Capitolo 10: Arya

329 28 20
                                    

Tra le tante cose che avevo immaginato, questa era la più imprevedibile.

Tu che torni da me, in un giorno qualsiasi d'estate, proprio come quando sei entrata di colpo nella mia vita, scombussolando ogni cosa. Il mio potente uragano dalle treccine rosse e gli occhi verdi. La mia ragazza super forte, che non aveva paura di nulla.

Riaverti al mio fianco, vederti camminare alla mia destra, lo sguardo sollevato per aria, sui palazzi di Denver a cui non sei abituata.

Come la prima volta che hai visto Phoenix e l'hai trovata bellissima.

Conservo ogni ricordo come conservo gelosamente tutti i miei scatti più belli, anche se la maggior parte sono proprio i tuoi.

Mi fai domande stupide, soltanto per non farmi pesare la situazione. Lo so, io ti capisco meglio di chiunque altro.

Mi domandi quale sia il mio posto preferito, ed io rispondo che ti ci sto portando. Tu sorridi soddisfatta, e poi mi chiedi se Denver mi piace, se è abbastanza grande.

Ti racconto quel che posso, ma tu sai, come lo so anch'io, che non ho voglia di parlare di questo.

Ti guardo quando so che non mi stai prestando attenzione e mi scoppia il cuore nel petto, perché non ricordavo quanto in realtà tu fossi bella.

Quanto mi piacevi all'inizio? Mi facevi girare la testa con quel tuo modo di guardarmi, escludendo il resto del mondo. Credevo di aver persino dimenticato la giusta sfumatura dei tuoi occhi, che con queste luci ora sembrano più luminosi che mai.

E mi domando: quanto mi piaci ora?

La risposta mi arriva subito, diretta come un fulmine a ciel sereno.

Tu ti volti verso di me, ed inciampi in un sorriso, rendendoti conto di essere osservata.

Ecco, quel sorriso è la soluzione a tutto.

È cosi bello che vorrei guardarlo a lungo, ma non ci riesco. Mi viene soltanto facile distogliere lo sguardo e far finta che non sia mai successo, che tu non mi abbia appena sbattuto in faccia la realtà. E la realtà è che io non ti ho mai dimenticata, per quanto ci abbia provato in questi mesi.

Anche se non serviva affatto il tuo ritorno per capirlo, lo sapevo già da tempo.

Ma un conto è ammetterlo a se stessi, nel buio di una stanza, in totale solitudine.

Un altro è farlo con te al mio fianco, col tuo respiro che mi invade i pensieri e la tua mano che cerca la mia.

« Non avere paura. » mi dici, intrecciando le tue dita alle mie.

Sei calda come ricordavo, e la tua stretta è solida, e mi tiene a galla senza mai lasciarmi affondare giù.

Ed io in te ci vorrei affondare ancora. Come una volta, quando era l'unica cosa che ci piaceva fare, da sole, su un letto o da qualsiasi altra parte.

Ma questi pensieri li tengo da parte, perché mi fanno venire le fitte allo stomaco, e mi dico che è ancora prematuro lasciarmi andare alle emozioni. Tu sei qui da un'ora soltanto, e mi stai già mandando il cervello in tilt.

Non so se è normale, e non lo saprò mai. Perchè quando si tratta di te, per me nulla ha senso, nulla è ragionevole.

Ti guardo da lontano, seduta su un muretto freddo, con i grattacieli alle spalle, un cielo stellato sopra la testa, e le gambe penzoloni da terra.

Hai ordinato due hot dog dal camioncino di Mike, che ormai mi conosce, e sa perfettamente la giusta dose di maionese e ketchup da aggiungere al mio panino.

Glass Dream Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora