Come Roma

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Ero al centro di una stanza vuota.
Sentivo delle voci intorno a me ma non riuscivo a vedere nessuno. La stanza era buia, c'era solamente una luce puntata su di me dritto per dritto che mi impediva di vedere chiaramente cosa avessi davanti. Io strizzai gli occhi nel tentativo di mettere a fuoco ma l'unica cosa che riuscivo a vedere era una sagoma scura muoversi verso di me.

Solo quando mi arrivò vicinissimo mi resi conto che si trattava di Tancredi.

L: Hey. Che sta succedendo?
Lui non rispose. Si limitò a sorridermi prima di portare una mano alla mia guancia per accarezzarla. Il suo sguardo fisso sulla mia bocca. Io ero confuso, soprattutto per il fatto che non mi stessi scansando e non avessi nessuna intenzione di farlo. Mesi e mesi di resistenze e dubbi sembravano essere stati spazzati via nel nulla. Dentro di me solo la meravigliosa sensazione di essere nel posto giusto, il mio.

L: Tanche?
Lui alzò gli occhi puntandoli nei miei. Non aveva la solita espressione da sbruffone, anzi era dolce e sorrideva di un sorriso che non gli avevo mai visto in faccia. Dolce. Onesto.
T: Sto per baciarti
Lo disse come se fosse normale. No di più, come se fosse giusto. E iniziò ad avvicinarsi prima che io potessi annuire.

E poi la sveglia.

Saltai sul letto come se mi avessero tirato addosso una secchiata d'acqua gelida. Il cuore stava per esplodermi nel petto. Mi guardai intorno confuso, mentre la luce che entrava dalla finestra mi feriva gli occhi. E poi con le dita mi massaggia le tempie, nell'idiota convinzione che quello bastasse per cancellare il sogno che avevo appena fatto. Quello e tutte le sensazioni che avevo provato. Dovevo darmi una calmata. 

E non potevo neanche dare la colpa a Tancredi.

Dopo la festa mi aspettavo che iniziasse a tormentarmi, che facesse battute sulla reazione che avevo avuto nell'averlo così vicino. Avevo addirittura fatto le prove con Cecilia sul come avrei dovuto rispondergli per assicurarmi di essere credibile. Invece lui era stato stranamente tranquillo e silenzioso.
Non potevo dire propriamente che mi ignorasse o che fosse distaccato. Ogni tanto lanciava qualche battuta cretina ma sempre quando c'erano gli altri o se stavamo registrando un video. Il resto del tempo, invece, se ne stava nel suo. Usciva più di frequente e non aveva mai cercato di braccarmi da solo da qualche parte.

Non ero certo di sapere cosa provassi in proposito.

Sapevo di dover essere sollevato, soprattutto considerando i sogni che mi stavano tormentando la notte. Dopo quella sera ero sceso a patti con il fatto che, in qualche angolo remoto del mio subconscio, Tancredi non mi fosse indifferente e mi ero ripromesso mettere un freno a quel desiderio che sembrava cogliermi ogni volta che lui si avvicinava troppo. Quindi la sua decisione di diminuire drasticamente i tentativi di approccio mi faceva gioco. Mi rendeva le cose estremamente più facili.
Però non potevo neanche negare di essere un po' deluso. Insomma lui era popolare, anche troppo, e il fatto che mostrasse tutto quell'interesse nei miei confronti mi aveva lusingato. E poi, per quanto fastidioso, il suo provarci continuamente rendeva le cose interessanti in casa. Il non sapere cosa avrebbe fatto o detto, il non sapere se mi avrebbe toccato, mi faceva sentire come fossi sempre sulle spine. Una sensazione contemporaneamente spiacevole e piacevole. Quando aveva smesso tutto era diventato un po' più noioso.
Ma comunque non abbastanza da convincermi a fare qualcosa, come un passo nella sua direzione. Non potevo alimentare il genere di sensazioni che provavo. Non mi sarei volontariamente esposto a una situazione di quel tipo. Mi conoscevo io e avevo capito lui.
Io ero il classico tipo che si affezionava, lui il classico stronzo che dopo essersi fatto un giro tanti saluti.
Quindi, che piacesse o no alla mia zoccoletta interiore, avevo solo una scelta: smettere di pensarci.

Tutte le volte che ti ho detto di noDove le storie prendono vita. Scoprilo ora