Capitolo 7

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«Dov'è Sana?» chiese John quando vide Akito varcare la porta del locale da solo. Aveva il suo casco tra le mani e i capelli scompigliati. Tuttavia, era la sua aria imbronciata a destare qualche sospetto. Di solito, pensò John, Akito era imbronciato di natura, ma quella volta gli sembrò di intravedere una venatura di tristezza nel suo sguardo.
E si sentì stranamente compiaciuto.
«A casa sua.» replicò secco, appoggiando il casco su uno sgabello posto nel retro del bancone. C'erano solo quattro persone sedute e intente a bere birra quindi Akito non si preoccupò minimamente di iniziare il suo turno di lavoro.
John incrociò le braccia e le appoggiò sul bancone, non troppo lontano dal suo amico.
«E cosa voleva farti vedere di così interessante?» gli domandò, ammiccando con lo sguardo a chissà quale pensiero perverso. Nonostante tutto però, Akito non sembrò raccogliere la battuta e se possibile il suo sguardo si incupì ancora di più.
«Piantala John, non ho voglia di scherzare.» brontolò spazientito.
«Ma perché devi rispondere sempre così Acchan? Ti ho fatto una domanda, potresti essere più gentile ogni tanto.» lo ammonì, prendendo poi uno straccio umidiccio per lanciarglielo in faccia.
Ma nemmeno quel gesto sembrò riportare il sarcasmo di Hayama in auge. John allora sbuffò, considerando l'idea che ci fosse sotto qualcosa di più serio.
Akito si sedette su uno degli sgabelli, oltre il bancone dove era invece appoggiato John, e si spillò una birra da solo.
«Mi ha fatto vedere una scuola di karate.» disse semplicemente, prima di bere un sorso della sua birra.
«Oh, quindi gliene hai parlato?»
«Tu non la conosci, è insistente. E poi sei stato tu a raccontarle per primo del riformatorio, o sbaglio?» gli disse, con una punta di rabbia che John notò senza troppe difficoltà. Ma come l'aveva notata così l'aveva ignorata, quindi rifletté su un altro aspetto della faccenda.
«Be' sì, in effetti c'era da aspettarselo. Ma se non avessi voluto parlargliene, sono convinto che non l'avresti fatto. E dimmi, com'è andata con la scuola di karate?»
«Male. Le ho detto che non mi interessa e che non deve intromettersi nella mia vita perché non siamo amici.»
«Per la miseria Acchan, sei veramente un animale!» lo sgridò John, colpendolo nuovamente con lo strofinaccio fradicio. Questa volta Akito ebbe finalmente una reazione e gli lanciò un sottobicchiere di cartone, centrandolo dritto sul naso.
«Ma che vuoi eh? Ma perché non ve li fate tutti gli affari vostri?» disse in preda alla rabbia. In realtà John sapeva perfettamente che lui si era pentito di quel gesto istintivo. L'unica cosa che ancora non gli quadrava era il motivo di tanto astio verso il gesto di Sana.
«Sì sì, certo. Mi spieghi perché l'hai trattata così invece?» gli domandò, non curandosi minimamente della domanda di Hayama.
«Perché non mi interessa il karate.»
«Ah no?» gli domandò, avvicinandosi lestamente ad Akito.
«Non mi interessa l'elemosina di una ragazzina che non capisce nemmeno lontanamente quanto dura può essere la vita.»
«E tu che ne sai che non lo capisce? Non è mica stupida.»
«Credimi, non ne ha idea. Ha avuto una vita facile, probabilmente aiutare quelli come me la fa sentire bene con la coscienza.»
«È questo quello che pensi davvero di Sana?»
A quella domanda, posta in modo decisamente duro e arrabbiato, Hayama non fiatò. Allora John interpretò il gesto come una tacita risposta affermativa e indurì il volto, questa volta in modo tutt'altro che ironico.
«Allora hai fatto bene a dirle che non siete amici, perché sei un idiota. Ed è meglio per lei non averti affatto nella sua vita.»
Akito sgranò gli occhi perché il tono di John si era fatto improvvisamente duro e forse si rese conto di aver parlato senza pensare.
«Non intendevo dire questo. Cioè sì, ma non in questo modo.»
Allora John si calmò e sospirò, appoggiando la testa sul palmo della mano.
«Tu sei un idiota, perché non capisci che quella ragazza è stata in grado di farti guardare in faccia il tuo passato. A quante persone avevi raccontato la tua storia, eh? Con quante persone ti sei sentito libero di poterlo fare? Per una volta pensaci, brutto orso che non sei altro. E ora fila a lavorare prima che ti licenzi davvero.» concluse, raggiungendo poi una coppia seduta al tavolo che lo aveva appena chiamato con un gesto del braccio.
E Hayama pensò che la donna seduta proprio al tavolo di fronte a lui aveva gli stessi capelli di Sana. E si sentì ancora più confuso.

***

Quando Sana tornò a casa sua, per la seconda volta in un solo giorno sentì che le forze la stavano abbandonando e si lasciò cadere sul suo letto a baldacchino, sospirando pesantemente. Non si era tolta nemmeno il cappotto di dosso e se non avesse acquisito dalla nascita l'abitudine di sfilare le scarpe nel genkan all'ingresso di casa, probabilmente avrebbe avuto addosso anche quelle.
Quando Hayama si era fermato con la moto davanti al cancello di casa sua, lei non aveva detto nemmeno una parola e lo aveva salutato con un semplice gesto della mano. E lui aveva fatto lo stesso.
Si toccò il viso trovandovi tracce delle lacrime che aveva versato proprio durante il tragitto di ritorno da quella sua missione fallimentare. Possibile che non avesse capito nulla di quel ragazzo, e che tutti i suoi tentativi di aiutarlo fossero stati in realtà solo degli inutili capricci da parte sua? Forse Shin aveva ragione, forse avrebbe dovuto smetterla di volersi prendere cura delle persone in difficoltà, semplicemente perché nessuno glielo aveva chiesto. E inevitabilmente pensò ancora una volta a quando aveva cercato di aiutare quel senzatetto alla stazione centrale di Tokyo, ripensò ai continui rimproveri di Gomi e al suo "te l'avevo detto" quando, dopo qualche giorno quel senzatetto era semplicemente scomparso dal suo rifugio improvvisato, forzandola ad ammettere a se stessa e al suo ragazzo che evidentemente il suo aiuto non era stato nemmeno apprezzato.
Ma era veramente quello il motivo per cui si era tanto impegnata a cercare una scuola di karate adatta ad Hayama? Voleva davvero soltanto aiutarlo a ritrovare il sorriso?
Sbuffò pesantemente, ripensando alle sue mani sul suo viso e alle sensazioni che aveva provato in quel momento, quando il suo cuore aveva iniziato a battere così forte. Ma i suoi pensieri ebbero vita breve, perché il suono del cellulare la riportò alla realtà.
«Fuka?» rispose leggermente titubante, ma cercando di far trasparire un'aria serena che, tuttavia, non sentiva affatto appartenerle in quel momento.
«Ciao Sana, come stai?»
«Bene. Tu?»
«Sono al settimo cielo. Scusami se non ti ho raccontato nulla, avrei tanto voluto dirti che io e Akito ci stiamo frequentando seriamente. Ma lui mi sembra così riservato...»
A quelle parole Sana scattò in piedi dal letto e iniziò a girovagare per la stanza. Sentì nuovamente quella sensazione di vuoto nello stomaco e il cuore riprese a battere un po' più forte. Nella sua testa rimbombarono soltanto quelle parole, appena espresse da Fuka, e quasi non riusciva a pensare ad altro se non a quella frase: io e Akito ci frequentiamo seriamente. Seriamente.
Ma cosa diavolo stava facendo? Pensava così spesso ad Hayama ormai, che le sembrò quasi di vedere la scena di Fuka che le raccontava proprio della sua storia con il ragazzo dall'esterno, come se lei non ne fosse minimamente coinvolta. Inoltre come avrebbe potuto spiegare alla sua migliore amica quella profonda tristezza che provava al pensiero di quello che lui le aveva detto, a proposito del fatto che non erano affatto amici e che i suoi sentimenti, probabilmente, correvano su un unico binario?
«Non preoccuparti... sono contenta per voi.» disse, sforzandosi di sembrare felice. In realtà si sentiva anche peggio di prima.
«Ma ormai lo sai, ci avete visti, quindi posso raccontarti tutto nei minimi dettagli. Ci vediamo più tardi?»
«Ehm, scusami ma ho davvero tanto da studiare. Sai le lezioni sono davvero complicate e ho tante cose da fare...» e inevitabilmente pensò al lavoro che avrebbe dovuto svolgere proprio insieme ad Hayama e alla reale possibilità che i loro incontri, data l'evoluzione del loro non-rapporto, si sarebbero interrotti definitivamente.
«Certo, capisco. Allora te lo racconto per telefono.» propose lei, euforica. Sana non riuscì a divincolarsi da quella situazione e ascoltò il minuzioso racconto di Fuka, dal momento in cui lui l'aveva sorprendentemente invitata alla festa all'Old Boy, alla risposta di lei felice e desiderosa di rivederlo, magari anche prima della festa. Fuka le raccontò che in quella settimana si erano visti praticamente tutti i giorni e che lui, spesso, aveva saltato le lezioni per andare a prenderla all'università. Avevano pranzato insieme sul prato del suo campus la prima volta che si erano visti, e lui le aveva portato un bento, acquistato in un negozio non troppo lontano. Fuka si era lamentata perché quel bento era, secondo lei, il peggiore mai mangiato, ma era ugualmente felice del fatto che lui fosse stato così carino da pensare di portarle il pranzo. Nonostante tutto però, il suo unico rammarico era dovuto al fatto che lui non le avesse raccontato praticamente niente di sé è della sua vita. Avevano parlato dell'università, per meglio dire era stata lei a parlare e basta. Poi erano stati al cinema, al ristorante, dove lei aveva scoperto la sua incredibile passione per il sushi e, infine, a casa sua. Lei le raccontò del piccolo appartamento in cui lui viveva da solo, da più di un anno, cosa che aveva scoperto lei mettendo insieme le uniche due frasi che lui le aveva rifilato e del fatto che, nonostante l'atmosfera, non era successo nulla tra loro. Aggiunse che la cosa non la infastidiva, perché era convinta che lui volesse aspettare il momento giusto. Ma c'erano stati dei baci, e la ragazza decantò le sue doti di baciatore perché, se apparentemente Akito sembrava essere duro e insensibile, il suo modo di baciarla era così dolce e delicato che la lasciò quasi interdetta.
«A dire la verità mi aspettavo che fosse molto più passionale. Non so perché, ma credevo che Akito fosse uno di quelli che non ti lascia nemmeno respirare e invece è dolce e carino. Non che la cosa mi dispiaccia... ma mi stai ascoltando?»
Durante tutto il racconto Sana si era afflosciata su se stessa e nel momento in cui Fuka le fece quella domanda, lei si trovava ormai distesa sul pavimento, con la faccia affondata nelle fredde lastre di ceramica e il telefono appoggiato all'orecchio, tra il viso e il pavimento.
«Sì, certo. Ti ascolto.» disse, non troppo convinta. Le sembrò di non avere via d'uscita, se non accettare il fatto che il racconto di Fuka l'aveva resa immensamente triste. E si sentì una pessima amica perché, a conti fatti, avrebbe invece dovuto gioire per la felicità di quella che considerava una sorella.
«Ok, comunque ci siamo sentiti poco fa.»
Solo allora Sana scattò in piedi, ricordando il fatto che fino a poco prima Hayama fosse insieme a lei. E si sentì scoperta.
«Sul serio? Perché?»
«Be' non lo so. È stato lui a chiamarmi e dirmi di non poter venire domani al campus e che ci vedremo direttamente alla serata al locale, che in effetti è dopodomani.»
«Già, è vero.» disse pensierosa.
«Allora ci vediamo Sana, vengo da te prima della festa?»
«Oh no scusami, ma andrò da Shinichi quel giorno. Ci vediamo direttamente all'Old Boy, tranquilla.» le rivelò, nonostante avesse deciso solo in quel momento di disertare anche la loro consueta abitudine di vedersi prima di ogni evento. Il tono della risposta di Fuka non le sembrò particolarmente deluso e, una volta terminata l'organizzazione dell'evento, si salutarono con la promessa di vedersi al locale di John.
Dopo quella telefonata Sana decise di non pensare più ad Hayama, né alla sua storia, né a ciò che aveva provato nelle ultime settimane, da quando lo aveva conosciuto. Decise che il modo migliore per dimenticare tutto fosse evitarlo come la peste e fare in modo che Fuka vivesse la sua storia, senza venire a conoscenza di tutto ciò che stava intercorrendo nella sua testa.
Si disse che quello che stava provando era sicuramente dovuto al fatto di aver conosciuto qualcuno di così diverso da lei, che aveva avuto una vita difficile e, proprio come aveva detto Gomi, la sua era solo una fissazione, perché non riusciva a non aiutare qualcuno in difficoltà.
Oltretutto, lo stesso Hayama le aveva chiaramente detto che la sua amicizia non gli interessava. Lo avrebbe evitato e tutto sarebbe tornato come prima di conoscerlo. Decise di marinare le lezioni per qualche giorno, così da non aver nessuna possibilità di averci a che fare da sola e si sentì più tranquilla al pensiero di quel nuovo piano che prendeva forma nella sua testa.
Tuttavia, malgrado la sicurezza che lei stessa cercava di auto-trasmettersi, non potette fare a meno di sentirsi comunque triste e guardò fuori dalla finestra, con la speranza di intravedere una stella tra un mare di nuvole che riempivano il cielo.

***

E come si era ripromessa, Sana saltò tutte le lezioni in programma per i successivi due giorni prima della festa. Non aveva idea se anche Hayama avesse fatto lo stesso, ma ogni volta che se lo chiedeva, cercava di scacciare via il suo pensiero e l'immagine del suo viso dalla sua testa. Inoltre, proprio come aveva detto a Fuka, il pomeriggio della festa si era recata a casa di Gomi, evitando qualsiasi tipo di sorpresa.
Mentre lei cercava di sistemarsi i capelli che sembravano avere vita propria quel giorno, Gomi la osservava guardarsi allo specchio comodamente sdraiato sul letto della sua stanza.
«Secondo me dovresti lasciarli sciolti sulle spalle.» commentò, con un sorriso dolce che lei riuscì ad intravedere dallo specchio. Gli restituì un sorriso che la fece sentire stranamente a disagio.
«È quello che farò probabilmente. Non riesco a fare una piega decente oggi.» rifletté, con il cuore leggermente in subbuglio. Il pensiero di rivedere Hayama, dopo quello che era successo, la rendeva estremamente nervosa, allora cercò di concentrare l'attenzione sui suoi capelli per evitare che Gomi sospettasse qualcosa.
«Ma guarda che così sei bellissima.» le disse, avvicinandosi poi a lei e cingendole la vita. Sana sussultò, rivolgendogli un sorriso nervoso. Sentì il suo viso così vicino, il suo respiro sul collo prima di percepire le sue labbra poggiarsi proprio in quel punto, come aveva sempre fatto negli ultimi anni.
Allora lei si girò verso di lui e gli posò un fugace bacio sulla guancia, sperando che si accontentasse in quel momento, ma lui le rimandò un sorriso confuso quando lei si divincolò da quell'abbraccio.
«Che ti prende?» domandò lui, leggermente stranito.
«Si farà tardi, Fuka a breve sarà già lì.»
«E che ci importa di Fuka? Non c'è il suo ragazzo al locale?» replicò, attirandola nuovamente a sé e cercando di darle l'ennesimo bacio sul collo. Ma quando lei si divincolò per la seconda volta, lui sbuffò pesantemente.
«Sana, ma che hai? Sembra quasi che ti dia fastidio.»
«Ma che dici? Ti ho detto che siamo in ritardo e per una volta vorrei essere puntuale.»
«A me invece sembra che tu non voglia essere toccata. È successo qualcosa?»
«Ma no, è che Fuka è nervosa e mi ha pregato di arrivare in tempo.» disse, mentendo spudoratamente.
«Nervosa Fuka? Mi sembra una cosa assurda.» rispose lui divertito.
«E invece è così. Perché non ti fidi ogni tanto?» ma questa volta fu lei a rivolgergli un tono arrabbiato.
«Ma certo che mi fido...»
«A me invece non sembra. Dio Gomi... mi sembri un poliziotto certe volte.»
«Ma che stai dicendo? Da quand'è che voler fare sesso con la propria ragazza è sinonimo di non fidarsi?»
«Non ho detto questo.»
«Ma è ciò che io voglio fare. Chi se ne frega di questa stupida festa. Ci vediamo sempre meno e ogni volta litighiamo. Comincio a pensare che tu lo faccia apposta.»
Sana dischiuse le labbra incredula, ma soprattutto imbarazzata per quell'ennesima scenata da parte di lui.
«Se litighiamo così spesso ci sarà un motivo, no?» replicò lei in tono deciso. Erano settimane che lei e Gomi erano ai ferri corti e, nonostante l'apparente tregua stipulata solo qualche giorno prima, Sana non riusciva a dimenticare i suoi atteggiamenti precedenti. Oltretutto, si sentiva così confusa da non riuscire a capire nemmeno cosa volesse da lui: se fosse contenta sul serio del fatto che lui sembrava aver accettato Hayama, oppure la realtà dei fatti era che ormai la sua testa era presa completamente da altro.
«Bene, dimmelo tu qual è il motivo. Visto che io ormai non ti capisco più.»
«Be', di certo i tuoi atteggiamenti non hanno aiutato a riavvicinarci.»
«Riavvicinarci? Non pensavo fossimo a questo punto. Ti ho ripetuto mille volte che mi dispiace per quello che è successo in queste ultime settimane. Ma se è successo è solo perché ero preoccupato per te.»
«Ed è esattamente questo il problema. Cos'è che ti preoccupava? Il fatto che Hayama potesse farmi del male? O che tu stessi perdendo il controllo su di me?» disse quelle parole di getto, senza pensarci seriamente su. Ma aveva iniziato a sentire dentro di sé uno scalpitante senso di oppressione, come se si trovasse in una gabbia di vetro di cui nessuno possedeva le chiavi e lei era costretta a guardare il mondo intorno a sé andare avanti, senza potervi prendere parte sul serio. Ma la reazione di Gomi non tardò affatto ad arrivare, perché se lo sguardo di Sana era fermo e deciso, quello di lui era semplicemente triste. E quando lei se ne accorse, si pentì subito della durezza del tono usato.
«Tu pensi questo? Che io voglia avere il controllo su di te?»
«Io non lo so più cosa penso...»
«Scommetto che c'entra quel dannato Hayama. Ti ha fatto il lavaggio del cervello, non è così?» disse, stringendo i pungi a seguito di un improvviso impeto di rabbia.
«Ma ti senti? Sei assurdo! Credi che non sia capace di elaborare pensieri miei?»
«La Sana che conoscevo non avrebbe mai detto queste cose.»
«Allora, forse non mi conosci abbastanza.» sussurrò, pensando che probabilmente nemmeno lei conosceva abbastanza se stessa perché Gomi aveva ragione. Fino a qualche tempo prima non avrebbe mai permesso ai suoi pensieri più profondi di venir fuori con così tanto ardore. E invece ormai stentava a comprendersi.
Gomi però fece un profondo respiro e si avvicinò a lei, passandosi le mani tra i capelli.
«Senti, ascoltami. Mi dispiace, non so più in che modo fartelo capire. Ma mi sembra che tu stia fraintendendo le mie intenzioni.»
«Io non lo so, mi sento così confusa.» confessò alla fine arresa, abbassando lo sguardo e anche i toni utilizzati con Gomi.
«Cos'è che ti confonde? L'università? Le lezioni? Il fatto che ci vediamo così poco?»
Sana si morse un labbro, consapevole di dover dare almeno uno straccio di spiegazione al suo ragazzo, che sembrava davvero pendere dalle sue labbra. Ma quando lui si avvicinò a lei, per l'ennesima volta cercando di avvolgerla in un abbraccio, la sua brusca reazione di allontanamento gli fece sgranare gli occhi.
«Sana ma sul serio? Ora non posso nemmeno abbracciarti?» tuonò lui in preda ad una profonda confusione. Si sentiva anche arrabbiato in realtà, perché quella che credeva la donna della sua vita sembrava non volere altro che stargli lontano, a giudicare da come si era svincolata da quel tentativo di abbracciarla.
Sana allora si mise le mani tra i capelli.
«Shin, per favore. Potresti lasciarmi respirare per un attimo?» lo scongiurò, iniziando a sentire davvero una mancanza d'aria nei polmoni. Non si era mai sentita in quel mondo, men che meno con lui, che era la persona più importante. Come era potuto succedere che, all'improvviso, ogni volta che era con Gomi sentisse quell'inspiegabile quanto prorompente bisogno d'aria?
«Ma certo, respira pure. Vai, coraggio. Perché sei ancora qui? Vattene a respirare da un'altra parte.» Replicò lui gesticolando animatamente, in preda ad un attacco di rabbia incontrollata. Probabilmente quella sua richiesta aveva suscitato in lui le stesse emozioni che Hayama gli aveva scatenato la sera della rissa alla festa dell'università. Sana allora prese velocemente la sua borsa e il cappotto senza nemmeno infilarlo, e si avviò verso la porta di ingresso della stanza del suo ragazzo. Lui allora, con un gesto fulmineo, le afferrò un braccio.
«Aspetta, non andartene. Scusami... non ci capisco più niente.» la implorò rimodulando immediatamente il suo tono.
«Ho bisogno d'aria Shin. Lasciami andare, per favore.»
Allora lui aumentò l'intensità della stretta sul suo braccio e lei sgranò gli occhi.
«Dove stai andando?» chiese lui, insistente.
«Lasciami andare, mi stai spaventando così.» disse lei, con uno sguardo impaurito. E quegli occhi sgranati furono sufficienti a far riprendere Gomi da quella specie di trance in cui era piombato.
«Scusami Sana, non volevo... Dio, ma che ci sta succedendo?»
Lei lo guardò con un'espressione colma di tristezza, ma era anche consapevole di non poter più mentire a se stessa. Aveva davvero bisogno d'aria e si sentiva davvero intrappolata in quel momento. E dirgli che non c'era nulla che non andasse o che fosse tutto come prima tra di loro equivaleva a raccontare ad entrambi la più grossa bugia che avesse mai detto. E si sentiva come se non avesse fatto altro negli ultimi mesi della sua vita. Quando Gomi lasciò la presa sul suo braccio, Sana fece un passo indietro verso la porta della sua stanza e nel varcarla gli rivolse un'ultima occhiata piena di confusione e tristezza.
«Io vado da Fuka.» disse soltanto, prima di correre verso l'uscita di casa sua.
Malgrado la profonda tristezza che percepiva invaderle l'anima, l'aria fredda della sera la fece sentire meglio. Tuttavia, cercò ugualmente di trattenere le lacrime con tutta se stessa, per evitare che qualcuno le chiedesse cosa fosse successo, una volta giunta all'Old Boy. Se l'assenza di Gomi poteva essere giustificata con una scusa qualunque, aggiungere anche gli occhi gonfi di lacrime non avrebbe aiutato di certo e di sicuro i suoi amici non si sarebbero accontentati di una banale scusa.
