, il suo cuore impazzito.
In quel momento Naosuke tornò all'ingresso e si ritrovò davanti agli occhi il viso di Sana completamente sconvolto. Aveva gli occhi lucidi e le labbra tremanti, ma la cosa che più lo sorprese furono le sue braccia completamente rigide e immobili, lasciate andare lungo il suo corpo, come due assi di legno che la tenevano in equilibrio su un filo invisibile. Poi spostò rapidamente lo sguardo sull'altra figura che occupava l'ingresso del negozio e notò che anche il ragazzo biondo con le mani inchiodate nelle tasche dei jeans non aveva una gran bella cera. Allora afferrò Sana per le spalle rivolgendole un'occhiata interrogativa, cercando di capire cosa le stesse succedendo, ma l'unica cosa che ricevette dalla ragazza fu una sorta di sussurro, che gli diede quasi l'impressione di un lamento. Quindi Naosuke strinse le dita sulle sue spalle, per poi oltrepassarla e avvicinarsi al ragazzo che, nel frattempo, sembrava voler accorciare le distanze tra lui e Sana.
«Prego, può parlare con me.» disse sbrigativo, spingendo Sana verso il retro del negozio e mettendosi tra lei e il cliente.
Akito quindi guardò Sana, o meglio le sue spalle contratte e le dita immobili accanto ai suoi fianchi, e corrugò la fronte. Gli sembrò di essere su un otto volante sparato ad una velocità supersonica, così forte da non riuscire più a distinguere i colori. E gli sembrò anche di provare la stessa sensazione che si avverte quando dall'otto volante ci scendi, e non sai più di che consistenza è fatto il tuo corpo.
Si sentiva di gelatina, in realtà, e se non avesse sentito sotto le dita la stoffa ruvida dei jeans nelle sue tasche, avrebbe dubitato anche della funzionalità dei suoi cinque sensi, perché oltre al tatto, gli altri quattro sembravano essere completamente fuori uso.
Poi sentì quel ragazzo parlare, lo stesso tipo che aveva stretto le spalle di Sana e l'aveva guardata come se fosse un'oggetto di cristallo che stava per schiantarsi al suolo. Allora rivolse un'occhiata al ragazzo, ma non la sua attenzione che continuava ad essere esclusivamente per Sana.
«Sono venuto... per un cane...»
Akito era riuscito a dire qualcosa, ma dovette fermare subito la voce perché sentì immediatamente il bisogno di deglutire e di riprendere il controllo sui suoi sensi. Era come se qualcuno gli avesse dato un pungo in faccia, ma lui non aveva sentito in realtà il dolore. L'unica cosa che avvertiva era una profonda sensazione di apnea, non riusciva più ad afferrare l'ossigeno necessario e più Sana restava immobile dandogli le spalle, più la nuvola di ossigeno che fluttuava intorno alla sua testa si dissipava, lasciandolo boccheggiare.
Perché John gli aveva fatto questo?
Cosa gli aveva fatto John, in realtà?
«Akira...»
Naosuke si voltò verso l'origine di quel sussurro e capì che quel ragazzo doveva essere collegato a quanto accaduto con l'amico di Sana che aveva portato il cane al negozio, e corrugò la fronte rendendosi conto che alla fine il punto dell'intera situazione non era affatto quel John.
«Sana, vado a prenderla?»
«No, lascia. Faccio io...» disse lei, mettendo lentamente un piede avanti all'altro. Naosuke si sentì estremamente inutile, messo in un contesto di cui non conosceva né margini né confini. Allora decise di agire come avrebbe fatto, se quello che aveva di fronte fosse stato un cliente normale, e si avviò alla scrivania.
«Il suo cane è pronto, deve solo firmare dei moduli... niente di importante. Attesta solo l'avvenuto prelievo del cane.» disse Naosuke, affondando la testa nel cassetto della scrivania dove erano conservati tutti i moduli. Prese uno di quei fogli e lo appoggiò sulla scrivania, ma Akito restò immobile davanti a lui con le mani ancora rinchiuse nelle tasche dei jeans.
Allora Naosuke spinse i fogli sul ripiano della scrivania verso di lui, facendogli un cenno con la testa, e si accorse che il ragazzo aveva rivolto lo sguardo verso la porta che dava al retro del negozio, e capì.
«Arriverà a minuti...» disse, riferendosi sia a Sana che ad Akira. In realtà sospettava che lui non avesse alcun interesse nei confronti di quel cane. Poi l'altro scosse la testa e finalmente si mosse, avvicinandosi alla scrivania.
Lesse velocemente il contenuto del modulo senza prestarvi minimamente attenzione, e lo firmò. Per quanto gli interessava, avrebbe potuto anche avergli venduto l'anima. L'altro polo d'attrazione si trovava esattamente dietro la parete che stava fissando e si sentì di nuovo uno stupido, come non si sentiva da mesi ormai.
Quando Sana ricomparve con il cucciolo di John tra le braccia, Akito si sentì nuovamente paralizzato, ma anche sollevato per il solo fatto che, alla fine, lei non fosse scappata di nuovo. Aveva come la strana percezione di essere un tassello messo in un posto completamente sbagliato, ficcato con la forza in un foro i cui contorni non gli appartenevano, ma che era stato in grado di sconvolgere l'intero puzzle. E si domandò se quella percezione di se stesso non fosse altro che la proiezione del terrore che provava quando pensava all'ipotesi che quell'idea potesse rispecchiare la realtà.
Quando Akira si accorse della presenza di Akito, iniziò a divincolarsi dalle braccia di Sana muovendosi più velocemente. E proprio quei movimenti lesti, divenuti incontrollabili, spinsero la ragazza a fare qualche passo verso di lui, finché non riuscì più a trattenere il cane che sembrava volesse lanciarsi giù ad ogni costo. Anche Akito si avvicinò, facendo qualche passo lento nella direzione del cane di John che aveva iniziato anche a muovere la coda così velocemente che Sana dovette spostare il viso per proteggersi gli occhi dal pelo lungo del cane. E fu in quel momento che Akito la rivide sul serio, riuscì ad avere via libera al suo viso che lei stessa gli aveva negato subito, dandogli le spalle non appena si era accorta della sua presenza.
Il viso era sempre lo stesso, aveva sempre la stessa forma ovale ed armoniosa, un contorno perfetto a quelle labbra rosse a cui aveva pensato così spesso in quei mesi, che non se ne era nemmeno accorto veramente. Si soffermò per un istante sui capelli sfuggiti al fermaglio che le circondava la testa, si trattava in realtà di qualche filo, ma sentì emergere nelle sue dita un'irrefrenabile voglia di allungare le mani e sfiorare quei capelli. Forse la sua era solo voglia di sapere se fossero esattamente come li ricordava al tatto. Poi si soffermò sugli occhi, e fu in quel momento che non potette fare a meno di deglutire perché avevano un'espressione completamente diversa, quelli non erano gli stessi occhi a cui Sana lo aveva abituato nel breve tempo trascorso insieme. Quelli non erano gli stessi occhi che gli avevano dato un paio di guanti e una coperta, che gli avevano detto che l'inverno non dura per sempre perché, prima o poi, la primavera arriva per tutti. Quegli occhi erano tristi, erano diversi e, di nuovo, Akito sentì la sgradevole sensazione di vuoto sotto i suoi piedi.
«Kurata...» disse una volta che lei fu abbastanza vicina da sentirlo, perché gli sembrò di non avere abbastanza voce per esprimersi veramente. Fu Akira a distrarre entrambi perché, con un gesto fulmineo, si divincolò completamente dalla presa delle braccia di Sana e si lanciò ai piedi di Akito, per poi aggrapparsi con le zampe ai suoi pantaloni. Sana gli si avvicinò, stringendo il guinzaglio con una mano per poi porgerlo ad Akito, rivolgendogli insieme anche un sorriso che generò nel ragazzo uno strano senso di nausea.
«Kurata... io non sapevo che tu lavorassi qui. Se avessi saputo...»
«Non c'è problema Hayama.» rispose lei, laconica. Akito allora afferrò il guinzaglio del cane di John, attirandolo a sé. Guardò poi Sana per un tempo che gli sembrò così lungo da avere la percezione di aver imparato a memoria ogni microscopico dettaglio del suo viso o, probabilmente, erano solo i suoi ricordi che emergevano dall'abisso in cui lui stesso li aveva rinchiusi. Poi spostò lo sguardo verso l'altro ragazzo presente e si accorse che si stava allontanando, fino a scomparire dietro la porta che dava sul retro, quindi tornò su Sana.
«Come... come stai?» le domandò, quasi in un sussurro. Lei alzò la testa e raggiunse il suo sguardo soffermandosi per un istante sul colore dei suoi occhi. Era così diverso da tutto quello che aveva visto nella sua vita, così intenso se paragonato alle scialbe sfumature a cui i suoi occhi erano stati così abituati. E si sentì mancare il respiro, perché non era pronta a rivederlo, nonostante quella mattina l'incontro con John l'avesse catapultata in un passato recente con cui, in realtà, non aveva fatto i conti affatto. Se ne era resa conto solo in quel momento, quando aveva rivisto il viso di Akito dopo dieci mesi di mancanza, dieci mesi in cui era convinta di aver imparato a camminare sulle proprie gambe e che quella storia apparteneva solo al passato. Ma ci era veramente riuscita a camminare da sola? Aveva davvero imparato ad accettare quella parte di sé, la cui emersione l'aveva colpita come un pugno in pieno viso? Aveva davvero accettato il fatto di essere in grado di vivere la sua vita senza di lui e, soprattutto, cosa significava quella persona per lei?
In preda a quelle domande che iniziarono a riempirle la testa, Sana non pensò nemmeno al fatto che Akito stesse aspettando una risposta, ma quando il suo sguardo si fece insistente lei cercò di acciuffare il filo dei suoi pensieri, che le si stava annodando intorno al collo come una morsa pericolosa.
«Bene... direi. Bene, sto bene.» ripeté più volte.
«Io... il nostro compito... mi dispiace.» ammise, probabilmente riferendosi a molte altre cose, il cui significato profondo però, in quel momento gli sfuggiva davvero.
«Avremmo dovuto finirlo... non so come sia andato.»
Lo sguardo di Sana si fece immediatamente sorpreso e anche un po' confuso e si sentì nuovamente un idiota per aver introdotto un argomento di cui, di fatto, non gli importava assolutamente nulla. Allora attirò Akira ancora più a sé, stringendo le dita intorno al guinzaglio di pelle, guadagnandosi un'occhiata da parte del cane di John, che meno di Akito o Sana riusciva a comprendere cosa stesse accadendo.
«Non preoccuparti... alla fine ho passato comunque l'esame.» rantolò lei.
Poi ci fu un silenzio strano tra i due: Hayama avrebbe voluto sapere di più, scoprire come stesse davvero perché quello sguardo triste gli si era stampato nel cervello. Ma la reazione che aveva avuto Sana non appena i loro sguardi si erano incrociati non lasciava spazio a molti dubbi e, probabilmente, in quel minuscolo spazio non ci rientrava nemmeno lui.
«Bene.»
«Già.» gli fece eco lei, giocando forzatamente con le sue stesse dita.
«Sana... io...» boccheggiò un istante, cercando di far uscire qualcosa che soddisfacesse in parte quello che avrebbe voluto dirle e quello che avrebbe desiderato sapere, ma lo sguardo di lei fu catturato dal rumore della porta d'ingresso che si apriva alle sue spalle. Il suo sguardo triste si mosse proprio in quella direzione per poi tornare ad Akito.
«Mi dispiace, ma devo lavorare.» gli disse in un sussurro. Lui annuì appena con la testa e indietreggiò di qualche passo, lasciando che un nuovo cliente con un nuovo cane le si approcciasse, e lei di nuovo aprì il suo viso in un sorriso condito da quello sguardo triste che fece salire ad Hayama un moto di rabbia estrema.
Che diavolo aveva combinato? E si sentì così solo, perché dentro di sé sapeva di aver toccato il fondo molte volte, ma l'idea che l'unica possibilità che aveva di riemergere fosse svanita nel nulla lo fece sentire perso, in un mare di nebbia.
Di colpo tirò con sé il guinzaglio di Akira e si voltò verso la porta del negozio e, senza nemmeno voltarsi indietro, lasciò quel posto. Sana seguì quei movimenti con lo sguardo, sentendo il suo cuore battere più forte e uno strano senso di formicolio sulle dita delle mani. Allora afferrò i bordi della scrivania con quelle stesse dita che sembravano voler sfuggire al suo controllo, cercando di ristabilire un contatto con il suo corpo.
In quel momento Naosuke fece ritorno all'ingresso del negozio e Sana gli rivolse un'occhiata di supplica, sufficiente affinché lui capisse di doverla sostituire.
Si scusò rapidamente con il ragazzo che teneva stretto un piccolo bassotto marrone e scomparve nel retro del negozio, cercando di riacciuffare i pezzi del suo corpo che si sgretolava.
Naosuke ebbe la sensazione di déjà vu quando tornò nel retro del negozio, con il piccolo bassotto al seguito, e vide Sana di spalle. Con la differenza che non c'era nessun cucciolo da spazzolare e che le sue spalle si muovevano a spasmi, seguendo il ritmo irregolare del suo pianto.
Si avvicinò lentamente e quando le poggiò una mano sulla spalla, questa si fermò all'istante e Sana si voltò di scatto verso di lui, rivelandogli un viso completamente inondato dalle lacrime.
«Sana?» sussurrò un istante prima che lo sguardo di lei si abbassasse, e lui allora la afferrò per le spalle attirandola a sé. Lei non oppose resistenza a quella specie di abbraccio perché, di colpo, capì di non avere più la forza e la grinta necessaria per dimostrare di essere in grado di affrontare qualsiasi situazione.
Lui le passò una mano tra i capelli, iniziando ad accarezzarglieli dolcemente, riuscendo anche a percepire quanto gli spasmi dovuti al pianto si fossero acquietati. Allora poggiò il mento sulla sua testa, continuando a passare le dita tra i suoi capelli.
«Va meglio?»
«Un po'...»
La sentì poi sospirare sul suo petto: «Scusami se sono scappata... scusami se ti ho messo in difficoltà...» sussurrò poi, con la voce rotta dal pianto. Naosuke allora la spinse leggermente indietro cercando poi il suo sguardo.
«Non essere sciocca, se ti avessi lasciata lì dietro alla scrivania saresti svenuta in braccio al tizio col bassotto.» le disse in un tono leggermente ironico, cercando di alleggerire la situazione. Ma lo sguardo profondamente perso della ragazza gli fece capire che avrebbe dovuto sfoderare molto più di un po' di sarcasmo per tirarla su.
«Vuoi dirmi cosa è successo?» le domandò in tono gentile, «Non voglio farmi gli affari tuoi, lo sai. Ma se c'è qualcosa che posso fare...»
«Lui...» disse solo, corrugando poi la fronte, che seguì i movimenti della sua bocca, protratta verso il basso. Naosuke avvicinò il viso, come per essere sicuro di captare ogni minimo suono.
«Lui è... stato molto importante... per me.»
Restarono abbracciati ai piedi del tavolo di metallo su cui solitamente spazzolavano i cani, mentre Sana raccontava a Naosuke quello che era successo un anno prima. Gli raccontò della sua storia con Gomi e della sua profonda amicizia con Fuka, dell'incontro con Hayama e di tutto quello che era successo dopo fino al momento in cui aveva deciso di non vederlo mai più, per amore della sua migliore amica.
Naosuke si mise allora una mano sulla bocca, cercando disperatamente di chiuderla, «Che pezzo di merda Gomi. Spero che tu gli abbia spaccato un comodino in faccia.» esclamò lui, ribollendo di rabbia. Sana corrugò la fronte invece, e si morse un labbro.
«Mi sono sentita così in colpa... che non sono riuscita a non comprenderlo.»
«Sì, ma è stato una merda. Tutti quegli insulti, se l'avesse detto a me credo che mi sarei fatto arrestare.»
«Mi ha chiesto scusa dopo, comunque.»
«Be', non lo rende migliore.»
«Probabilmente no, ma più umano sì.»
«E non vi siete mai più visti? Tu e Hayama intendo.»
«No.» ammise lei, abbassando lo sguardo sul pavimento bianco, «Quello che è successo dopo... i miei vecchi amici, sono stati loro a chiamarmi per dirmi che Hayama aveva pestato Gomi a sangue. Ho causato un casino dopo l'altro.»
«E cosa è successo dopo l'aggressione?»
«Alla fine Gomi se l'è cavata con qualche punto in faccia e un paio di giorni di riposo. È stato accusato da John di aver provocato lui la rissa... ma suo padre è un avvocato famoso. Non ha mai rischiato nulla, in realtà.»
«E Hayama?»
«Mi è stato detto che anche a lui è andata bene. Sapere questo... che lui stesse bene, alla fine è stato il mio unico sollievo.»
«Scusami Sana, ma perché non sei tornata sui tuoi passi? Ormai con questo Gomi era finita, no? Perché ti sei privata della possibilità di essere felice?»
«Perché non ci sono riuscita...»
«Per Fuka? Guarda, non l'ho mai detto a nessuna di voi, ma quell'unica volta in cui siamo usciti e c'era anche lei l'ho capito subito che era una stronza. Perché solo una stronza può metterti davanti ad una scelta così subdola.» fece lui, visibilmente irritato.
«Già.» sussurrò lei. Allora Naosuke alzò le sopracciglia, leggermente confuso.
«Ecco, allora se lo sapevi e sei d'accordo con me sul fatto che sia stata una trovata diabolica, perché hai accettato quello stupido ricatto? E poi, comunque, non mi sembra che tu e quella stronza racchia siate grandi amiche adesso.»
Nonostante la tristezza, i modi teatrali di Naosuke furono in grado di strappare una debole risata alla ragazza e lui, di rimando, nel vederla sorridere si sentì un po' meglio, e leggermente più utile.
«Non lo so, a quel tempo sentivo che fosse la scelta giusta. Poi è andato tutto a rotoli...»
«Sana, ascoltami. Queste sono cose che succedono, i sentimenti, gli atteggiamenti, le priorità sono in costante cambiamento. E meno male aggiungerei. Io non amo le persone che giudicano e lo sai, così come amo ancora meno quelli che ristagnano in una finta morale solo per buttarti addosso le proprie frustrazioni e l'incapacità di avere le palle di vivere la vita davvero. Tu ti sei innamorata di un altro, queste cose capitano, e non si possono controllare.»
«Lo so... ma non posso fare a meno di sentirmi responsabile. Ho perfino causato la rottura tra Hisae e Toshio.»
«E il cambiamento climatico no? Andiamo Sana, spiegami in che modo hai indotto quei due a lasciarsi.»
«Tu non lo sai, ma Toshio e Gomi erano amici, lo eravamo tutti in realtà. Poi dopo l'incidente tra lui e Hayama, Toshio ha iniziato a prendere le sue parti su tutto e non vedeva di buon occhio il fatto che Hisae mi fosse rimasta vicino... che fosse l'unica ad averlo fatto.»
«E tu pensi che questo sia il motivo per cui si sono lasciati?»
«Be' io...» cercò di proseguire, ma Naosuke le diede un piccolo colpetto sulla tempia con le mani.
«Allora devo pensare che Toshio e Hisae siano due stupidi, cosa che lei non mi sembra affatto. Non pensi che magari volessero finirla lì, e che abbiano preso semplicemente la palla al balzo?» disse lui, gesticolando un po' troppo.
«Dici?»
«Oddio Sana, ma sul serio? Se così non fosse, Hisae è stata tanti anni insieme ad un idiota... comunque, dovresti dirle quello che pensi perché ti fa male tenere tutto dentro.»
«Hai ragione...»
«Vieni qui, piccola donna ingenua. Prima di partire per Londra urge un corso avanzato di scaltrezza, eh!» le disse, attirandola a sé e stringendola in un abbraccio che ebbe sul serio il potere di darle conforto.
In realtà, quella era la prima volta che parlava di quella storia con qualcuno che non fosse Hisae o che, in generale, non l'avesse vissuta in prima persona. Probabilmente il fatto che Naosuke fosse una persona libera e anticonformista aveva contribuito a farle sembrare quello che lei aveva sempre visto come il macigno della vergogna, un piccolo sassolino di fiume. Stava di fatto, comunque, che si sentì per un attimo meno triste, dopo così tanto tempo. E ripensare al viso di Hayama non era più poi così doloroso.
***
Nelle due ore successive, Sana cercò di mantenere la concentrazione ad un livello minimamente accettabile. Per fortuna, la presenza di Naosuke era diventata improvvisamente confortante, almeno lei aveva acquisito quella consapevolezza e si sentì sollevata al pensiero di affidare a lui gli ultimi momenti di quella stancante giornata lavorativa.
Gli aveva promesso che avrebbe riflettuto sulle cose che si erano detti e che avrebbe pensato a quello che aveva provato nel rivedere Akito.
Tuttavia, malgrado quella promessa, Sana sapeva perfettamente cosa avesse provato nel rivederlo e, di nuovo, si sentì mancare il respiro. Ripensare ad Hayama in una dimensione in cui lei si pentiva della decisione presa un anno prima equivaleva a modellare una freccia avvelenata e piantarsela dritto nel cuore.
Quando si sfilò quell'ingombrante casacca di dosso, restò qualche minuto a fissare il suo riflesso nello specchio dello spogliatoio dei dipendenti, increspando le sopracciglia quando il suo sguardò si stabilì sul viso. Rilassò le spalle con ancora la casacca a metà braccia, e notò in quel momento che quel viso, quello che aveva mostrato ad Akito, non le piaceva affatto e che forse avrebbe dovuto dirgli altro. Avrebbe dovuto fargli capire che, alla fine, lei non era arrivata ancora da nessuna parte. Ma in quella consapevolezza appena acquisita quanto Akito c'era?
Fece un profondo sospiro e si sfilò anche il fermaglio e poi l'elastico che le teneva ferma la coda, lasciando che i capelli le cadessero mossi e disordinati sulle spalle, accarezzandole le braccia nude e il seno. Avrebbe voluto essere consapevole del confine che esisteva tra quel riflesso allo specchio e quello che aveva iniziato a pensare di se stessa circa dieci mesi prima, avrebbe voluto essere in grado di tracciarlo con le dita perché il tatto le sembrò l'unica cosa di cui riusciva ancora a mantenere controllo e coscienza.
Allora si infilò velocemente un maglione grigio che le arrivava fino a metà coscia, poi afferrò il resto delle sue cose e si avviò verso l'uscita del negozio.
«Be'... Nao, grazie.» gli disse, rivolgendogli un sorriso che Naosuke interpretò diversamente dai suoi soliti sorrisi velati di tristezza. In realtà anche quel sorriso era triste, forse anche più triste degli altri, ma stranamente gli sembrò di vedere una tristezza onesta e palesata. Gli sembrò che quel velo trasparente che cercava di nasconderle la tristezza fosse caduto e, dentro di sé, sperò che quello fosse un primo passo verso qualcosa di luminoso.
«Figurati. Stasera ci vediamo?»
«Non c'è bisogno che tu faccia anche questo.»
«Oh, che cretino. Non ti ho detto che Ryan mi ha dato buca. Ti passo a prendere alle otto.» disse sorridente. Allora Sana lo guardò perplessa, ma poi sorrise a sua volta ripensando alla sua personale alternativa di amicizia.
E alla fine si sentì stanca, una stanchezza che avvertì tutta di colpo nel momento in cui il suo viso entrò in contatto con l'aria fredda di febbraio. Ispirò profondamente il freddo attraverso le narici, si mise poi una mano intorno al collo stringendosi la sciarpa e il colletto del cappotto e si avviò lungo quella strada stracolma di gente. Fu completamente inondata da una serie di odori forti provenienti dai vari ristoranti che pullulavano la strada, mischiato all'odore della neve che si stava ormai già sciogliendo.
Aveva deciso di rimandare la biblioteca, perché sapeva che non si sarebbe mai concentrata dopo quella giornata al negozio, si limitò quindi ad andare verso casa. Passò oltre il quarto ristorante, il secondo parrucchiere, facendo lo slalom tra la gente.
Poi avvertì qualcosa.
«Kurata...»
In realtà quando sentì la sua voce le venne uno strano brivido, perché si era resa conto che il battito del suo cuore aveva preso velocità già prima di sentirsi chiamare, e che l'aveva in qualche modo avvertita. E si sentì stranamente pronta a voltarsi perché sapeva cosa c'era dietro quel richiamo.
E si voltò, trovandolo in piedi con le mani nelle tasche. Aveva una sciarpa annodata al collo con una delle due estremità che gli arrivava fino al petto e un cappotto scuro che non gli aveva mai visto addosso. Si domandò se in quell'anno Akito avesse rinnovato altro, se fosse cambiato in qualcosa che lei non riusciva ancora a vedere.
Poi si rese conto che Akira non era con lui.
«Dov'è Akira?»
Allora lui alzò un sopracciglio.
«L'ho riportata a casa... sono passate ore da quando sono andato via.»
«Davvero? Non me ne ero accorta.» sussurrò lei, abbassando per un istante lo sguardo sulle sue scarpe. Akito le si avvicinò, abbassando lo sguardo a sua volta per cercare quello di Sana, ma si sentì leggermente strattonato da un rider che gli era praticamente passato addosso. Si guardò intorno, sentendosi circondato.
«Ti dispiace se ci spostiamo?» le disse, ma Sana ebbe come l'impressione che quella domanda avesse il senso di una specie di tacita imposizione, perché quando lui le sfiorò un braccio si sentì quasi sollevata da terra. Guardò la sua mano sul suo cappotto grigio e poi spostò lo sguardo su di lui.
«Andiamo, ti offro un caffè.» aggiunse poi, tirandola per un braccio verso la fine della strada.
«Ehi, ma che modi.» protestò lei, ma Akito sembrò non curarsi minimamente di quella specie di lamentela. In realtà si sentì quasi sollevato nel ritrovarle quell'antico fervore che l'aveva sempre contraddistinta ai suoi occhi, benché fosse una cosa che non amasse chissà quanto del suo carattere.
Alla fine si ritrovarono davanti a un piccolo chiosco di bevande calde nel parco di Ueno, Hayama si avvicinò al bancone rialzato mentre Sana era rimasta un po' indietro, in silenzio, cercando di capire cosa stesse succedendo.
Osservò i suoi capelli biondi e il fatto di averli lì, così vicini, e che fossero proprio i suoi le fece venire un'irrompente voglia di toccarglieli, di passarvi le dita delle mani e di stringerli. Voleva sentire che effetto gli avrebbe fatto e che sensazione avrebbe provato sul palmo della mano.
«Kurata, cosa vuoi?»
«Sì... non lo so.» disse, un po' frastornata.
«Un caffè? Magari con qualche intruglio strano, una di quelle schifezze che piacciono a te?»
Sana si sentì strana, ma non riuscì a decodificare quel sentimento. Allora fece un passo verso di lui.
«Un caffè con latte, grazie.»
«Ti sei evoluta, bene. Un caffè e uno con latte.» disse al barista porgendogli già le banconote. Dopo qualche istante porse la sua bevanda a Sana, che contribuì a riscaldarle le mani in quel gelido pomeriggio di febbraio.
Entrambi fecero qualche passo verso il lago che occupava la maggior parte della superficie di quel parco, Akito camminava davanti e Sana lo seguiva. Ma stranamente lei non si sentiva a disagio, nonostante avesse come la strana percezione di stare trascorrendo il pomeriggio in compagnia di un fantasma.
Poi lui si voltò e la fissò per qualche istante in silenzio, con una mano in tasca e l'altra stretta intorno al bicchiere del caffè, dal quale continuavano a fuoriuscire nuvole di fumo ipnotizzanti. E Sana si domandò se quelle nuvole fossero, in realtà, all'altezza dei suoi occhi che non avevano fatto altro che paralizzarla da quando li aveva visti per la prima volta nella sua vita.
«Hayama...» riuscì a farfugliare lei. Ma lui non si mosse.
Allora Sana accostò il bicchiere alle labbra sentendo il calore della bevanda avvolgerle il viso e si domandò perché non percepisse più quella strana voglia di fuggire via.
Akito poi fece un passo verso di lei.
«Come te la passi?»
«Sto... io sto bene.»
«Mh... lavori... vedo.»
«Sì. Ora vivo da sola... cioè con Hisae e Mizuki.»
«Capisco.» disse soltanto, senza curarsi di approfondire troppo quell'affermazione, poi si voltò di nuovo, dandole le spalle.
«Sai, mi sono chiesto spesso cosa combinassi.» continuò lui, raggiungendo poi una panchina poco distante, disposta proprio sulla sponda di quel lago che, man mano che la luce del sole si affievoliva, diventava sempre più scuro. Girò il viso e, con un gesto del capo, le indicò quella panchina per poi apprestarsi a raggiungerla. Sana ancora una volta non proferì parola e pensò che, nonostante l'apparente rinnovo di qualcosa nella sua vita, certi atteggiamenti che lo contraddistinguevano erano ancora lì e si domandò se lui si conoscessi così bene, come appariva all'esterno.
Forse si sentì guidata da quell'apparente sicurezza che lui le aveva mostrato con un semplice gesto della testa, o forse semplicemente era solo ciò che desiderava fare... seguirlo, farsi guidare e restargli accanto senza farsi troppe domande. E si ritrovò seduta su quella panchina accanto a lui, con le ginocchia appiccicate l'una all'altra e il caffè in grembo, notando che invece le sue ginocchia erano abbastanza lontane tra loro, non si toccavano affatto, ma non si muovevano nemmeno. Poi tornò a guardare le sue e osservò solo in quel momento che avevano iniziato a muoversi spasmodicamente, vibrando quasi sotto le mani e il suo caffè macchiato.
«Hai freddo?» disse lui, guardando le sue gambe.
«Un po'.» si limitò a dire.
«Anche io me lo sono chiesto, comunque.» continuò lei. Allora Akito spostò lo sguardo sul suo viso che gli sembrò concentrato su tutt'altro.
«Ho pensato spesso a come stessi, a cosa ti stesse succedendo... cosa ti è successo dopo?»
Akito alzò le sopracciglia quando il suo viso si diresse verso di lui, e in quel momento ebbe di nuovo la sensazione che aveva provato nel vederla al negozio quello stesso giorno, qualche ora prima. Poi corrugò la fronte.
«Niente di particolare, alla fine si è risolto tutto. Cosa è successo a te, piuttosto. Sei diversa.»
«A me? Niente, credo di essere semplicemente cresciuta Hayama.»
«Mh...» mugugnò lui, continuando a mantenere quel cipiglio sul viso.
«O evoluta, per usare il tuo linguaggio.» disse, volutamente ironica. Tuttavia, la sola ironia che Akito percepì in quel momento fu quella della sorte che gli aveva restituito una Sana Kurata dopo dieci mesi, ma della Sana Kurata che ricordava lui sembrava non avere più nulla, se non il nome.
«E in cosa consisterebbe la tua evoluzione?»
«Be' lavoro e studio, cerco di mantenermi da sola in un appartamento in condivisione. Credimi, a volte non è facile.»
«Lo so.»
«Sei stato tu a dirmelo, la vita è dura ed è veramente così.»
Allora lui smise di guardarla, piantonando gli occhi sulle punte delle sue scarpe inumidite dagli ultimi rimasugli di neve sulla strada. Deglutì e gli sembrò così difficile farlo, perché si accorse di non avere più un briciolo di saliva in gola.
«Io non intendevo questo...»
«È cosa intendevi allora?» chiese lei, senza mostrare la minima rabbia. Il sentimento che aveva generato quella domanda, in realtà, era stato mosso da una semplice curiosità verso qualcosa che pensava di aver compreso alla perfezione in quegli ultimi dieci mesi.
Ma Hayama non le rispose, allora lei sospirò pesantemente ma gli sorrise anche.
«Quello che è successo l'anno scorso mi è stato utile sai? Mi ha fatto capire molte cose di me, sono cresciuta ecco. Avevi ragione quando mi dicevi che ero poco sveglia, lo ero a tal punto che non sono stata nemmeno in grado di fare la scelta giusta.»
Akito si sentì sopraffatto dalle sue parole, gli sembrò di essere accanto a qualcuno a cui aveva dato un pugno in faccia.
«Perché quella faccia? Alla fine non è servito a nulla, Fuka e io non abbiamo praticamente più rapporto... ma credo mi sia servito anche quello. Ho capito molte cose...»
«Ma cosa stai dicendo Kurata? Se tu non avessi scelto Fuka l'anno scorso non te lo saresti mai perdonato.»
«Sì e a cosa è servito? Siamo stati tutti male...»
«La Kurata che conoscevo non avrebbe agito per uno scopo, ma perché lei era così.»
«E non credi che sia anche quella una forma di egoismo?»
«Come fai a parlare di egoismo...»
«Perché non sarei riuscita a sopportare i sensi di colpa verso Fuka.»
Akito abbassò lo sguardo, sentendo nuovamente quel senso amaro di sconfitta farsi largo tra le fauci.
«La Kurata che conoscevo non parlerebbe così.» sussurrò quasi arreso.
«La Sana che conoscevi non esiste più...»
«Lo vedo da solo. Vogliamo dare il benvenuto alla sua versione distorta? Vogliamo presentare al mondo gli effetti di Akito Hayama sulle persone?» disse alzandosi di scatto dalla panchina. Si passò poi una mano tra i capelli e, in un impeto di smarrimento, lanciò il bicchiere di carta con ancora metà del suo contenuto in un punto indistinto davanti ai loro occhi.
«Cazzo Sana!» imprecò, fiondando le sue dita tra i capelli. Alla fine a cosa era servito tutto quel grigiore, a cosa era servito resistere al fastidio indotto da un profumo troppo insistente, a cosa era servito vivere alla deriva se poi il risultato era quello di aver demolito ciò che lo aveva rialzato?
«Ma tu non c'entri...»
«Allora, io non mi pento di quello che ti ho detto l'anno scorso. Non volevo essere il tuo senso di colpa e tu avevi bisogno di scegliere da sola, ma cazzo...»
«Mi sei mancato, Akito. Comunque.»
A quelle parole Hayama sgranò gli occhi, volgendo lo sguardo verso di lei che, invece, continuava a tenere la testa bassa, fissa sulle gambe ancora tremanti. Allora lui si domandò se ci fosse ancora lì dentro, da qualche parte, la Sana Kurata che era mancata anche a lui come l'ossigeno.
«E mi sono sentita persa molte volte... ho pensato così tante volte di voler solo tornare indietro. Ma sai, ad un certo punto ho avuto anche la strana sensazione di necessitare quel momento. Non so come spiegartelo, ho sentito come il bisogno di capire da sola cosa fosse successo.»
Akito rilassò le spalle in un gesto arrendevole, e sospirò. Si rese conto di essersi perso così tanto in quei mesi, di aver lasciato che tutto andasse alla deriva compresa la sua purezza, il suo essere così disarmante ai suoi occhi. Ma allo stesso tempo si domandò se in realtà quella non fosse altro che l'unica strada che entrambi avrebbero potuto imboccare, perché troppo schiacciati da emozioni represse e sentimenti non accettati.
«Io ho cercato così disperatamente di allontanarti, ma allo stesso tempo non riuscivo a starti lontano.» ammise in un sussurro che pensò di aver sentito solo lui.
Allora Sana si voltò finalmente verso di lui, con un'espressione confusa spalmata in viso. Akito si sentì il suo sguardo addosso e finalmente si rese conto di quello che stava provando, mentre le sensazioni gli scivolavano via dalle mani per mischiarsi all'acqua scura del lago dietro di lui.
«Non capisco... io...»
«Non puoi capire Kurata, perché ci sono cose che non sai.»
Sana lo osservò mentre le sue gambe si muovevano come quelle di un automa. Probabilmente sapevano già cosa fare e si avvicinarono di nuovo, per poi piegarsi e permettere ad Akito di sedersi accanto a lei. E questa volta notò che le sue ginocchia si erano accostate, l'uno accanto all'altro, e avevano iniziato a muoversi appena in un movimento che lei riconobbe come familiare.
Spostò poi lo sguardo sulle sue mani, pensò che fossero fredde perché Akito aveva le nocche arrossate, ma non ebbe il coraggio di accertarsene, quindi le seguì mentre le dita si toccavano a vicenda, si piegavano e poi si irrigidivano. Allora alzò gli occhi verso il suo viso, ma non fece in tempo a rendersi conto che le mani si erano mosse ed erano finite nelle tasche della sua giacca, quella che faceva parte del nuovo Akito. Le vide muoversi appena in quello che era un piccolo rigonfiamento appena percettibile, per poi uscire fuori nuovamente al gelo, con le dita che stringevano saldamente qualcosa.
In quel momento le sue ginocchia si staccarono, l'uno dall'altro, accogliendo nuovamente le sue mani che stringevano tra le dita un paio di guanti. Sana non riuscì a distinguere subito l'oggetto che Akito custodiva così gelosamente nelle mani perché proprio queste ne offuscavano il disegno, la trama, il colore. Allora d'istinto fiondò le sue mani su quelle di Akito che di colpo sussultò. Gliele strinse, non riuscendo a capire dove finissero le sue fredde e dove iniziassero quelle dell'altro, ma fu in grado di vedere finalmente quell'oggetto.
«Ma questi io...»
«Te li ricordi?» sussurrò lui, voltando appena il capo verso di lei. Riuscì a distinguere la sua espressione confusa, ma anche sconvolta. Pensò che per la prima volta quel giorno rivide un briciolo delle innumerevole espressioni che il suo viso gli aveva mostrato mesi addietro.
«Sì... ma come fai ad averli tu?» continuò, mantenendo quella confusione in viso che Akito non riusciva proprio a declinare. Per un istante si pentì di quello che aveva appena fatto. A cosa sarebbe servito? Ma riuscì comunque a guardarla con una strana insistenza.
Sana continuava a tenere lo sguardo fisso su di lui, sbattendo gli occhi più velocemente del normale perché quando collegò quell'indumento che era stato suo così tanto tempo prima, alla persona che aveva davanti, qualcosa le si fermò in gola. Allontanò quindi le sue mani da quelle di Akito e scosse lentamente il capo.
«Hayama... quindi tu...»
«Sei stata tu, Kurata, a fare in modo che io vedessi certe cose, che le capissi...» si espresse con una certa titubanza perché ancora prima di capire i suoi stessi sentimenti, si rese conto di essere totalmente privo della capacità di ricevere quelli di lei.
«Tu sapevi... lo sapevi fin dall'inizio?»
«Come facevo a dimenticarmi di te? Se John ha avuto la sua seconda occasione con me, è merito tuo e delle tue parole di tre anni fa, alla stazione dei treni.»
Sana rimase con la bocca schiusa per un periodo di tempo che ad Akito sembrò maledettamente lungo. Poi finalmente le chiuse.
«Non ho mai pensato che tu dovessi sapere certe cose. Avrei voluto ringraziarti, quello sì. Quando ti ho rivista all'università mi sono detto che quello poteva essere il momento giusto che una sorte stranamente fortunata mi aveva messo davanti... ma alla fine, mi sono scontrato con certi miei limiti. E ho fatto una marea di cazzate.»
«Hayama tu... perché non me l'hai detto poi? Avresti dovuto, avrebbe cambiato ogni cosa...»
«E invece no. Non l'ho fatto proprio perché io non volevo più essere il tuo cucciolo da accudire... il ragazzo bisognoso di una coperta fuori la stazione dei treni... io ero terrorizzato all'idea che tu vedessi solo questo di me. Cazzo!» emise quell'ultima parole come se si stesse liberando di un peso dalla gola, un pezzo di piombo pesante centinaia di tonnellate che erano riuscito a sputare fuori solo in quel momento.
«E allo stesso tempo, ero dilaniato al pensiero di poterti avere solo in quel modo.»
«Hayama...» sibilò lei, evidentemente confusa in viso. Akito sollevò le sopracciglia e la guardò.
«Se non fossi stata tu, se non fossi stata la Sana che ho conosciuto l'anno scorso e se all'epoca avessi seguito alla lettera quei cazzo di mantra inutili su quanto la vita fosse dura e su quanto tu non lo capissi, io adesso non sarei qui. Non sarei tornato da John, non avrei accettato il suo aiuto e non... Sana, ma cosa fai?» disse, sollevando la testa per seguire lei che si era appena alzata da quella panchina. In tutto quel discorso in cui alla fine si era anche perso, non riconoscendo più nemmeno se stesso all'interno di quel marasma di parole, non si era accorto delle lacrime sul viso di Sana, della sua faccia dilaniata e del suo caffè rovesciato ai loro piedi.
«E tu pensi davvero che sia stata io a tirarti su?»
«Lo so per certo.»
«Quello era il modo in cui io pensavo di aiutare davvero le persone. Ma, alla fine, ho capito che aiutavo solo me stessa a sentirmi meglio.»
Allora Akito si alzò in piedi, mettendosi esattamente di fronte a lei, non curante di aver fatto cadere i guanti di Sana a terra, ai loro piedi, insieme al caffè rovesciato.
«Io credo che in questi mesi di riflessione, tu non abbia capito un cazzo in realtà.»
«Ma che ne sai tu, scusa?»
«Perché se davvero fosse stato come dici, se davvero tu ti fossi avvicinata a me in quel modo solo per sentirti meglio con la coscienza, non avrebbe funzionato. Stupida che non sei altro, possibile che tu non riesca a vederlo?»
«C'è stato John che...»
«Cazzo Sana, io non ci sarei nemmeno tornato da John se tu non mi avessi detto quelle cose. Se tu non mi avessi fatto capire che la primavera arriva sempre, e che per tutti c'è redenzione. Tu questo lo capisci adesso? Riesci a capire l'importanza che hai avuto? Come potevo acciuffarti in quel modo, con queste mani?»
Akito si sentì incredibilmente svuotato, non aveva più nulla dentro da cui essere intimorito. Sentiva di non avere più nulla tra le mani, tanto valeva dirla tutta la verità e all'improvviso non gli importò più se lei capisse o meno. E avrebbe voluto dirle che quello era da egoisti, non il suo modo di sentirsi in colpa per gli altri o pensare di non essere in grado di aiutare veramente le persone.
Ma quello si vide bene dal dirglielo, nonostante avesse pensato solo pochi istanti prima che non aveva davvero più senso omettere o mentire, trattenersi o annullarsi.
Alla fine lei era lì, dopo tutto quel tempo era in qualche modo riuscito a dirle tutta la sua verità. Il resto non gli importava più di tanto. E si sentì nuovamente egoista.
«Io... sono confusa.» disse lei, squarciando ogni sua convinzione.
Akito si spinse verso di lei, alzando un braccio verso il suo viso. Osservò i suoi capelli, per la prima volta lo fece davvero, pensò che avrebbe voluto affondare il suo viso in quella matassa ramata che fluttuava sulla sua testa come colori che si mischiano tra loro, morbidi e sfocati. Avrebbe voluto accarezzarli con le dita, poi notò il suo sguardo stranito e si rese conto che quelle dita le aveva già infilate in mezzo a quei filamenti fluttuanti. Allora era quello che lei provava adesso?
Spostò la mano verso il suo viso e lo sentì bagnato, perché sulla punta del pollice si era ristagnata una lacrima appena caduta dai suoi occhi. Corrugò la fronte, smettendo di pensare, e ritirò la mano.
Sana sussultò appena, ma fece comunque un passo indietro.
«Io... sono confusa Hayama.»
«Lo so, lo hai già detto.» replicò lui, lasciando andare le braccia penzoloni lungo il corpo. Comunque certe cose di lei non erano affatto cambiate, pensò in un momento di fredda razionalità.
E alla fine si domandò anche quale fosse la percezione che ora lei aveva di se stessa.
Comunque Sana fece ancora qualche passo indietro, ma Akito non la fermò. Pensò che non aveva nessun senso fare in quel momento ciò che non aveva voluto un anno prima, perché lui non la voleva in quel modo. Allora si lasciò andare sulla panchina, afferrò poi i guanti da terra e li scrollò appena lasciando andare un po' di neve che vi si era attaccata su. Si passò le dita tra i capelli e fu durante quel gesto che sentì i passi di Sana allontanarsi in fretta da lì.
Lei non riuscì più a comprendersi sul serio, come pensava di aver imparato a fare negli ultimi mesi della sua vita. Tutte le sue convinzioni, tutti gli arrivi a cui era giunta grazie ad un complicato percorso dentro la sua più profonda coscienza, sembravano sgretolarsi sotto i piedi. Quei piedi che la stavano conducendo lontano dall'unico punto di attrazione consapevole avesse mai avuto nella sua vita.
Possibile che lui avesse di nuovo capovolto ogni cosa? Si sentiva confusa e sconvolta, non faceva che ripensare alle parole di Akito e al suo racconto, e non riusciva a capire in che punto della sua testa doverlo collocare.
Poi si sentì stordita.
«Sana? Che telepatia.»
«Shoji?» disse lei, corrugando la fronte. Ma che ci faceva Shoji lì, davanti a lei?
«Volevo chiamarti, ma poi ho pensato di farti una sorpresa e venire da te... è successo qualcosa?» domandò, sinceramente preoccupato.
E solo in quel momento Sana capì perché il colore dei suoi capelli gli sembrasse così sbagliato.
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Upside Down
Romance[COMPLETA] Inserita nell'elenco delle fanfiction "Anime e Manga - Otaku Daydreams" @WattpadFanfictionIT (https://www.wattpad.com/list/571931450-anime-e-manga-otaku-daydreams-) Dal prologo: [...]Mentre sfogliava la sezione Rock pop europeo degli ann...