Lizzie Bennet

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Vi direi di saltare la fine.

Ma quasi che non me la sento.


Tancredi stava ancora dormendo.
Mi ero svegliato relativamente presto quella mattina, considerato quanto poco avessimo dormito la notte prima. Avevo ordinato la colazione, e mi ero sistemato sul balconcino della stanza e godermi la vista, soprattutto considerato che il giorno dopo saremmo tornati a Milano e non avevo idea di quando sarei potuto tornare.

Mentre il sole mi scaldava la pelle, lasciai la testa vagare ai ricordi della notte prima. Al modo in cui mi aveva guardato e parlato. All'eccitazione che mi suscitava ogni volta che mi sfiorava. Alla sensazione che avevo provato quando finalmente era entrato dentro di me.

Avevo dovuto aspettare un po', non solo perché dopo tanto tempo che non lo facevo l'inizio fosse oggettivamente doloroso, ma anche perché era stato talmente travolgente, talmente destabilizzante sentirlo così vicino che avevo avuto bisogno di tempo per placare il cuore.

Poi ricordai quello che gli avevo detto.

Ti amo.

Cioè, se mi fossi impegnato nel cercare delle parole più sbagliate da dire a Tancredi, probabilmente non avrei potuto fare di meglio.

Quello reagiva a relazioni e sentimenti come avrei reagito io davanti a un ragno, se non peggio. E io che facevo? Gli confessavo un amore del quale non ero neanche sicuro?

La finiamo?

Okay. Okay va bene. Ne ero sicuro.

Ero innamorato di lui.

Va bene. Non è che fosse sta tragedia. A tutti capita di sbagliare e io avevo questo hobby di invaghirmi sempre delle persone più sbagliate. E poi, non avevo temuto sin dall'inizio che sarebbe finita in questo modo?

Finché lo avessi negato a me stesso e a lui, però, avrei potuto mantenere una parvenza di controllo sul nostro rapporto. E invece no. Io dovevo per forza finire con il blaterare sentimentalismi e smascherarmi. Non potevo essere uno di quelli che mentre fa l'am- mentre scopa dice maialate. No. Io per forza le dichiarazioni d'amore dovevo fare.

Oh no. Hai detto anche quelle se ti consola.

Ad ogni modo. Non volevo avere quel confronto quella mattina. Già potevo immaginare il disagio che avrei provato. Lui avrebbe riso di me, o si sarebbe arrabbiato o peggio gli avrei fatto pena.

Girai appena la testa lanciando uno sguardo al letto. Stava ancora dormendo.

Forse sarei potuto scappare mentre ancora dormiva. Gli avrei lasciato un biglietto con scritta su una scusa qualsiasi tipo che avevo dovuto raggiungere mia madre per un'emergenza o che mi avevano chiamato urgentemente dall'agenzia.

Ma perché non "Ho dimenticato il forno acceso" o "Mi ha chiamato Mattarella per propormi la guida del nuovo governo"?

Scossi la testa per cancellare quel pensiero.

Oh mio dio.

Stavo davvero considerando di scappare come un ladro il giorno dopo?

Stavo diventando Tancredi. Mi stavo trasformando in lui. Chi lo sapeva che essere degli stronzi pezzi di merda fosse una malattia sessualmente trasmissibile.

No. No. La cosa migliore era fare il vago. Avrei aspettato che si svegliasse e mi sarei comportato come se niente fosse. Certo, lui il giorno prima sembrava voler affrontare l'argomento ma magari gli sarebbe passato di mente o lo avrebbe liquidato come una cosa da niente. D'altronde non conveniva anche a lui fingere di non avermi sentito?

Tutte le volte che ti ho detto di noDove le storie prendono vita. Scoprilo ora