Avvicinamento rapido. Forse un po' troppo

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Lancio un'occhiata terrorizzata a Mike, poi alle creature che abbiamo di fronte. Mio fratello mi si avvicina, schiacciandosi contro di me. Finora siamo sempre riusciti ad evitare le cose che sembrano avere sviluppato un interesse particolare nei nostri confronti, ma adesso sarà molto complicato...
"Guarda!" esclama Mike, indicandomi un punto alle spalle delle creature, dove scorgo qualcosa che luccica. Poco dopo un paio di mostri sono diventati polvere, letteralmente. Una donna ci compare davanti, con in mano due spade gemelle completamente nere.
I capelli castani sono raccolti in una treccia, che oscilla seguendone i movimenti. La guardo affascinata, mentre sembra sparire e ricomparire (cosa chiaramente impossibile), riducendo in polvere i mostri.
Quando ha finito, sposta lo sguardo su di noi.
"Mezzosangue, eh?" dice. La guardo, confusa. Lei forse capisce che non abbiamo la più pallida idea di cosa ci abbia chiesto, perché sospira, roteando gli occhi.
"Ricordo quando ero al vostro posto" dice, fissando gli occhi marroni nei miei. "Sapete qualcosa delle mitologie greca e romana? Perché è tutto vero. Tutto. Dei, mostri, Olimpo... Io sono una semidea, o mezzosangue, come diciamo noi, e lo siete anche voi. Altrimenti, non sareste stati attaccati".
La guardo, sconvolta. Semidei vuol dire figli di un mortale e di un dio, ma...
"Non è possibile" dice Mike.
"Perché dici così?" fa lei, spostando gli occhi su di lui.
"Perché somigliamo troppo ad entrambi i nostri genitori, per essere figli di uno solo di loro" risponde mio fratello. Lei rimane a guardarci.
"Non ci ha ancora detto il suo nome" osservo.
"Non darmi del lei, ragazzina. Ad una trentenne non fa piacere sentirsi dare del lei. Sono Vittoria. E voi?".
"Mike e Lucy" rispondo, senza smettere di guardarla storta.
"Mike e Lucy" ripete, senza guardarci. Noto che sta giocando con un ciondolo che porta intorno al collo. "Venite con me. Non sapete difendervi, per voi è pericoloso andare in giro. Vi porterò dai miei amici, e può darsi che scopriate se discendete da qualche dio dell'Olimpo".
"Dove?" chiede Mike.
"Beh, prima al campo romano, vicino a San Francisco. Devo vedere alcuni miei amici che vivono là. Poi, possiamo spostarci verso New York e il campo greco. Credo che ai miei amici farà piacere accompagnarci" risponde.
Io lancio un'occhiata a mio fratello, e gli faccio cenno di tacere. Non può essere una coincidenza che i due campi si trovino proprio dove vogliamo andare.
Mentre ci incamminiamo, però, rifletto con più attenzione: mamma e papà non sono stupidi. Molto probabilmente ci hanno mentito, e non sono mai stati nè a New York, nè a San Francisco.

Sbuffo, capendo che mi è caduto qualcosa, mentre la voce di Alex mi risuona nella testa: "Va bene, se volete partire partite. Anche se non ne capisco il motivo, so che discutere sarebbe inutile, e servirebbe solo a farmi perdere tempo. Fate attenzione. Ci sentiamo".
Sistemo la roba che ho portato sul letto, poi torno indietro, individuando subito l'indumento per terra nel bel mezzo del corridoio, forse perché è arancione e risalta sulla moquette chiara. Mi chino, raccogliendo la maglietta del Campo, e me la stringo al petto. Poi, mi viene un'idea un po' strana: vado allo specchio e provo ad appoggiarmela addosso, per vedere se per caso posso metterla...
E niente. Dei, sono ingrassata. E la gravidanza di sicuro non ha giocato a mio favore. Rimango lì, in piedi, a guardare il pegaso nero. Potrei chiamare Blackjack e trovare Mike e Lucy in un decimo del tempo, ma non voglio che papà e Percy scoprano così che sto tornando. Anche se effettivamente papà lo saprà nel momento in cui metterò piede su una barca per tornare sulla terraferma. Non so perché, ma spero che non avverta subito mio fratello. Dovrei essere impaziente di rivederlo, ma ho iniziato a temere quel momento. Probabilmente a causa degli incubi.
Poco dopo, finalmente, chiudo il borsone. Come avevo fatto a farci stare tutto, quando siamo venuti?
"Lau, dobbiamo andare. Carl ci porta sul continente con l'Anfitris" mi dice Marc, entrando nella stanza.
"L'Anfitris. Come la moglie di mio padre, la madre di Bentesicima. Quale peggior augurio?" dico, sollevando il borsone e voltandomi verso di lui, che mi abbraccia.
"Li troveremo e diremo loro tutta la verità" mormora. Annuisco. Prendo la scatola contenente tutte le lettere, decisa a recapitarle. Di persona.
Arriviamo al molo. Ripenso a tutte le volte che sono venuta qui soltanto per guardare il mare e parlare coi pescatori, mentre Carl Riders ci viene incontro a capo chino. Mi torna in mente la strana sensazione che ho avuto guardandolo.
"Carl? Va tutto bene?" chiede Marc, mentre seguiamo l'uomo sulla barca.
"Mi dispiace così tanto, ragazzi..." dice il pescatore, scoppiando in lacrime un attimo dopo. Mi avvicino a lui e gli metto una mano sul braccio.
"I ragazzi mi hanno detto che avevano fatto tardi per una gita sul continente con la scuola, quindi li ho portati io. Se solo avessi saputo...".
Alzo lo sguardo per fissarlo in quello di mio marito. Lucy. Mike non ha la faccia tosta necessaria per essere convincente raccontando una bugia, ma sua sorella...
"Lau, vai tu al timone? Carl non mi sembra in grado..." suggerisce Marc, guardandomi e sistemandosi la borsa da sci sulla spalla. Mi ha promesso che tirerà fuori le spade, una volta sbarcati. 
Io annuisco. Quando mi sposto per andare a manovrare il peschereccio, mi viene un'idea. Potrei muovermi più velocemente se la corrente marina mi aiutasse. La soppeso solo per un momento. No, è troppo pericoloso. Carl se ne accorgerebbe. Faccio partire il motore, guardo mio marito e il pescatore che gli si trova accanto, e inizio a manovrare per dirigermi verso la terraferma.
"Mi sei mancato" mormoro, niente di più di un soffio che si perde nel vento. Prego Eolo tra me e me perchè il sussurro raggiunga chi deve. Lancio un'occhiata al sacchetto di plastica che protegge le lettere dagli spruzzi, poi al bracciale di cuoio con le due piccole borchie. Sto arrivando.

Proteggerli. A qualunque costoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora