5. Al fronte

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12 novembre 1943, Italia

5 miglia dal fronte italiano. La libertà era a sole cinque miglia.

Bucky si strinse le braccia attorno al corpo, strofinandosi vigorosamente per riscaldarsi. Nella cattura aveva perso il giubbotto della divisa e ora batteva i denti per il freddo.
Non che fosse l'unico a patire quel gelo, penetrante fino alle ossa. Un'intera divisione del 107esimo battaglione era stata brutalmente massacrata, solo una parte fatta prigioniera. L'accerchiamento era stato veloce, quasi fulmineo. Una trappola ben macchinata gli aveva portati direttamente tra le spire del nemico, e la resa era stata l'unica soluzione possibile. O quella o la diretta fucilazione.
I pochi con lui, iniziavano a dare segni di malnutrizione, come se la guerra non avesse già piegato i loro corpi, oltre ai loro spiriti. Tanta smania di imbracciare le armi, di rendersi degli eroi agli occhi dell'intero paese, svanita dopo alcune settimane. Le certezze vacillarono con i primi caduti, annientati come mosche in un crudele gioco di tattica. Amici, compagni, uno ad uno strappati a quella vita che volevano vivere disperatamente. Ora rimaneva solo un insopprimibile desiderio di fuga, più lontani possibile da quell'inferno sceso in terra. Se la fine del mondo era quella, loro erano superstiti un momento, vittime prescelte quello dopo.
Le sbarre delle celle di raccoglimento dove il plotone nemico gli aveva radunati erano spesse, lerce e gelide. Il calore del compagno alle spalle si fondeva nella schiena di Bucky, sempre più sfiancato da quella prigionia.
8 giorni, dall'aspetto infinito.
Torbidi, lancinanti.
Cosa gli aspettava non riusciva ad immaginarlo. Forse solo intuirlo, ma non aveva senso tenere quasi cento uomini tra le sbarre nemiche. La loro fine sarebbe arrivata a breve, dopo aver carpito loro le ultime informazioni utili sullo stanziamento dei battaglioni, al di là del confine. Poi avrebbero preso le loro vite, una per una, facilmente, come si sollevano le carte da un mazzo appena impilato.
Bucky osservava il soffitto, del cemento sporco.
Aspettava, aspettava. Nient'altro poteva fare.

Dal piazzale esterno, i soldati tedeschi marciavano compatti. Bucky si concentrò sul ritmo perfetto dei loro passi, un modo come un altro per distrarre lo stomaco che si piegava per la fame. Era come una sorta di cantilena.
Passo, cadenza.
Passo cadenza.
Inaspettatamente, quasi senza un senso logico, si ritrovò a pensare a quell'ultima sera a New York. L'ultima sera davvero felice. Oltre un anno prima. E più precisamente i suoi pensieri vagarono, quasi dolorosamente, agli eventi della notte. Sentì la risata di Lana, una goccia d'acqua fresca nella sua mente arsa dal dolore. Così cristallina, così sincera. Se ne aggrappò morbosamente Bucky, come un naufrago nella tempesta.
Non v'era stato giorno in cui Lana non avesse illuminato i suoi pensieri, lì in Europa. Era stata il miglior addio che l'America gli avesse regalato.
Ancora non si spiegava il perché, ma Lana aveva lasciato in lui un'impronta così forte, viva, felice. Quel suo accento, ora lo risentiva in ogni ordine impartito dai generali tedeschi. E questo costantemente la riportava negli occhi di Bucky. Ogni cosa ricordava lei. Bastava una sola notte per legarsi così tanto a qualcuno? Bucky non lo avrebbe mai ammesso, ma dopo un anno e mezzo, il volto di Lana, le sue mani sottili, quel profumo di lavanda e sapone, gli erano rimasti impressi come cicatrici. Forse il suo cuore voleva appoggiarsi su ricordi felici, e quelli erano stati gli ultimi, oppure..

Bucky si riscosse dalle sue dolci seppur malinconiche fantasie nel momento in cui un colpo violento fece entrare nella stanza una folata d'aria, umida e tagliente. Un turbinio di gocce di pioggia accompagnò un'alta figura, sul petto marchiata da una argentea stella in un mare blu profondo. Con una mossa decisa, il giovane uomo stellato aprì le sbarre delle celle. Le serrature si aprirono come fossero fatte di gelatina. La confusione era visibile sui volti dei suoi compagni, e nemmeno Bucky fece eccezione.
La zona di isolamento era in subbuglio. Fuori ancora peggio. Forti colpi d'arma da fuoco e ordigni in esplosione iniziarono a sconquassare l'aria, facendo vibrare anche il pavimento. Delle vigorose mani gli strinsero le braccia, scuotendolo fermamente.
Una voce, lontana.
Perché quel timbro gli era famigliare?
Riprendendo coscienza di ciò che stava succedendo, Bucky mise a fuoco il volto del giovane uomo che lo chiamava, il viso una maschera di terrore e preoccupazione.

Soldati dell'inverno : L'inverno nel cuoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora