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15.6.1300, ore 12:30

Benché il castello ospitasse centinaia di persone, tra nobildonne, nobiluomini, conti, contesse, medici e cavalieri, esso continuava ad avere stanze vuote.

Trecentosessantacinque stanze erano troppe ed era quasi impossibile riempirle tutte. Quel giorno Brienza si stava preparando ad ospitare nuovi nobili. Erano attese due famiglie: le principesse Margerita e Giovanna d'Acri, figlie di Re Edoardo I d'Inghilterra, con i rispettivi mariti: Giovanni II di Brabante e Rodolfo di Mothermer; e il cavaliere Leone, con sua moglie dama Bianca, direttamente dalla Sicilia.

Il castello, all'epoca gestito da Fulvio da Petruno, figlio di Gentile da Petruno, ogni dieci anni ospitava nobili da ogni dove. Fulvio amava organizzare feste, banchettare con i suoi ospiti, era un uomo di buon cuore e provava in ogni modo a creare nuove alleanze con gente di grande potere.

I primi ad arrivare furono la principessa Giovanna e suo marito Rodolfo. La carrozza si fermò all'entrata del castello e immediatamente la servitù si sbrigò ad aiutare i nobili a scendere, per poi occuparsi delle valigie. Quando Giovanna vide il castello, ne restò immediatamente affascinata. Né in Inghilterra, né nei suoi sogni migliori aveva mai visto tale maestosità. Il castello imponeva la sua presenza e si innalzava sulla sua testa. La principessa Giovanna alzò lo sguardo, cercando di osservare il castello per intero, ma fu costretta a coprire gli occhi marroni con una mano, i quali guardavano così in alto da incontrare il sole stesso. Alzando il capo in quel modo, il cappello posto sulla sua testa finì rovinosamente a terra. Rodolfo, arrivato in quell'istante al fianco della giovane, fece una breve corsa per raggiungere il cappello che stava rotolando via. Lo raccolse delicatamente e lo portò a sua moglie.

"Tesoro. Fa attenzione, te ne prego!"

"Mi spiace, caro" si scusò lei, posizionando nuovamente il cappello sulla testa, facendo attenzione a non rovinare l'acconciatura. I lunghi capelli marroni erano raccolti in una coda alta, erano stati arricciati con un ferro rovente e tenuti fermi con un prodotto a base di grasso vegetale. Quell'acconciatura era stata realizzata da tre ancelle, in due sedute da un'ora l'una.

"Ero così assorta da aver completamente dimenticato di avere il cappello sulla testa. Hai visto questo castello, caro? Non è forse perfetto?"

"Lo è." Confermò l'uomo. "Lo è senz'altro. Però, mia cara, ricorda che sei una principessa. Qui siamo ospiti e sarebbe meglio che tu abbia un atteggiamento consono!"

La principessa Giovanna, a differenza di tutti i suoi fratelli e sorelle, non aveva alcuna idea di come mettere in pratica le buone norme nobiliari insegnatagli sin da giovanissima. Era rozza, goffa e impacciata, ma sempre sorridente e con un cuore d'oro. Per anni aveva litigato con suo padre, Edoardo I, per via dei suoi sentimenti nei confronti di Rodolfo. Re Edoardo sperava per lei un matrimonio diverso, un matrimonio che avesse potuto unire due famiglie nobili in un legame indissolubile, il più forte tra tutti. Ma Giovanna era da tempo innamorata di Rodolfo e alla fine, con l'aiuto di fratelli e sorelle, che l'hanno sempre sostenuta, è riuscita a convincere anche suo padre. Il Re diede via libera per il loro amore e per le loro nozze.

Giovanna rise sonoramente alle parole del marito, il quale le rivolse uno sguardo di rimprovero.

"Perdonami." Disse lei, cercando di soffocare le sue risate. Gli accarezzò la folta barba castana e, dopo aver ingoiato le ultime risate, cercò di ricomporsi. "So di non essere la grazia in persona, mio caro, ma ti prometto che cercherò di adeguarmi e di essere il più elegante possibile. Non vorrei mai crearti disagio in alcun modo!"

"La vostra bellezza farebbe dimenticare qualunque malefatta, principessa Giovanna!" La voce arrivò direttamente dalle porte del castello. Quando i due voltarono lo sguardo nella sua direzione, videro un uomo basso, magrolino e con un enorme sorriso in viso. "Perdonate la mia insolenza, non avevo intenzione di origliare!" continuò l'uomo, avvicinandosi ai due. Si inginocchiò difronte alla donna, le prese la mano e baciò la stessa, in segno di rispetto. "Fulvio da Petruno, per servirla, mia signora!"

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