Capitolo 7: Haley

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Durante il viaggio avevo perso completamente la cognizione del tempo; ora che invece sono su questo taxi, mi rendo conto che la città è ancora sveglia, e che mi resta qualche ora per viverla.

Me ne sto seduta sui sedili posteriori, le mani intrecciate in grembo e lo sguardo perso fuori dal finestrino, sperando di catturare ogni particolare e di farlo mio.

Questa è la città dove Arya ha deciso di rifugiarsi, lontana da me, lontana da tutti, lontana dal suo dolore.

Ha vagato per queste vie chissà quante volte, senza poter mai immaginare che un giorno l'avrei fatto anch'io.

Ogni volta che il taxi riparte, dopo essersi fermato ad un semaforo, l'ansia cresce a dismisura. Il cuore continua a battere nel petto, facendo un gran caos nei miei pensieri.

Denver è trafficata quasi quanto Phoenix. Ma è cosi diversa... non so come abbia fatto a non sentirsi persa, qui, tutta sola, all'inizio.

Ma in realtà io non posso saperlo; magari le è successo di andare nel panico e di non sapere cosa fare.

Soltanto che io ero distante chilometri e non avrei mai potuto aiutarla.

Ed ora siamo nella stessa situazione, con la differenza che sono quasi arrivata da lei, e sto per vederla dopo un tempo che mi sembra infinito.

Le luci dei grattacieli, le insegne dei negozi, le vie trafficate.

In un'altra situazione, magari, avrei apprezzato di più la città che sto attraversando. Ora non riesco a concentrarmi su nient'altro, se non sulla mia ansia.

Su cosa le dirò precisamente nel momento in cui la vedrò.

Cosa si dice alla persona che ami, quando la rincontri dopo molti mesi, dopo aver sperato di rincontrarla?

Ci sono parole che possono descrivere tutto quello che provo?

Tutto quello che vorrei davvero dirle, mi resta bloccato in gola, come se fossi incapace di parlare.

Proprio come quando l'autista del taxi mi comunica che siamo arrivati e dopo qualche secondo, mi rendo conto di dover scendere dall'auto, di dover pagare e di dover entrare nel luogo dove la mia ex ragazza lavora come cameriera.

« Si, mi scusi. Quanto le devo? » farfuglio, per poi cercare il portafogli nello zaino.

Fortunatamente avevo qualche risparmio da parte; mio padre mi manda sempre qualcosa. È l'unico che si preoccupa di non farmi mancare mai nulla. Non come mia madre, che forse al momento non sà neanche dove mi trovo. E non se lo starà neanche chiedendo.

Il taxi sgomma via nella notte, dopo essersi preso i miei soldi e dopo avermi scaricato sul marciapiede.

È una serata limpida e ventosa.

Mi stringo nella mia felpa viola, per poi guardare l'insegna a neon di questo posto.

È un lurido pub di periferia, che a prima vista si direbbe sia frequentato da barboni e ubriaconi.

Invece, seduti sui gradini della porta d'entrata, ci sono parecchi ragazzi, con in mano bicchieri di plastica blu elettrico.

È qui dentro.

Lo ripeto più volte nella mia testa, come se servisse a qualcosa.

Perchè sto ritardando le cose, quando potrei già essere lì e parlarle a quattr'occhi?

Tiro un lungo sospiro, per poi avviarmi verso l'entrata.

Mantengo lo sguardo basso, sulle mie scarpe, mentre sorpasso il gruppo di ragazzi.

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