Capitolo 1

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A Roma trovare gli schiavi era comune. Gli schiavi erano al servizio dei più potenti, e più ne avevi, più eri ricco.

Gli schiavi venivano messi all’asta dopo la cattura. Chi non veniva comprato, sarebbe divenuto gladiatore e sarebbe morto come tale.

Kaz Brekker era più che certo che nessuno lo avrebbe comprato. Non era attraente, non era in condizioni presentabili (anche se nessuno lo schiavo lo era), non era particolarmente muscoloso e, soprattutto, aveva una gamba storta per essersi rotta e riaggiustata piuttosto male.

Inoltre qualcuno avrebbe certamente menzionato che stava male al contatto fisico. Non importava se c’era della stoffa o meno tra lui e qualcun altro: se qualcuno lo afferrava o anche solo lo toccava, era quasi garantito che sarebbe svenuto.

Sarebbe finito come gladiatore, e sarebbe morto in un’arena, con la gente a ridere di lui. Non gli piaceva la prospettiva, ma il suo punto di forza era l’intelligenza e a Roma tutto si giocava sulla forza.

Quando fu davanti a tutti e il banditore chiese un’offerta, nessuno offrì nulla. Era successo anche ad un ragazzo mingherlino e lui era scoppiato a piangere, supplicando di essere “preso anche come cane, pur di non finire nell’arena”. Nessuno aveva ceduto alle sue suppliche.

Kaz, un po’ per orgoglio, un po’ per compensare di essere quasi svenuto quando lo avevano trascinato lì sopra, si riservò di mostrare l’espressione più inespressiva che avesse.

Poi qualcuno alzò una mano.

«Un sesterzio.»

Era stata una voce di donna a parlare. Tra la folla si vedeva a stento e Kaz la intravide solo perché era su un palchetto.

Era giovane, doveva avere la sua età a dir tanto, dai capelli scuri e la pelle anch’essa scura. La sua espressione era determinata.

Nessuno alzò quel pezzo a dir poco ridicolo e Kaz venne venduto a lei, con sorpresa di tutti i presenti, banditore e Kaz inclusi. Nel giro di cinque minuti, il ragazzo venne trascinato da lei.

Non era sola, notò. C’era con lei anche un ragazzo più alto, anche lui scuro di pelle, che ad un gesto prese la catena collegata a quelle che cingevano i polsi di Kaz.

«Restiamo ancora poco, poi andiamo.» disse la ragazza rimettendo via il borsellino. Si girò verso il ragazzo e disse: «Jesper, resta qui con lui, io vado a vedere chi altro c’è da salvare.»

Nel giro di poco i due erano rimasti soli.

Kaz guardò il punto dov’era sparita la ragazza, incerto sul da farsi. Non si aspettava di essere comprato neanche per scherzo, e quella ragazza non sembrava scherzare affatto.

«Ti vedo confuso.» osservò il ragazzo scuro di pelle.

«Ero pronto a finire in un’arena e a morire due minuti dopo l’inizio di un incontro.» fu la risposta che ottenne.

«Fidati, è un sentimento condiviso da chiunque sia stato comprato da lei. Ho avuto la stessa identica reazione.»

Con quella frase ottenne la completa attenzione dello schiavo. «Sei uno schiavo?»

«Sì, sono uno schiavo. Ti ambienterai, vedrai. Io sono Jesper, comunque.»

Kaz attese un lungo momento prima di rispondere: «Kaz.»

«Sento che andremo d’accordo.»

Aveva visto gli schiavi degli altri nella folla ed era certo nessuno avesse ricevuto quel tipo di trattamento. Avrebbe osato definirlo amichevole e non sapeva se fosse un tranello.

La ragazza tornò dai due e disse: «Possiamo andare.»

I tre si avviarono lungo una delle strade ciottolate, tenendo un passo lento che Kaz sospettò essere un agevolamento per lui. Non aveva senso, però, era uno schiavo, perché trattarlo bene a quel modo?

L'altro fattore che lo confuse fu quando inciampò in uno dei ciottoli, impegnato com'era a studiare l'ambiente circostante. Non riuscì a recuperare l'equilibrio e cadde, ma Jesper accanto a lui lo prese per il polso, tenendolo su. Non il braccio, ma il polso, tenendolo per la manetta.

Quello era volontario, studiato apposta per non far stare male lui, e come schiavo non aveva senso.

La dimora della ragazza era una villetta di tutto rispetto, costruita su un solo piano ma piuttosto ampia. Kaz venne condotto all’interno e rimase sorpreso dal fatto che tutte le decorazioni e i mosaici, persino sul pavimento, non apparissero pacchiani come aveva immaginato fossero. Non era mai stato a casa di un nobile se non per rubare, e in quei casi aveva preferito sfruttare il buio e non fermarsi ad ammirare gli arredi.

Appena la porta venne chiusa, la ragazza divenne all’improvviso meno imponente e autoritaria di quanto fosse apparsa nel tragitto fin lì. Si girò a guardarli e disse: «Detesto queste apparizioni pubbliche.»

«Almeno ci sgranchiamo le gambe.» rispose Jesper con un sorriso.

L’occhiata che la ragazza riservò al suo accompagnatore, Kaz non seppe interpretarla. Alla fine il suo sguardo si concentrò su Kaz e disse: «Io sono Inej e sarò la tua domina, anche se sarà più un ruolo formale che reale. Se sei intelligente come penso tu sia, avrai già capito che qua dentro le cose non vanno come nelle altre case.»

Kaz fece solo un cenno affermativo.

«Bene, ci sarà tempo per farti vedere che non sto inventando le cose. Ora, la prima cosa che voglio fare con te è sistemarti quella gamba.»

«Prego?» chiese Kaz, certo di aver sentito male. Fissò Inej, che lo stava a sua volta fissando seria.

Non stava scherzando.

«Non vorrei già inimicarmi il padrone di casa dopo un’ora dall’essere comprato,» disse lentamente. «Ma la mia gamba è così da parecchio.»

«Ho potuto vedere che ti è d’impiccio, anche se non dubito che ci hai fatto il callo ad usarla. Comunque temo non sia un consiglio ma un ordine. Non mi piace abusare con voi della mia posizione, ma non esiterò a farlo se questo dovesse essere necessario. Jesper, accompagnalo da Nina.»

Il ragazzo annuì e indicò a Kaz dove andare. Il ragazzo lanciò un’occhiata a Inej, poi andò dove indicato.

Venne portato in una stanza con una semplice lastra di pietra coperta di fieno. Quella che doveva essere Nina, una ragazza dai capelli scuri e insolitamente formosa, si girò mentre i due entravano e sorrise allegra: «Oh, finalmente eccovi! Jesper, togligli le catene, grazie.»

Kaz guardò il ragazzo dalla pelle scura e fece: «Avevi tu le chiavi?»

«Sì, ma visto che hanno sottolineato che non tolleri il contatto fisico, Inej ha pensato che in caso avessi avuto problemi sarebbe stato meglio non toccare te ma le catene.» rispose il ragazzo levandogli le catene che gli cingevano i polsi. Kaz abbassò lo sguardo su di loro e li massaggiò, osservando Nina mentre frugava in uno scaffale; quando tornò, gli ficcò in mano una bottiglia.

«Bevi. Più ne bevi, meno sentirai realmente dolore quando ti sistemeremo la gamba, e con un po’ di fortuna ti renderai meno conto di ciò che faremo.» disse la ragazza.

«E cos’è che farete?»

«Te lo diremo quando non ci starai con la testa. Ora bevi.»

Il liquido che mandò giù era maledettamente forte e Kaz, che non aveva mai bevuto in vita sua, si ritrovò a non capire più cosa stesse succedendo attorno a lui, non nitidamente.

L’unica cosa che registrò fu il dolore lancinante che sentì alla gamba quando venne rimessa nella giusta posizione, poi cadde nel buio.

Mea Domina || Sei di CorviDove le storie prendono vita. Scoprilo ora