Si strinse nel cappotto pensando che quel vestitino rosso che le arrivava sopra le ginocchia fosse in realtà troppo leggero per la temperatura di quella sera. Ma quando varcò la soglia dell'Old Boy dovette ricredersi e pensò di aver fatto bene, visto il caldo che c'era in quel posto.
Si sentì subito confusa, probabilmente per la musica assordante e la moltitudine di persone che ciondolavano distrattamente tra i tavoli e il bancone. Allora fu proprio in quel punto che focalizzò la sua attenzione, alla ricerca di un viso familiare. E quando incontrò il sorriso di John, si sentì già più serena, nonostante tutto.
«Sana-chan eccoti, finalmente.»
«Ciao John, quanta gente che c'è.» commentò lei, avvicinandosi al bancone. Decise poi di sedersi su uno degli sgabelli completamente ignorati dalle persone che, invece, avevano preferito stare in piedi. Si sfilò il cappotto, restando con su indosso il vestitino rosso che aveva uno scollo notevole dietro la schiena. John continuava a guardarla, nonostante lei non se ne ne fosse accorta, e si domandò cosa fosse successo perché riuscì chiaramente a vedere quanto il suo viso apparisse diverso dal solito.
«Già, per fortuna che mi è venuto in mente di chiamare mia cugina per darci una mano, altrimenti saremmo impazziti.» disse lui, mentre faceva altre cento cose contemporaneamente: prima versò del gin in un bicchiere, poi prese una fettina di lime con una mano mentre con l'altra acciuffò un'altra bottiglia alle sue spalle, versandone un po' nello stesso bicchiere.
Sana si guardò poi intorno, notando la figura esile di una ragazzina dai capelli corti a caschetto, probabilmente più giovane di lei, che girava per i tavoli impacciata alla ricerca di bicchieri vuoti da raccogliere. Tuttavia, l'utilizzo del plurale da parte di John era chiaramente riferito ad Akito che, comunque, sembrava non essere in nessun punto del locale.
«Ho conosciuto la tua amica sai?»
«Ah sì?» domandò lei, sentendosi ancora più nervosa.
«Già, Fuka Matsui. Ti somiglia.»
«È vero, ce lo dicono tutti. Dov'è ora?»
John alzò le spalle, mentre terminava l'ennesimo cocktail che sua cugina avrebbe dovuto portare chissà dove.
«Con Akito. È andato a prendere due casse di birra dal nostro fornitore e lei lo ha accompagnato.» le rivelò, scrutando la sua espressione con la coda dell'occhio, ma stando molto attento a non farsi scoprire da lei. E si convinse del fatto che Sana, oltre il bancone su cui lui stava preparando i cocktail, aveva in viso un'espressione visibilmente delusa.
«Capisco. Spero che non arrivino tardi...» commentò lei, cercando di accompagnare quella speranza con un sorriso spontaneo. Si voltò verso la porta di ingresso in preda al nervosismo, ma quando vide i suoi amici varcare la soglia del locale, invitati anche loro all'evento, si sentì leggermente meglio. Nonostante l'Old Boy avesse rappresentato quanto più vicino ad un posto tranquillo per lei, in quel momento si sentiva persa anche lì.
«Sana, siamo qui.» urlò Hisae dall'altra parte della sala, alzando un braccio e agitandolo per far sì che la sua amica potesse vederli. C'era anche Toshio, seguito da Tsuyoshi ed Aya. Allora Sana pensò che avrebbe dovuto trovare una spiegazione plausibile per l'assenza di Gomi e iniziò mentalmente a vagliare tutte le possibilità più verosimili. Quindi alzò una mano, agitandola per far sì che i suoi amici capissero che li aveva visti.
«Ma dov'è Shin?» domandò puntuale Toshio, notando che la ragazza era sola.
«Credo sia a casa sua.» rivelò semplicemente, arrendendosi alla verità e sperando che non le chiedessero altro. Tuttavia era più che scontato che né Toshio né tutti gli altri si sarebbero accontentati di quella misera frase.
«E perché? È successo qualcosa?» intervenne Hisae.
«Ma no, una piccola discussione.» minimizzò lei, con un sorriso stentato. Dall'altra parte del bancone, John non potette fare a meno di interessarsi a quel discorso e fece qualche passo verso di loro, approfittando di un paio di bottiglie disposte proprio in corrispondenza del gruppo di amici che, a quanto pareva, gli erano proprio necessarie in quel momento.
«Avete litigato? Ma perché?» continuò Aya, disponendosi accanto alla sua amica.
«Ma no, non è niente di grave. Volete bere qualcosa? Lui è John.» disse cercando di dirottare l'attenzione dei presenti su altro che non fosse il motivo dell'assenza di Gomi. E John si voltò all'istante, come se non stesse aspettando altro, e restituì a tutti un enorme sorriso.
«Piacere di conoscervi. Benvenuti nel mio regno.» disse teatrale, allargando entrambe le braccia. Aya sorrise divertita e Hisae sollevò un sopracciglio, rivolgendo poi un'occhiata a Sana.
«Sei sicura che non sia tuo fratello e che non vi abbiano separati alla nascita?»
John a quella battuta scoppiò a ridere, avvicinandosi poi alla ragazza: «Spero che questo sia un complimento. Cosa posso offrirti?» aggiunse poi, suscitando la gelosia di Toshio che mise prontamente un braccio intorno alla spalla della sua ragazza.
«Perché non ci fai assaggiare qualcosa tu?» propose Sana, guardando John con uno sguardo di supplica. Sperò con tutta se stessa che il ragazzo capisse che stava cercando di trovare un modo per uscire da quella situazione.
«Oh, c'è Fuka.» esclamò Aya guardando verso la porta d'ingresso. Sana sapeva che insieme a lei doveva esserci anche Hayama e quando decise di voltarsi verso il punto indicato da Aya e gli altri, sentì il suo cuore battere un po' più forte.
Quando lo vide pensò immediatamente all'ultima volta in cui aveva avuto a che fare con lui, precisamente il momento in cui le aveva ribadito di non essere affatto amici e che lei doveva farsi semplicemente gli affari suoi. Mentre si avvicinava, reggendo una grossa cassa di birre tra le mani, notò che anche lui stava guardando nella loro direzione e per un istante pensò che il suo sguardo si fosse fermato proprio su di lei.
Fu il braccio di Fuka che si agitava tra la folla a far distogliere l'attenzione di Sana da Hayama.
La ragazza infatti si avvicinò saltellando nei suoi jeans a zampa, una camicia scura annodata in vita, su un paio di tacchi vertiginosi e un sorriso talmente felice che a Sana venne voglia di andare semplicemente via da quel posto.
«Ragazzi, ce l'avete fatta! È una vita che vi aspetto.»
«Be', non mi sembravi in cattiva compagnia però.» ammiccò Hisae dandole una leggera pacca sulla spalla. Allora Fuka ridacchiò completamente su di giri perché avrebbe voluto gridare ai quattro venti quanto in quel momento si sentisse felice. Ma quando notò invece che la sua migliore amica era sola e con un'aria decisamente triste in viso, le si avvicinò, scrutandola con apprensione.
«Ma dov'è Gomi?»
«A casa sua... suppongo.» ribadì ancora una volta, cercando di sembrare tranquilla. In quel momento però anche Hayama si era avvicinato al gruppo, e poggiò la cassa di birre sul bancone accanto a John. Fece un cenno del capo nella direzione di Sana ma lei non rispose in alcun modo. Tornò invece a concentrarsi su Fuka.
«Scusami, perché a casa sua? Tutto bene?»
«Abbiamo litigato.»
«Mh, e come mai?»
Sana fece un profondo sospiro.
«È una sciocchezza, vedrai che domani avremo già dimenticato tutto.»
«Sarà come dici, ma è strano non vederlo insieme a te.»
«Già. Ma non ci ucciderà una serata separati.» concluse lei, con un sorriso stentato. Fuka l'abbracciò di getto e lei, d'istinto, guardò verso Hayama che a sua volta non aveva smesso di rivolgerle le sue attenzioni.
Hisae, invece, aveva assistito a tutta la scena dall'esterno e corrugò la fronte, pensando che dietro quello strano scambio di sguardi sembrava esserci qualcosa di molto più profondo di un semplice saluto.
Poi Fuka sciolse quell'abbraccio senza allontanarsi troppo da Sana, iniziò a scrutarla da cima a fondo e lei si sentì di colpo in imbarazzo.
«Ma non sapevi che fosse una festa a tema?» le domandò, prendendo un lembo del suo vestitino rosso tra le dita di una mano.
«Be' sì, ma non pensavo dovessimo travestirci. Non è mica carnevale?» fece lei, sforzandosi di apparire ironica. In realtà il commento di Fuka la fece sentire ancora più a disagio.
«No ma che c'entra? Se non fossi andata da Shin e ci fossimo viste come al solito, ti avrei aiutata a scegliere qualcosa di più adatto. E magari voi due non avreste nemmeno litigato.» affermò con sicurezza, mentre Sana invece cercava di nascondere l'imbarazzo mettendosi una mano tra i capelli e portando qualche ciocca dietro un orecchio. Fece poi un sorriso nervoso: «Hai ragione, avrei dovuto ascoltare i tuoi consigli.» riuscì solo a dire.
«Tranquilla comunque, si aggiusterà tutto. Ragazzi perché non andiamo a ballare?» propose poi, una volta lasciata la presa su Sana.
«Sì buona idea, non ho voglia di bere per adesso.» aggiunse Toshio, visibilmente irritato per la presenza di John e per la sua battuta ad Hisae.
«Io invece vorrei prima bere qualcosa. Vi raggiungo tra poco.» disse Sana, restando incollata sullo sgabello su cui era seduta dal momento in cui aveva messo piede nel locale.
Quando i suoi amici si allontanarono, lei si voltò verso John che le sorrise di rimando.
«Posso fare io?» le domandò.
«Ti prego.» rispose lei, rilassando le spalle.
Ma in quel momento Hayama fece qualche passo verso di lei appoggiandosi poi al bancone e incrociando le braccia al petto. Lei scrutò i suoi movimenti in un religioso silenzio.
«Ciao Kurata.» disse lui, semplicemente, rivolgendo lo sguardo al centro del locale dove tutti ormai erano intenti a ballare al ritmo della musica scelta da John. Questi aveva preparato una play list apposta per la serata e aveva deciso di iniziare con qualcosa di molto classico e quindi le note di I don't want to talk about it di Crazy Horse riecheggiarono per tutto il locale. Nessuno dei presenti si curò minimamente del ritmo lento della canzone che ebbe il potere di riscaldare la serata, mettendo tutti a proprio agio, ognuno con il proprio bicchiere tra le mani. Anche gli amici di Sana si stavano ambientando perfettamente, prendendo in giro Aya e Tsuyoshi che, come al solito, si muovevano lentamente cercando di seguire le note, ma badando bene a stare appiccicati l'uno all'altra.
Sana invece alzò lo sguardo verso Hayama, pensando ironicamente che le parole di quella canzone, almeno le uniche che riusciva a capire, fossero stranamente azzeccate alla situazione creatasi con lui.
«Ciao.» rispose laconica al suo saluto.
«Come te la passi?»
«Alla grande.» enfatizzò con un sorriso finto come il parquet del locale.
«Bene.» commentò lui
«Bene.» sottolineò lei
«Bene... e questo è per te Sana.» disse John, mentre lei osservò le sue braccia intromettersi tra sé e Hayama. Scrutò il bicchiere colmo a metà di qualcosa di non ben identificato, ma questa volta trasparente come l'acqua.
«Cos'è?»
«Tequila, Fortaleza. Direttamente dal Brasile solo per te, Sana-chan.»
Hayama alzò lievemente gli occhi al cielo quando la ragazza afferrò il bicchiere e lanciò un sorriso complice a John dietro il bancone. Poi osservò lei mandare giù il contenuto trasparente del bicchiere tutto d'un fiato, notando che gli occhi le si erano riempiti subito di lacrime, probabilmente a causa del sapore troppo forte della tequila.
«Be', che te ne pare?» domandò John, fiero della sua scelta.
«Caspita se brucia.» osservò la ragazza, poggiando il bicchiere vuoto sul bancone e massaggiandosi la gola.
Intanto la musica era cambiata e nella testa di Sana iniziarono a rimbombare note completamente sconosciute, assoli di chitarra per quanto riuscì a comprendere, ignorando il fatto che si trattasse di Neil Young che cantava Down by the river, una delle canzoni preferite di John.
«Quella è la prima impressione.» commentò quest'ultimo con un sorrisino e stringendo a sé la bottiglia di tequila. Sana, allora, gli porse il bicchiere ormai vuoto insieme ad un'espressione di supplica.
«Allora ti piace.» constatò il barista, versandole prontamente dell'alcol riempiendole il bicchiere. Poi fece la stessa cosa per sé, rivolgendo infine la bottiglia ad Hayama.
«Brindiamo?»
«A cosa?» rispose lui, corrugando la fronte.
«Alla prima cosa che ti viene in mente Acchan.» fece lui, suscitando una leggera risata in Sana.
«Non chiamarmi così. Comunque no, grazie. Magari uno di noi qui dovrebbe restare sobrio.» disse, rivolgendo poi un'occhiata fugace alla ragazza.
John alzò gli occhi al cielo, prima di alzare il bicchiere avvicinandolo a quello di Sana.
«Dovresti godertela un po' di più la vita Akito.» e dicendo questo, mandò giù l'intero contenuto del bicchiere, seguito a ruota da Sana.
L'impatto del secondo assaggio di tequila ebbe su di lei un effetto devastante, perché se il primo le aveva provocato solo un forte, iniziale, bruciore alla gola, il secondo fece un giro molto più lungo, arrivando dritto al suo cervello. Si sentì girare la testa per un istante e chiuse gli occhi. In quel momento fu come se la musica arrivasse alle sue orecchie amplificata di qualche decibel in più e, prima che riuscisse ad accorgersene, il suo corpo in tensione si stava lentamente sciogliendo. Come neve al sole.
«Wow, credo che se ne bevessi un altro potrei iniziare a ballare direttamente sul bancone.» disse, scostandosi i capelli dal collo con un gesto repentino della mano. Iniziava a sentire già incredibilmente caldo.
E come se lei avesse appena emanato un ordine, il braccio di John si piegò nuovamente per far sì che il suo bicchiere fosse ancora una volta stracolmo.
«Guarda che non si beve così.» intervenne Hayama, poggiando una mano sul bancone, a pochi centimetri dal bicchiere di Sana.
«Ah no? E come si beve, sentiamo?» replicò lei, leggermente infastidita.
«Non come una ragazzina, che vuole solo andare fuori di testa.»
«Tu che vuoi? Magari è quello che voglio fare, no?» replicò, stringendo in una mano il suo bicchiere di tequila, come a volerlo proteggere da una sua ipotetica incursione nel suo nuovo potere decisionale.
«Fa' come ti pare. Questa volta però non contare su di me per tornare a casa.» concluse lui accigliato, tornando ad incrociare le braccia al petto. Allora Sana fece un piccolo salto dallo sgabello su cui era seduta, restando in bilico per qualche secondo, per poi fare un passo verso di lui. Quel gesto improvviso sorprese il ragazzo che, probabilmente, non si aspettava quella reazione. Allora la seguì con lo sguardo, mentre lei si metteva proprio davanti a lui, continuando a custodire gelosamente la tequila tra le dita di una mano.
«Non mi sembra di averti chiesto un passaggio. Se lo vuoi sapere sei l'ultima persona a cui lo chiederei.»
«Non mi sembravi della stessa idea qualche sera fa.»
«E tu non mi sembravi uno stronzo qualche sera fa.» concluse di getto, guardandolo negli occhi per un lungo istante. La sua mente percorse gli avvenimenti dei giorni precedenti e, soprattutto, il suo pensiero andò a Fuka, ignara di quello strano diverbio che stava avendo luogo. Allora, si voltò di scatto e fece un passo verso il centro del locale. Poi, si mise una mano in testa, fermandosi per qualche secondo. Si sentì leggera e il corpo barcollante.
Decise che quella sensazione non era abbastanza forte per alienarsi da tutte le emozioni che la stavano invadendo, allora mandò giù il bicchiere d'un fiato prima di poggiarlo sul bancone.
Hayama la osservò raggiungere i suoi amici, barcollante, e sbuffò pesantemente.
«Sei un idiota. Ma un grosso idiota. Ma che cazzo ti dice il cervello, eh?» intervenne John, che aveva assistito a tutta la scena, indeciso se impedire o meno al suo amico di continuare a parlare, con un pugno dritto sul naso.
«Senti non cominciare a...»
«Invece comincio eccome», lo interruppe John. «Sei un coglione che non riesce a fare altro se non rispondere in quel modo, quando qualcuno ti mette con le spalle al muro. Sei un adulto ormai, comportati da tale.» lo ammonì, sbattendo uno straccio sul ripiano del bancone. Certe volte Akito lo faceva veramente arrabbiare e avrebbe tanto voluto tanto prenderlo a sberle in faccia.
«Ma che stai dicendo? Lei non mi mette affatto con le spalle al muro...»
«Oh sì, invece. La sua sola presenza è sufficiente affinché tu ti senta completamente disamato. E non dire che non è così, Acchan
Hayama restò interdetto per qualche secondo, indeciso su cosa dire al suo amico che sembrava fin troppo convinto delle sue osservazioni.
«E chiudila quella bocca, che sta arrivando la tua ragazza.» disse, indicando un punto indistinto del centro del locale con un cenno del capo.
«Non è la mia ragazza.» precisò, dopo aver rivolto una fugace occhiata a Fuka che, effettivamente, stava saltellando sorridente nella sua direzione.
«Be', quello che è. Stai facendo una marea di cazzate, lasciatelo dire.» concluse, buttandosi lo strofinaccio sulla spalla prima di allontanarsi da lui. Hayama lo seguì con lo sguardo ma poi, quel movimento fu interrotto da una leggera pressione che sentì all'altezza di un braccio.
«Non vieni a ballare?» gli chiese Fuka, continuando ad accarezzargli un braccio. Hayama si sentì leggermente a disagio per quel contatto fisico sbandierato ai quattro venti, proprio nel locale in cui lavorava e, soprattutto, davanti a tutta quella gente.
«Devo lavorare.» tagliò corto, cercando allo stesso tempo di non essere troppo brusco nel fornirle la risposta a quella domanda. Non aveva nessuna intenzione di intavolare l'ennesima discussione sui suoi modi e sugli atteggiamenti che stava avendo. Si sentiva abbastanza irritato e non aveva alcun bisogno di qualcuno che giudicasse le sue azioni, mandandolo ancora di più in confusione. Spostò lo sguardo verso il centro del locale dove c'era Sana, con i suoi amici, che ballava senza seguire un vero e proprio ritmo. La osservò mentre le pieghe della gonna seguivano i movimenti del suo corpo e si domandò perché quella scena fosse così ipnotizzante. Perché non riuscisse a staccare gli occhi da quella ragazza, dal suo corpo che si muoveva seguito dalla stoffa morbida della gonna che si piegava, e poi si sollevava quando lei muoveva le gambe, e scompariva quasi quando faceva una giravolta un po' troppo goffa. Avrebbe voluto sorridere, se Fuka non fosse stata lì a due passi da lui e una parte di se stesso avrebbe voluto raggiungerla e osservarla da più vicino, perché tutta quella gente che si stava mettendo tra lui e quella gonna svolazzante gli stava provocando un tremendo fastidio. E fu la voce di Johnny Cash, che cantava Ring of fire, insieme a quella di Fuka, a distogliere la sua attenzione dal centro del locale.
«Credo che sia ubriaca.» aveva appena detto, raggiungendo con lo sguardo lo stesso punto osservato da Hayama. Lui allora si voltò di scatto verso di lei con uno sguardo confuso.
«Sana. Credo che sia ubriaca... ha detto che John le ha dato della tequila. Sono un po' preoccupata sai? Penso che lei e Shinichi abbiano litigato sul serio.»
Ma Hayama non aveva nessuna intenzione di parlare di Sana con Fuka e, all'improvviso, capì le parole di John di poco prima. E si sentì un perfetto idiota.
«Non lo so, mi dispiace ma ora devo andare da John. Ha bisogno di una mano qui.» disse, indicando il bancone che si era improvvisamente riempito di persone.
«Oh sì certo. Va' pure.» replicò lei, con un debole sorriso. Fuka si sentiva a disagio, nonostante Hayama le piacesse sul serio. E quella sensazione era rimasta cementata nell'abisso della sua coscienza perché, nonostante la sua schiettezza e il coraggio che aveva mostrato in più di un'occasione, non era riuscita a rivelare a nessuno quella sensazione. Probabilmente perché quella confessione avrebbe implicato l'ammettere a voce alta una serie di dubbi che sperava con tutta se stessa, non diventassero certezze.
Poi Hayama si allontanò per raggiungere John dietro il bancone del locale, e lei sospirò considerando l'idea di bere qualcosa di molto forte.
Ma se Fuka era completamente concentrata sui suoi sentimenti verso Hayama, quest'ultimo invece proprio non riusciva a trovare la concentrazione giusta per poter lavorare. Aveva aperto lo sportello della lavastoviglie, fissandolo per qualche secondo di troppo, domandandosi perché lo avesse fatto visto che l'elettrodomestico era completamente vuoto. Allora sbuffò, e lo richiuse pesantemente, appoggiando le mani sul bancone.
«Ti serve una mano?»
Quella voce lo distrasse finalmente dalla sua mancanza di concentrazione e si voltò, trovandosi la cugina di John, Akane, che con un grosso vassoio pieno di bicchieri vuoti lo guardava confusa.
«Come?»
«Ho detto: ti serve una mano?»
«Ah... no, tranquilla. Qui me la cavo da solo.»
La ragazza gli girò intorno e poggiò il pesante vassoio sul bancone del bar. Iniziò poi a riempire la lavastoviglie di bicchieri sporchi e sorrise, divertita, scrutando il ragazzo di sottecchi.
«Che c'è?» le domandò Hayama, leggermente infastidito.
«Niente. È che non mi sembra che tu te la stia cavando alla grande.»
Lui allora pensò che quella ragazzina fosse diventata decisamente insolente con i suoi sedici anni suonati, e si domandò quand'è che aveva acquisito tutta quella scioltezza nell'essere così sicura di qualcosa sul suo conto.
«E invece ti sbagli.»
«Guarda non verrà lei da te, anche se la fissi in quel modo per tutta la vita.»
A quelle parole, Hayama non potette fare a meno di tossire perché gli sembrò che l'ossigeno di cui aveva bisogno fosse venuto improvvisamente a mancare, ma allo stesso tempo, ne aveva respirato una quantità eccessiva e sgranò gli occhi, guardando la ragazzina che trafficava ancora con i bicchieri.
«Ma che dici? Io non fisso proprio nessuno.»
«Sì certo. E io sono alta un metro e settanta.» commentò ridendo, defilandosi con il vassoio vuoto tra le mani.
Allora Akito si guardò intorno, cercando Fuka e assicurandosi che fosse tornata dai suoi amici al centro della sala. Poi il suo sguardo si interruppe nuovamente su Sana.
E di nuovo si sentì un perfetto idiota.

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