Capitolo 6

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«Questa dove devo metterla?» domandò Sana, cercando di sostenere con le braccia una cassa piena zeppa di birra che avrebbe dovuto mettere a posto. Sollevò un ginocchio cercando di distribuire il peso delle birre anche su quello.
«Cosa?» fu la distratta risposta di Akito.
«Queste birre...»
Allora lui si voltò e notò che la ragazza cercava di sorreggere la cassa con non poche difficoltà, quindi fece qualche passo verso di lei e gliela prese di mano, avviandosi poi verso un grosso frigorifero posto accanto al bancone, abbastanza nascosto dalla sala.
«Sei in grado di metterle in frigo?»
«Mi hai preso per una scema?»
«Mah. Non dai certo l'idea di essere un premio Nobel per la scienza.» la prese in giro, poggiando la cassa ai piedi del frigorifero.
Sana gli rivolse un'occhiata accigliata, poi lo seguì con lo sguardo, osservando Akito mentre apriva il frigo e tirava fuori le birre che vi erano depositate sull'ultimo ripiano in basso.
«Devi fare in modo che le bottiglie nelle prime file siano sempre fredde, quindi metti quelle calde in fondo al frigo. Ok?» precisò, lasciandole lo spazio necessario per iniziare a sistemare le bottiglie.
«D'accordo.» rispose laconica, inginocchiandosi ai piedi del frigo e iniziando a tirare fuori tutte le bibite disposte sui vari ripiani. Ne osservò le etichette, rendendosi conto di non sapere proprio niente di birre, locali, alcol e che per lei quella era la prima volta che si addentrava in quel mondo. E alla fine si sentì stranamente contenta, e sorrise, senza preoccuparsi minimamente di nasconderlo ad Akito.
«Che ti prende?» fece lui, un po' confuso.
«Niente, sono felice di aiutarti.» disse lei, voltandosi verso Akito e rivolgendogli un ulteriore sorriso.
«Se avessi saputo prima che ambivi a fare le pulizie al locale ti avrei chiamata subito.» rispose lui ironico, ridacchiando appena.
«Sei un cretino.»
Ma lui non raccolse quella specie di insulto perché si era già allontanato per sistemare la disposizione dei tavoli di legno e degli sgabelli. John era un tipo abbastanza meticoloso, almeno quando si trattava di qualcosa che riguardasse il suo locale, per cui desiderava che le cose fossero sempre al loro posto, esattamente come le aveva lasciate prima di chiudere il locale la sera prima di ogni nuova apertura.
Ma mentre Akito sistemava tavoli e sedute, Sana era completamente concentrata sul suo compito, riflettendo distrattamente sul modo di disporre le bottiglie, sul fatto che fossero tutte sistemate secondo una logica che lei, in realtà, non riusciva a comprendere. Allora si voltò verso Akito, nascosto un po' nella penombra della sala. Ma lei si assicurò che fosse ancora lì, grazie al rumore delle sedie che scontravano contro i tavoli e il pavimento.
«Hayama, ma perché queste birre sono disposte in questo modo?» domandò lei, continuando a sistemare il frigo.
«Vanno in ordine di gradazione alcolica. In basso quelle più forti.»
«Capisco. E perché?»
«Perché di solito sono pochi quelli che bevono birre così forti, quindi è più comodo.» precisò, leggermente spazientito.
«Ok. Scusami, ma non capisco. Perché in basso non ci mettete altro, che ne so... tipo lattine di coca, e comprate un altro frigo?»
«Perché stiamo bene così.»
«Ma sarebbe più comodo, e poi che ne sai che la gente non beve birre forti? E se questa sera dovessero ordinarla tutti? Tra l'altro sono davvero poche... magari ve ne servono altre, non pensi?»
«No, stiamo bene così.»
«Sicuro? Perché ieri sera ho visto quanto si riempie questo posto, magari non avrai tempo per fare rifornimento e inizieranno tutti a chiedere di bere birra forte. E come farete se dovesse accadere?»
«Kurata?»
«Sì?»
«Potresti chiudere la bocca?»
Sana lo guardò accigliata e gli rivolse un broncio che tenne su per qualche secondo, nell'esatto istante in cui lui si era avvicinato per sistemare gli sgabelli disposti lungo il bancone.
«Lo dicevo per darvi una mano.» protestò accigliata.
«Se avessi voluto il tuo parere te lo avrei chiesto. Non pensi?»
«Mamma mia, che orso che sei.» borbottò a bassa voce, continuando a disporre le birre secondo le sue indicazioni. Hayama, che non era sicuro di aver sentito bene, decise semplicemente di non prestare attenzione alle parole di Sana perché era sicuro che se le avesse chiesto altro non avrebbe più smesso di parlare. E, nonostante la sua figura china sulle birre che si continuava a domandare il perché di qualsiasi cosa lo facesse stranamente sorridere, decise di non alimentare quella nuova versione di Kurata barlady e riprese a sistemare il bancone e i bicchieri che aveva appena tirato fuori dalla lavastoviglie.
Sana, invece, aveva terminato la mansione e si alzò nuovamente in piedi, sentendosi improvvisamente accaldata, probabilmente per le luci accese e troppo vicine alla sua testa, o per il fatto di indossare un maglione troppo pesante per la situazione. Allora afferrò i lembi dell'indumento e se lo sfilò di dosso, lasciandosi addosso una canotta leggera che le lasciava scoperto il collo, grazie anche allo chignon che resisteva a stento. E in quell'atto, che a lei era sembrato durare solo un istante, Akito si voltò e la guardò mentre di spalle gli mostrava le sue esili braccia scoperte insieme al collo, sul quale giaceva qualche ciocca di capelli disordinata, scappata dallo chignon quando si era tolta il maglione. Il ragazzo continuò a fissarla, mentre lei piegava l'indumento con un'estrema lentezza e lo riponeva su uno sgabello di fianco, appallottolandolo un po' perché non cadesse.
Hayama si scoprì essersi soffermato troppo a fissarla alle spalle perché quando lei si voltò verso di lui, aveva una strana espressione in viso. Allora lui spostò rapidamente lo sguardo sui bicchieri che stava asciugando.
«Hai finito con il frigo?» le domandò improvvisamente, un po' troppo bursco.
«Ehi, cos'è questo tono? Non sono mica la tua sguattera?»
«Non eri tu quella che voleva aiutarmi?» affermò, rimodulando il suo tono. La ragazza allora rilassò le spalle e si avvicinò al bancone.
«Comunque il frigo è a posto. Posso fare altro?»
«No, ormai non mi resta che aspettare John e i primi clienti.»
«Ok, ti dispiace se resto ancora un po'?» e nel fargli quella domanda ad Akito sembrò che il suo sguardo si rabbuiasse.
«Fa' come vuoi.»
Allora Sana si sedette su uno degli sgabelli del bancone bar, uno di quelli su cui aveva consumato la sua prima sbornia solo ventiquattro ore prima, e si morse un labbro restando lì seduta ad osservare il ragazzo che continuava a preparare il posto per la serata.
Restarono in silenzio per qualche minuto, in uno stato di quiete in cui il disagio sembrava non essere minimamente contemplato. Lui trafficava con gli oggetti da sistemare dietro il bancone, in silenzio e con un'espressione rilassata ma concentrata, e lei se ne stava seduta con le mani infilate tra le cosce e lo sgabello, riflettendo sull'idea che Akito sembrava appartenere a quel mondo molto più di quanto sembrasse essere legato ai libri e allo studio. Gli sembrava in gamba e in grado di affrontare qualsiasi compito gli avessero assegnato all'università. Ma la dimestichezza con cui muoveva le mani da un punto all'altro di quel posto, la naturale scioltezza in cui l'espressione del suo viso si muoveva le fece pensare che anche lui, probabilmente, in quel posto doveva sentirsi a casa e a suo agio. E non riuscì a smettere di guardarlo perché avrebbe tanto voluto entrare nella sua testa e sapere a cosa stesse pensando in quel momento, mentre il suo viso appariva così bello. Poi decise di spostare lo sguardo altrove, prima che lui la scoprisse a fissarlo e iniziò ad osservare le bottiglie disposte proprio sulla testa di Hayama.
«Come mai John è così esperto di alcolici?» domandò, un po' disorientata dai suoi stessi pensieri.
«Perché gli piacciono.» rispose, senza prestare veramente attenzione a quella domanda.
«Mh, sai che non pensavo che fossero buoni in realtà? Cioè... di solito li ho sempre trovati fortissimi.» fece lei, con una smorfia in viso. Lui la osservò arricciare il naso nell'esatto istante in cui aveva pronunciato a parola "fortissimi" e trattenne un sorriso.
«Perché bevi schifezze, Kurata.»
Lei sbuffò, accigliando lo sguardo. Poi, come se avesse dimenticato la battuta del ragazzo, abbassò lo sguardo sui sottobicchieri di cartone disposti sul bancone.
«Comunque ti prometto che non accadrà più.»
«Ci credo, nessuno tornerebbe a bere quella robaccia dopo aver provato l'alcol di John.»
«Non mi riferivo a quello.» e lui spostò nuovamente lo sguardo su di lei, notando un leggero rossore sulle guance.
«Insomma, ieri sera... quando mi hai accompagnata a casa. Prometto che Shinichi non si comporterà più male con te.»
«Ah no?» domandò lui, con non troppo interesse, tornando a sistemare i bicchieri sui binari di ferro in cima al bancone. In realtà non gliene fregava niente di Gomi in quanto tale. Non aveva nessuna intenzione di approfondire quel problema, meno che mai in quel momento.
«No. È che si preoccupa per me...»
«Io invece penso che sia solo geloso.» affermò, continuando a mantenere quel fare distratto, di chi non sta partecipando realmente alla conversazione. Sana, in compenso, si sentì improvvisamente in imbarazzo al pensiero che Hayama avesse potuto insinuare un simile pensiero.
«Ma che dici? Perché mai dovrebbe essere geloso?»
Hayama allora interruppe ciò che stava facendo e si asciugò frettolosamente le mani sui jeans, poi fece qualche passo verso Sana. Si appoggiò con i gomiti sul bancone per avvicinarsi a lei, e quando fu talmente vicino da riuscire a distinguere il colore dei suoi occhi, le rivolse un sorriso sornione.
«Andiamo, devo spiegartelo sul serio?»
Sana rimase per qualche secondo con la bocca dischiusa, cercando di capire se il disagio che provava fosse generato dalla domanda di Hayama oppure per la semplice vicinanza del ragazzo, in un posto in cui erano totalmente soli, quasi al buio. Le venne in mente quello che aveva immaginato, mentre era a letto con Gomi, e abbassò lo sguardo. Ma il calore sulle guance non accennò a diminuire, perché i suoi occhi si erano posati sulle sue braccia scoperte da una t-shirt scura a maniche corte, potendone distinguere chiaramente ogni singolo muscolo.
«Ma non dire sciocchezze!»
Hayama allora si allontanò, permettendo al cuore di Sana di riprendere a battere ad un ritmo moderato. Alzò gli occhi e lo ritrovò di nuovo alle prese con il bancone, in silenzio - come la maggior parte delle volte in cui aveva a che fare con lui– e si domandò se non avesse detto qualcosa di inopportuno. Magari non voleva parlare del fatto che, in realtà, era Fuka ad avere un debole per lui. E a conti fatti anche lei non aveva nessuna voglia di intraprendere un discorso simile. Pensò che una parte di sé avrebbe voluto approfondire quella sua contro-domanda, ma si sentì anche improvvisamente a disagio nel constatare la sua sicurezza nel porglierla e decise, vigliaccamente, di far semplicemente morire quella curiosità là dove era nata.
«Posso farti una domanda?» riprese lei, cercando di vertere l'attenzione su altro.
Hayama sospirò, consapevole che quella in realtà era una domanda per la quale Sana non avrebbe aspettato una vera risposta da parte sua.
«Hai mai pensato di riprendere con il karate?»
«No, mai.» disse lui secco.
«Perché?»
«Perché non sono affari tuoi, Kurata.»
Sana sbuffò e scese dallo sgabello su cui si era seduta avvicinandosi a lui che, al contrario, cercava di sfuggirle e allontanarsi il più possibile dall'ennesima scarica di domande.
«Andiamo Hayama, ma perché non vuoi parlarmene?»
«Perché devo lavorare.»
«Ma se non c'è ancora nessuno.» disse, guardandosi velocemente intorno.
Allora lui si fermò, dandole le spalle.
«È una faccenda complicata. Dopo l'incidente... è stato tutto complicato e il karate è diventato l'ultimo dei miei problemi.»
Sana restò interdetta, tornando con la mente alla sera prima, quando Hayama le aveva raccontato quello che era successo quando aveva quattordici anni e si sentì nuovamente triste, perché era perfettamente consapevole del fatto di non essere assolutamente in grado di aiutare il ragazzo. Rifletté sulla sua vita, pensò che nell'esatto momento in cui lui viveva quel dramma lei era semplicemente impegnata a pensare a che scuola frequentare, tormentata dall'unica preoccupazione di non finire nella stessa classe delle sue amiche. E si sentì immensamente piccola e stupida, con la sua vita incorniciata in una specie di favola rosa, per cui non osò chiedergli altro perché quella risposta l'aveva messa tremendamente in imbarazzo. Pensò che, in fondo, il karate doveva piacergli abbastanza e che forse riprendere quell'attività lo avrebbe fatto stare meglio, ma non osò proporgli quel suo pensiero perché non si sentiva più in grado di entrare in empatia con i suoi.
Poi l'attenzione di entrambi fu catturata dal cigolio della porta d'ingresso che si apriva, senza nessun preavviso, e Sana tornò bruscamente alla realtà.
«Ehi Akito, ma cos'è quest'aria da funerale? Perché non sento della musica?» la voce di John interruppe non solo i pensieri di Sana, ma anche la nuova attività di Akito di ignorarla completamente.
«Ma guarda chi c'è, la piccola Sana. Ecco perché il mio aiutante preferito è così distratto oggi.» continuò, avvicinandosi a passo svelto verso Sana con le braccia allargate.
«John, che bello vederti. Ti aspettavo!» rispose lei, saltando letteralmente dallo sgabello e andando in contro al ragazzo allargando le braccia a sua volta e ritrovando improvvisamente il buon umore.
Akito li guardò entrambi alzando lo sguardo al cielo, poi mise su un disco, uno di quelli che John custodiva nel cassetto sotto il registratore di cassa e Sana riconobbe subito la canzone.
«Ma questi sono Simon e Garfunkel. Amo questa canzone.» disse, lasciandosi trasportare da John in un ballo improvvisato.
«Ti piace questo genere?» domandò lui, prendendole una mano e facendole fare una giravolta su se stessa. Entrambi erano oggetto di attenzione da parte di Hayama, che li osservava con il viso poggiato sul palmo di una mano e un sopracciglio sollevato.
«Be', li conosco perché sono i preferiti del mio ragazzo...»
«Quindi hai un ragazzo? Hai sentito Akito, te la sei fatta scappare!» e a quelle parole, Akito abbandonò la posizione di poco prima e si allontanò, roteando gli occhi al cielo. Conosceva John alla perfezione così come la sua esuberanza e stravaganza e, alla fine di tutto, per certe cose Sana glielo ricordava molto. Solo che John non aveva peli sulla lingua, nemmeno a cercarne con il lanternino, e non aveva mai mostrato il minimo imbarazzo nell'esternare tutto quello che gli passava per la mente.
Sana, dal canto suo, era leggermente arrossita per la battuta di John, il quale se ne accorse subito.
«Sto scherzando Sana-chan. Sono sicuro che il tuo ragazzo sia una persona molto fortunata. Ora credo proprio che mi tocchi lavorare.» le disse strizzando un occhio.
«Ben detto, altrimenti mi licenzio.» fu la pronta risposta di Hayama, dal lato opposto della sala.
«Ma sì, non c'è problema. Anzi, credo sia meglio che vada anche io.»
«Ricordati l'evento della prossima settimana.»
«Sì, certo. Allora ci vediamo.» e così dicendo, rivolse una rapida occhiata ad Hayama, che la salutò con un semplice cenno del capo, prima che lei sparisse oltre la porta d'ingresso del locale.
«Come mai era qui?» domandò poi John ad Akito, che gli rispose con la sua solita alzata di spalle.
«Mi aveva detto che cercava te.»
«Me? Ma se è andata via appena sono arrivato.» commentò lui.
«Kurata è strana, che ci vuoi fare.»
«Sarà come dici, ma non pensavo che fosse fidanzata. Avrei giurato che avesse un debole per te.»
«È ciò che pensa il suo ragazzo, probabilmente.» rifletté Hayama, mentre si allacciava il grembiule in vita. John lo raggiunse dietro il bancone, appoggiandosi contro lo scaffale e incrociando le braccia al petto.
«Sana mi piace, ha un'energia notevole. E tu dovresti essere più combattivo nella vita.»
Akito lo guardò corrugando la fronte. Non gli piaceva nemmeno un po' la piega che quel discorso stava prendendo.
«Ma che vuoi, eh? Sei venuto a lavorare o a darmi lezioni di vita?»
«È proprio questo l'atteggiamento che hai quando ti mettono con le spalle al muro, vero Acchan
«Non chiamarmi in quel modo.»
«I sensi di colpa non svaniscono all'improvviso. Devi imparare a conviverci e sono convinto che Sana sia quella persona, Akito. La persona che ti disarma e ti riporta alla vita, nonostante la paura fottuta di farlo.» rifletté John, senza usare nessun tipo di filtro o mezza parola. Non lo aveva ma fatto con lui, nemmeno nei momenti peggiori della loro amicizia, nemmeno quando la vita di Akito era ridotta ad una specie di ombra e lui non sapeva più quale fosse lo scopo per cui lottare.
«Lascia Kurata fuori da questa storia.» lui gli rispose bruscamente, allontanandosi dal bancone per avviarsi verso la sala e accendere le luci che aveva spento durante le pulizie. John sorrise, osservando il suo amico-figlioccio mettere su il suo solito broncio. Sapeva sempre come colpirlo e affondarlo, ma quella volta pensò anche che nella totale oscurità in cui l'altro aveva sempre vissuto, potesse esserci anche una minuscola luce e avrebbe tanto voluto che lui la vedesse e la alimentasse.
Ma se Akito aveva risposto così male alle provocazioni di John, Sana invece continuava a pensare a quelle battute, apparentemente innocenti, mentre camminava distrattamente per le strade di Tokyo. Aveva tutta l'intenzione di tornare a casa, buttarsi sul letto, e dormire per ore e ore.
L'indomani avrebbe avuto lezione all'università e provò uno strano brivido al pensiero che, come di consueto, lei e Hayama si sarebbero fermati dopo le lezioni per svolgere il compito di sociologia.
Controllò il cellulare e vide che c'erano tre chiamate perse di Fuka. Allora decise di richiamarla, ripensando anche al modo in cui aveva lasciato le sue amiche, nel mezzo del loro pranzo domenicale.
Fuka rispose al primo squillo.
«Sana, come va? Dove sei?»
«Ehm, sto tornando a casa.» poi si rese conto subito di aver fatto una gaffe.
«Scusa, ma non dovresti essere già a casa a studiare?»
«Eh, sì ma la mamma mi ha chiesto di fare una cosa.»
«Mh, capisco. Comunque ti avevo chiamata per darti una notizia.»
«Ah sì? Di che si tratta?»
«Hayama! Mi ha invitata alla serata che hanno organizzato al locale in cui lavora.»
Sana non riuscì a spiegarsi subito perché quella notizia la fece restare a bocca aperta. Fu una specie di colpo inaspettato, un fulmine a ciel sereno, un boato nel mezzo del nulla. E non capì il motivo di tanta sorpresa, forse perché fino a poco prima era proprio insieme a lui e si sarebbe aspettata un avviso da parte sua. Poi cercò di riprendersi, pensando che fosse quanto meno ridicolo che lui le comunicasse le sue avventure, o ciò che faceva con le ragazze. Insomma, perché mai avrebbe dovuto farlo?
«Sì?»
«Sono al settimo cielo. Non è fantastico? Dopo tanti giorni di silenzio finalmente mi ha chiesto di uscire. Certo ci sarete anche tutti voi, ma che importa. Magari dopo la festa mi invita a casa sua... stavolta non mi lascerò scappare questa occasione.»
«Sono molto felice per te, Fuka.» rispose con un tono di voce talmente basso che Fuka faticò a distinguere quelle parole.
«Sana, ma che hai? Sembra quasi che ti dispiaccia.»
Allora lei si sentì scoperta all'improvviso e cercò subito di rimediare ad un possibile danno.
«Ma che dici? Sei impazzita. Sono felice per te, sul serio. Solo che c'è confusione in strada, e non riesco a sentire bene.»
«D'accordo, allora ci sentiamo domani. Tieniti pronta alla serata, perché finalmente la tua amica andrà a letto con un figo pazzesco.»
«Eh... grandioso.» disse lei, con un sorriso nervoso.
Quando riagganciò perse molti minuti a fissare lo schermo scuro del suo cellulare, aspettando qualcosa che in realtà non riuscì nemmeno a definire a se stessa.

***

Il giorno seguente Sana arrivò in aula stranamente in orario, ma durante tutto il tempo della lezione non fece altro che chiedersi dove fosse Hayama, perché anche quel giorno aveva saltato l'ora di sociologia. Si disse che, probabilmente, lo avrebbe trovato in biblioteca, come era già successo la settimana precedente. Ma così non fu, e la ragazza sentì un incredibile senso di delusione nel vedere il loro tavolo occupato da uno studente straniero, che ascoltava musica e sfogliava un libro.
E quella scena si ripeté per i successivi giorni della settimana perché, nonostante la scadenza per la consegna del compito non fosse ormai più tanto lontana, Hayama era completamente scomparso. Oltretutto si avvicinava anche il giorno dell'evento al locale, e Sana non riusciva a pensare ad altro. Non che la sua attenzione fosse di norma rivolta allo studio, ma quella situazione non aiutava certo la sua media, che sembrava destinata a scivolare man mano verso un profondo abisso.
Era passata quasi una settimana dall'ultima volta che lo aveva visto e dentro di sé aumentava a dismisura il desiderio di andare al locale di John, per capire se fosse successo qualcosa. Ma quando quel venerdì si era quasi convinta a saltare il pranzo e andare lì, notò la figura di Gomi appoggiata ad un albero del cortile, con una rosa rossa tra le mani.
Quando vide il viso sorridente del suo ragazzo, rammentò il fatto che era una settimana che non vedeva nemmeno lui, e si sentì leggermente in colpa per non averci pensato affatto.
«Ciao amore, ho pensato di farti una sorpresa.» disse lui, dandole un bacio sulle labbra e porgendole poi la rosa.
«Grazie, che pensiero dolce.» fu la sua laconica risposta.
«Tutto bene?»
«Ma sì... non mi aspettavo di trovarti qui.»
«È che ormai ci vediamo così poco. Allora ho deciso di rimandare i miei impegni e portarti a pranzo fuori, così possiamo stare un po' insieme. Ho tante cose da dirti.»
Sana sorrise, e pensò che quella poteva essere una buona occasione per deviare le sue attenzioni su altro che non fosse Akito Hayama e tutto ciò che lo riguardava.
Gomi decise di portarla da Konjiki, un piccolo ristorante situato in una stradina secondaria del quartiere Shibuya, uno di quei posti riservati a pochissimi coperti, confusi dal troppo chiacchiericcio ma stracolmi di tradizione. Aveva prenotato un piccolo tavolo davanti alla finestra del ristorante e aveva ordinato due piatti di ramen, uno anche per Sana.
«Sai, mio padre mi ha proposto di iniziare un tirocinio al suo studio. Non è il massimo perché tutti penseranno che l'ha fatto solo perché sono suo figlio, ma mi sono detto che potrebbe essere utile portarmi avanti con il lavoro.» disse lui, mettendo in bocca una manciata di noodle prelevati dalla sua ciotola di ramen.
Sana continuava a rigirare il brodo con le bacchette di legno scuro, cercando di concentrarsi sul discorso del suo ragazzo. Nonostante quello fosse uno dei posti in cui facevano il miglior ramen di Tokyo, lei non aveva nessuna voglia di continuare a ingerire noodle e brodo di carne e si domandò che espressione avesse in quel momento e se fosse palese il suo rifiuto per quel pasto. E così le venne in mente l'unica volta in cui aveva visto Hayama mangiare del sushi e ricordò perfettamente l'espressione che lui aveva in viso mentre mangiava, e le venne immediatamente voglia di quella pietanza.
«A te piace il sushi?»
«Ma mi stavi ascoltando?» domandò lui, perplesso.
«Sì certo. Mi sembra un'ottima opportunità. Pensavo al sushi comunque.»
«Ma stiamo mangiando il ramen... qui il sushi non è un granché.»
«Mh... potremmo andare in un posto dove fanno del sushi?»
«Sana, ma che hai? Da quand'è che sei una fanatica del sushi?»
Lei alzò le spalle, e continuò a rigirare le bacchette nel brodo.
«Ad ogni modo dicevo che la settimana prossima inizierò allo studio di papà. Sai, sono un po' nervoso.»
«Andrà bene vedrai.» commentò distrattamente, finché la sua attenzione venne catturata dall'esterno del ristorante. Attraverso l'enorme vetrata disposta alle spalle di Gomi, riuscì a vedere una moto scura che procedeva a passo lento, probabilmente stava cercando un posto in cui parcheggiare. Effettivamente ben presto la moto si fermò tra due macchine ferme, e i due che erano a bordo si tolsero il casco.
Sana si convinse del fatto che se in quel momento fosse stata intenta ad avere qualsiasi cosa in bocca le sarebbe andato tutto di traverso, perché non solo aveva riconosciuto Hayama a bordo della moto, ma quando anche l'identità dell'altra persona le fu rivelata, non riuscì a credere ai suoi occhi.
«Fuka?»
«Eh?» Gomi assunse un'espressione confusa. Poi si voltò nella direzione dello sguardo di Sana.
«Hai ragione, è proprio Fuka. Vuoi andare a salutarla?»
«No!» quasi urlò, in preda ad un leggero panico.
«Ma come? È la tua migliore amica... dai andiamo.»
Sana si sentì improvvisamente catapultata in un film horror: lei era la protagonista, rincorsa da un mostro munito di motosega che aveva le sembianze di Hayama, il tutto diretto e sceneggiato da Gomi e Fuka.
Il suo ragazzo intanto, completamente all'oscuro dalle immagini che si susseguivano nella mente di lei, si alzò dal tavolo e la prese per mano. Probabilmente quello che lui aveva sentito doveva essere l'arto congelato di un morto vivente, perché era proprio così che Sana si sentiva.
«Ma no dai, stiamo pranzando.»
«Ma sei ti stai rigirando quel brodo da due ore. E poi volevi del sushi, no?»
Allora Gomi la trascinò all'esterno del locale e senza nessun pudore, pensò Sana, chiamò la loro comune amica a voce alta, la quale si voltò all'istante rivolgendo un enorme sorriso ad entrambi. Ma prima di attraversare la strada, si voltò verso qualcuno ancora di spalle, prendendogli un braccio e spingendolo a seguirla.
«Ma quello è il tuo amico?» rifletté Shin corrugando la fronte. Sana, di rimando, iniziò a mordersi il labbro perché era così nervosa che sperò che una voragine enorme si aprisse sotto i suoi piedi e la risucchiasse, proprio lì e in quell'esatto momento. Ma non fu la sola a sentirsi nervosa e in imbarazzo, perché anche Akito dall'altra parte della strada, guardò entrambi i ragazzi con un'espressione confusa.
«Sana, Shin... che ci fate qui?»
«Eravamo a pranzo fuori, tu... voi invece?»
Hayama spostò lo sguardo su Sana per poi arrivare alla rosa rossa che teneva stretta tra le mani.
«Anche noi stiamo andando a pranzo. Akito aveva voglia di sushi.»
Hayama non disse nulla e Sana pensò che doveva esserci già una certa confidenza tra i due, se lei lo chiamava addirittura per nome. D'altronde non era certo la prima volta che avevano a che fare l'una con l'altro, e si sentì immediatamente stupida per quella constatazione.
«Bene, allora noi andiamo.» esordì Sana, prendendo Gomi sotto il braccio.
«Non volete unirvi a noi?» propose Fuka, suscitando inconsapevolmente una serie di sguardi straniti: Sana non aveva nessuna voglia di restare lì insieme a quei due, così come Gomi non aveva alcuna intenzione di passare il pomeriggio insieme ad Hayama, nonostante stesse cercando di farsi andare a genio la sua presenza, divenuta assurdamente costante nella vita della sua ragazza. Quanto ad Akito, la sua espressione era esattamente la stessa di sempre, fatta eccezione per un sopracciglio alzato che, secondo Sana, denotava il diagio che provava anche lui in quella situazione.
«No, grazie. Vi lasciamo soli.» disse Sana, enfatizzando un po' troppo il tono di quella frase. Ma le succedeva sempre in situazioni di disagio o imbarazzo: diventava estremamente euforica.
«D'accordo, come volete. Ti chiamo più tardi allora.» e così dicendo Fuka regalò un sorriso di saluto ai due e prese Akito per un braccio, trascinandolo verso il ristorante di sushi dall'altra parte della strada.
Quando Sana e Gomi rimasero soli, lui si voltò verso di lei e le accarezzò il viso.
«Be', pare che il tuo amico diventerà presto parte del gruppo.» esordì con un tono leggermente provocatorio.
«Trovi?»
«Fuka mi sembra molto presa. Su di lui non mi esprimo, sto facendo un lavoro enorme a farmelo andare a genio...»
«Ma Shin...»
«È la verità, Sana. Quell'Hayama non mi piace, ma non voglio più litigare con te.» disse prima di darle un bacio sulla guancia.
Sana si sentì confusa, non riusciva a dare un nome ai sentimenti che provava. Tuttavia decise che il viso felice di Fuka insieme ad Hayama fosse sufficiente per mettere da parte quello strano miscuglio di sensazioni che aveva provato vedendoli insieme sulla moto di lui.
Quando finalmente tornò a casa si sentì libera di abbandonarsi ad un profondo sospiro. Nonostante fosse felice per la sua amica e, soprattutto, per il fatto che il suo fidanzato avesse infine deciso di deporre l'ascia di guerra contro Hayama, continuava a sentirsi inquieta. Probabilmente erano successe troppe cose nelle ultime settimane che l'avevano completamente destabilizzata. In fondo aveva vissuto una vita facile e invidiabile, piena di amici e di persone che le volevano bene. Non si era mai sentita in quel modo e non aveva mai vissuto niente di lontanamente paragonabile a quanto vissuto da Hayama. Pensò che avrebbe voluto conoscerlo quando faceva karate perché, sebbene avesse abbandonato quell'attività, doveva piacergli parecchio per seguire la sua scuola in giro per il paese. Insomma, a parer suo Hayama era un tipo che non avrebbe smosso nemmeno un granello di sabbia se la posta in gioco non fosse stata abbastanza invitante o interessante. D'altronde era stato lui stesso a dirle che era anche piuttosto bravo in quello che faceva. Allora si alzò dal letto, sul quale si era lasciata andare appena entrata in casa, e accese il computer.
Iniziò a digitare sulla tastiera, cercando su internet informazioni adeguate e segnando su un foglio alcuni indirizzi e numeri di telefono. Poi prese il cellulare e cominciò a fare telefonate e a cancellare subito dopo alcuni nomi e indirizzi finché non le rimase un solo nome. Lo guardò, sorridendo soddisfatta, afferrando poi il cappotto e la borsa e correndo via senza nemmeno spegnere il computer.
Guardò l'ora sul suo orologio da polso e pensò che fosse abbastanza presto da trovare Hayama ancora libero dal lavoro. Ma quando entrò all'Old Boy si sentì immediatamente delusa. E anche un po' stupida.
«Sana-chan, che bello rivederti.»
«Ciao John...»
«Dalla tua faccia delusa scommetto che pensavi di trovare Akito al mio posto.»
«Ma no... cioè sì. In effetti, cercavo lui. Oggi non viene?» domandò un po' in imbarazzo, pensando che forse il suo appuntamento con Fuka non era ancora finito. L'idea che aveva avuto poco prima aveva completamente offuscato la possibilità che lui fosse ancora con lei.
«E chi lo sa. Ultimamente arriva sempre in ritardo.»
«Mh, capisco.» disse con tono basso. Si mise poi le mani in tasca indecisa sul da farsi: avrebbe potuto aspettarlo ma sapeva anche che quel piano poteva rivelarsi un buco nell'acqua.
Poi John indicò l'esterno del locale con una mano e le sorrise.
«Sei fortunata, piccola. Questa è la sua moto.»
Allora Sana si voltò in direzione della porta quando si aprì annunciando l'ingresso di Hayama che, come al solito, aveva il viso nascosto dagli occhiali da sole e in una mano stringeva il suo casco scuro.
«Kurata?» disse, alzandosi gli occhiali sulla testa.
«Hayama...» replicò lei, con un sorriso nervoso. Alzò debolmente una mano, in segno di saluto, seguendo poi il ragazzo con lo sguardo che andava verso il bancone, dove appoggiò il casco.
«Sana è venuta qui per te.» disse John, interrompendo quello strano gioco di sguardi tra Sana e Akito.
«Ah sì?» domandò Hayama, rivolgendo ancora la sua attenzione alla ragazza che invece si sentì nuovamente nervosa.
«Io vado in magazzino a prendere un'altra cassa di birra, ok?» disse John, prima di sparire e lasciare Sana da sola con il ragazzo.
«Be' dimmi.» e così dicendo, si appoggiò al bancone incrociando le braccia sul petto, rendendo il nervosismo di Sana quasi tangibile. Lei, di risposta, accigliò lo sguardo e si avvicinò al ragazzo.
«Devo farti vedere una cosa.»
«Sto lavorando, di che si tratta?»
«È una cosa che devi vedere. Ed è importante.» disse lei di getto, velocemente, per paura di non riuscire a sostenere il suo sguardo ancora per molto.
«Kurata, stai diventando insistente. Dimmi cosa c'è, per favore.»
«Sono sicura che John non morirà senza di te.»
«Ma certo Akito, vai. Tanto non c'è ancora nessuno.» confermò John di ritorno dal magazzino.
Akito sbuffò sonoramente ma si irrigidì improvvisamente quando sentì la mano di Sana afferrargli il braccio e strattonarlo quasi dalla sua posizione, facendogli cadere gli occhiali da sole sulla faccia.
«Grazie John, sei un angelo.» disse Sana, guadagnandosi l'ennesima occhiata stranita di Akito. Una volta fuori, lei abbandonò subito la presa sul suo braccio e lui, di rimando, le porse il suo casco ricevendo un'occhiata accigliata da parte di lei.
«Non ci voglio salire su quella cosa.» sottolineò, per la seconda volta. Lui invece alzò le spalle completamente indifferente.
«Prendi un autobus allora.»
«Ma dai, guarda che non è dietro l'angolo.»
«Beccata Kurata! Dove hai intenzione di andare, eh?» le domandò, avvicinandosi pericolosamente al suo viso, che divenne rosso di colpo. Allora lei, un po' per celare l'imbarazzo e un po' perché effettivamente non ce l'avrebbe fatta in tempo con i mezzi pubblici, afferrò il casco dalla sua mano con una forza che sorprese perfino lei.
«D'accordo. Ma devi andare piano e giurarmi che non farai scherzi!» disse, alzando una mano e puntandogliela in faccia. Lui sorrise divertito prima di montare in sella alla moto e aspettare che lei facesse lo stesso. Tuttavia Sana continuava ad essere reticente, malgrado la tacita promessa di lui di eseguire i suoi ordini. Mise allora un piede su uno degli ingranaggi della moto, ma lui la fermò, alzando una mano.
«Attenta, quella è la marmitta e potresti farti male. Lo devi mettere qui il piede.» le disse, indicandole con i talloni un minuscolo pedale fuoriuscito dal nulla.
Allora lei seguì le sue istruzioni, dandosi una spinta sufficiente affinché riuscisse a salire in sella alla moto. Tuttavia, malgrado i suoi sforzi, non potette fare a meno di aggrapparsi alle sue spalle e nell'esatto momento in cui le sue mani toccarono il suo corpo si sentì quasi stordita dalla sensazione che provò. Percepì il suo cuore battere un po' più forte, probabilmente perché il suo viso era arrossito per l'ennesima volta, e si sentì quasi una stupida per quelle sensazioni a cui non riusciva a dare un nome.
«Tutto bene?» domandò lui, voltandosi appena verso di lei.
«Sì sì, vai parti.» rispose sbrigativa, per non destare troppa attenzione e, soprattutto, per fare in modo che lui non la vedesse così imbarazzata.
Gli comunicò velocemente l'indirizzo d'arrivo e in poco tempo raggiunsero il misterioso posto da lei indicatogli. Nonostante le sue paure, fu un viaggio piacevole e non si sentì in pericolo nemmeno per un istante, pur essendo stata invasa da mille timore nell'andare in moto insieme a lui.
«Allora cosa vuoi farmi vedere?» domandò lui, mentre Sana si sfilava il casco dalla testa. Sentì i capelli prendere direzioni completamente diverse rispetto alla piega che aveva dato loro quella stessa mattina e iniziò a pettinarli con le dita, cercando di sistemarli.
«Ho scoperto che questa scuola organizza dei corsi per chi, come te, ha abbandonato il karate da ragazzino e non lo ha più ripreso. Ma non c'è bisogno di ripartire da zero, ecco.» disse lei felice, mostrandogli il migliore dei suoi sorrisi mentre gli indicava la struttura erta proprio davanti ai loro occhi.
«E questo è il motivo per cui mi hai costretto a seguirti?» domandò lui, visibilmente irritato.
«Be' sì. Pensavo che non mi avresti dato retta se te lo avessi detto e basta. Invece...»
«Invece venire qui ti è sembrata un'idea geniale?»
«E-esatto.» quella risposta fu quasi sussurrata, perché Sana capì perfettamente di non aver avuto affatto un'idea geniale. Tuttavia, il suo desiderio di aiutarlo era diventato così ingombrante che non era riuscita a trattenersi. Né a pensare alla reale possibilità che lui avrebbe potuto non gradire.
«E chi ti dice che io voglia riprendere con il karate, eh?»
«Nessuno... ma ho pensato che potesse essere una buona idea e che ti avrebbe reso felice...»
«Be' invece non è così. Non voglio più saperne del karate, non mi interessa e non capisco perché tu debba ficcare il naso nella mia vita in questo modo. Quello che ti ho detto l'altra sera non ci rende affatto amici!»
Contro ogni pronostico, aspettativa o desiderio di Sana, la reazione di Akito si rivelò essere diametralmente opposta alla gioia che lei aveva provato nel pensare di avergli fatto quella specie di regalo. E dire che quando aveva trovato quella scuola di karate era stata così felice da aver dimenticato completamente la storia di Fuka, della sparizione di Hayama dal corso di sociologia generale e, soprattutto, tutti i sentimenti e le emozioni non classificabili che stava provando in quel periodo.
L'idea di riportare Akito indietro nel tempo, al periodo in cui faceva karate, prima ancora di vivere quella terribile esperienza aveva completamente cancellato la confusione che provava dentro di sé. Tuttavia, malgrado le buone intenzioni, si rese conto solo in quel momento che lei non sapeva niente di Akito, non aveva idea di che vita conducesse prima della morte del suo amico Yuto e che lui non aveva la minima intenzione di condividere altro con lei.
«Scusami, io non pensavo...»
Hayama non la lasciò terminare perché fece solo due passi, sufficienti a raggiungerla e a cancellare la distanza tra loro.
«Non ti ho raccontato quello che è successo per elemosinare il tuo aiuto. Se avessi voluto riprendere con il karate lo avrei fatto. Non siamo tutti cani randagi bisognosi di un rifugio.» disse arrabbiato, stringendo i pugni. A quelle parole, Sana ricordò la lite avuta con Gomi a proposito del suo atteggiamento verso Akito e si sentì invasa da una strana rabbia.
«Noi non siamo amici perché sei tu a non volerlo. Perché fai così, eh? Volevo aiutarti, pensavo che il karate ti piacesse e che tornare a praticarlo ti avrebbe restituito il sorriso. Ma evidentemente mi sbagliavo su tutto.»
Akito la guardò confuso, pensando che quella nuova versione di Sana fosse così lontana da qualsiasi momento di pseudo rabbia gli avesse mostrato da quando la conosceva. Era infatti molto diversa dalla rabbia che lui stesso le aveva provocato ogni volta che la prendeva in giro. Sapeva bene che quello era a tutti gli effetti un punto di rottura e forse era proprio ciò che inconsciamente stava cercando.
Ma lei non se ne sarebbe mai resa conto.
«Perché non mi interessa la tua amicizia, come devo fartelo capire?» sussurrò lui, e nell'udire quelle parole la ragazza si sentì cadere, come sull'orlo di un precipizio.
«Oh, d'accordo. Allora mi dispiace di averti fatto perdere tempo, non dovevo ficcare il naso nella tua vita.»
«Già.» fu la laconica risposta di lui. Senza dire o fare altro, Sana accartocciò il bigliettino su cui aveva segnato l'indirizzo dell'unica scuola di karate che avrebbe dato la possibilità ad Akito di riprendere da dove aveva lasciato, e se lo mise in tasca, lasciandovi anche le mani. Poi, senza aggiungere altro, oltrepassò il ragazzo di qualche metro.
«Adesso dove vai?» domandò lui seguendo Sana con lo sguardo.
«Me ne torno a casa.»
«A piedi?»
Lei allora si voltò mostrando ad Hayama un'espressione totalmente indifferente.
«Che t'importa come ci torno a casa? Ci vediamo a lezione Hayama.» concluse, tornando a dargli le spalle.
Allora lui non rifletté più sulle azioni del suo corpo, delle sue braccia, della sua testa, perché fece quei passi per raggiungerla così velocemente che quasi le finì addosso. Quindi le afferrò un braccio, senza considerare l'intensità della sua stretta.
«Ma che vuoi, eh?» domandò lei con uno sguardo accigliato.
«Non fare l'idiota. Ti accompagno io a casa.»
«Ma nemmeno per sogno, voglio camminare e non ho la minima intenzione di avere più a che fare con te.»
«Ti accompagno solo a casa.»
«Ho detto che non voglio.»
«Sei un idiota, davvero. Sali su quella dannata moto!»
«No!» disse, strattonandogli il braccio affinché il suo potesse liberarsi dalla sua stretta. Allora Hayama cercò nuovamente di acciuffarla, ma Sana sembrava essere diventata scivolosa come un'anguilla.
«Guarda che mi metto ad urlare. Urlerò talmente forti che anche i Kami in cielo scenderanno a vedere cosa sta succedendo.»
«Non saranno di certo i tuoi starnazzi a spaventarmi.» rispose convinto, facendo un ulteriore passo verso di lei che, nel frattempo, aveva ripreso a fuggire verso una strada a scorrimento veloce.
«Vattene via, Hayama. Preferisco fare l'autostop piuttosto che accettare la tua elemosina.»
«Kurata, sto perdendo davvero la pazienza. Torna indietro, per favore.» le urlò alle spalle, allungando poi un braccio verso la sua schiena nello stesso momento in cui le sue gambe facevano un balzo per accorciare la distanza dal suo obiettivo.
Finalmente sentì le dita afferrare la sua borsa che ondeggiava seguendo i movimenti bruschi di Sana, la agguantò stringendo immediatamente la presa sull'oggetto, sentendo poi il corpo della ragazza arrestarsi di getto. Approfittò di quel momento per fermare la sua marcia afferrandole le spalle con entrambe le mani, la attirò a sé facendo in modo che lei si voltasse verso di lui.
«Ti fermi un secondo?»
«Perché? Non siamo amici e i non-amici non si accompagnano a casa.» sussurrò abbassando lo sguardo sull'asfalto della strada. Era profondamente triste e quel sentimento fu chiaro anche ad Hayama che sospirò rilassando le spalle, ma continuando a tenere le mani salde su di lei. Poi osservò attentamente i suoi occhi, che si facevano sempre più lucidi e le sue labbra, i cui angoli iniziarono a piegarsi verso il basso.
Allora Hayama la guardò confuso, corrugando appena la fronte. Ma quando si accorse di una piccola lacrima che le rigò il viso non riuscì a smettere di pensare di voler solo tornare indietro nel tempo. E come se il suo corpo avesse preso pienamente possesso delle sue decisioni, una mano si staccò dalle spalle di lei e finì esattamente sul suo viso. Non seppe capire se il sussulto del corpo di lei fu provocato da quel gesto improvviso, stava di fatto che lui non poteva di certo sentire il battito accelerato del cuore di Sana, che sembrava volerle schizzare via dal petto. Sentì le sue dita che le asciugavano quella lacrima, il calore di quel leggero contatto, e si domandò esattamente quando aveva iniziato a provare qualcosa di così forte. Quand'è che aveva capito esattamente, il potere di quello sguardo ambrato su di lei?
«Posso accompagnarti a casa? Per favore?» sussurrò Hayama, stringendo la pressione delle dita sulla pelle del suo viso, che gli sembrò così morbida. Gli parve di toccare la cosa più leggera e pura che avesse mai visto, e sentì dentro di lui un'irrefrenabile voglia di assaporare quella ragazza che piangeva lì con il viso tra le sue mani, solo perché lui era stato troppo stupido e orgoglioso per ammettere che lei era stata la prima a pensare di volerlo vedere sorridere ancora. Continuarono a guardarsi negli occhi, finché il clacson assordante di un enorme tir non li riportò alla realtà, facendo render loro conto di essere esattamente sul ciglio di una strada abbastanza pericolosa.
Entrambi sussultarono e una folata di vento, causata dalla velocità del tir, scompigliò loro i capelli. Allora lui si staccò velocemente da lei per poi riacciuffarla per una mano.
«Andiamo.» disse soltanto, tirandola verso la moto.
Lei, dal canto suo, era troppo impegnata a far tacere il suo cuore per opporre un qualsiasi tipo di resistenza, e lo seguì.

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