13. Bugie

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Veronika non reagì come Bucky si aspettava.
E quando mai riusciva a prevedere il suo comportamento? Si sarebbe aspettato un litigio, delle grida, uno scontro, un turpiloquio nei suoi confronti da far ghiacciare il sangue.
Tutto. Ma non questo.

"Vorrei che tu te ne andassi" disse lei, gli occhi ancora sulla fotografia che teneva tra le mani "vorrei rimanere sola".

"Veronika per favore, lasciami spiegare.." Bucky la guardava sinceramente dispiaciuto, avvicinandosi a lei.

"Ho chiesto di essere lasciata sola" Veronika concluse la conversazione con un tono amaro e salendo lentamente le scale, si avviò nella sua camera, chiudendosi la porta alle spalle, Bucky immobile nel soggiorno.
Scivolò lungo la porta, le lacrime come la marea: erano salite, lente ma inarrestabili ai suoi occhi e poi erano dilagate.
Da quanto non piangeva.
Pianse a lungo, i singhiozzi a scuoterle il petto. Osservava la foto di Bucky, di James, datata 1942. Era identico a come era apparso quella sera a New York. Un fremito le percorse la schiena pensando a come la aveva stretta tra le braccia, di come il suo viso dal profilo marcato perfettamente sbarbato profumava di acqua di colonia, quel sorriso sbarazzino di chi sa farci con le ragazze.
Veronika rivisse nella sua mente quella sera felice, prima in maniera quasi annebbiata, poi cogliendo nuovi dettagli ogni volta che vi si soffermava sopra. Una consapevolezza si fece strada nella sua persona, riscaldandola come il sole sulla pelle. Aveva già conosciuto Bucky, avevano parlato così tanto quella notte, una sintonia inspiegabile che li legava. Il pensiero era corso molto spesso a lui nei giorni successivi, crogiolandosi in quel ricordo piacevole. Si sentiva imbarazzata, tesa, allegra. Solo Joshua le aveva scosso emozioni così, qualche anno prima. Ma con Bucky c'era stato qualcosa in più: Bucky era completamente diverso da Joshua, il ricordo della sua voce che svaniva. Bucky era lì, alto, bello e dalle mani forti. Le aveva regalato il suo tempo quella sera, rubandole più di un sorriso. Ricordò il suo braccio dietro il suo collo, attento a non toccarla. Quanto aveva desiderato che lui la sfiorasse ancora. Ma Bucky era stato un vero gentiluomo, e le era semplicemente stato accanto, ascoltando il suo fiume di parole. Aveva ribattuto, commentato, puntualizzato, e lei si era goduta ogni singola parola, ogni singola sfumatura nel tono della sua voce, la sua parlata fluida, quell'espressione a volte timida ma subito dopo sfacciata.
Si era ricordata di lui pure mentre il feretro del professor Erskine le sfilava davanti: teneva un mazzolino di violette in mano, che depose sulla lucida bara color cioccolato prima che fosse inumata. Il cielo di New York era sereno, non compativa il suo cuore in frantumi, i suoi occhi spenti. Avrebbe voluto averlo vicino per non essere sola ad affrontare un dolore che ben conosceva. Ma a certi dolori, per quanto li si abbia vissuti, sono sempre una novità. Non si è mai abbastanza pronti per affrontarli, e in solitudine era ancora più difficile. La morte dei suoi cari a Monaco era stata mitigata dal supporto del professore, ma quando anche egli morì, nessuno la aiutò con quelle emozioni. Le aveva gestite, difficilmente, da sola.
Steve, o meglio Capitan America, le aveva offerto il suo aiuto, ma sapeva benissimo quanto fosse impegnato a salvare il mondo e non lo aveva più contattato. Il suo dolore era così privato.
E poi, chi era lei per lui? Una sconosciuta, di cui sapeva a malapena il nome e di cui velocemente si sarebbe scordato. Andava bene così, era giusto così.
Avrebbe voluto Bucky accanto, ma il fronte era lontano e le licenze non si concedevano tanto facilmente. E comunque, cosa gli avrebbe scritto? Di tornare per lei? Era una richiesta estremamente egoista, e anche stupida. Forse per Bucky quell'incontro non era stato nulla, forse solo un modo come un altro di passare una serata. Ma forse, lui sarebbe riuscito a confortarla, condividere quel dolore le avrebbe probabilmente alleggerito l'animo.
Ma così non era stato. Dopo il funerale del professore, un vuoto prese il posto dei ricordi. Non ricordava null'altro.
Sentì Bucky avvicinarsi alla sua porta, la schiena ancora addossata al legno liscio. Lo sentì respirare profondamente, come a meditare le sue intenzioni.
Non avrebbe aperto, non voleva sentire nient'altro. Non voleva guardarlo in quei occhi tanto belli quanto bugiardi. Perché le aveva nascosto quelle informazioni? Da quanto andava avanti la cosa? Veronika, la testa rovesciata all'indietro, fissò il soffitto, un misto di rabbia e disprezzo le torcevano lo stomaco.
Bucky si sentì impacciato, mai cosi tanto in vita sua si sentì impotente. Si schiarì la voce e iniziò a parlare, sperando che Veronika sentisse chiaramente le sue parole. Trovarle fu cosa tutt'altro che semplice.

Soldati dell'inverno : L'inverno nel cuoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora