CAPITOLO 14

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Jennifer passeggiava sul prato, i sandali in mano e i piedi a contatto con l'erba: fin da quando era bambina si era sentita a suo agio nel fare così, forse per il suo legame con la natura, e quella cosa non era cambiata in tutti quegli anni, nemmeno quando aveva perso la sua magia bianca.

Una leggera brezza primaverile si alzò, facendole volare i capelli lisci all'indietro e sollevando leggermente la gonna del suo vestito lungo blu.

Fissò il suo sguardo sull'acqua del lago: quel parco le donava una certa tranquillità, o forse era semplicemente il silenzio di quel luogo a quell'ora. Tra il lavoro e la missione, la tranquillità era l'ultima delle cose che possedeva e la prima di cui avesse bisogno.

Nel camminare si rese conto l'erba iniziasse a lasciar spazio ai sassolini, quindi si piegò per rimettersi i sandali. Con la testa ancora chinata, percepì un fruscio. Sembrava vento, ma era diverso dalla brezza di qualche minuto prima. Alzò lo sguardo e notò una ragazza castana arrivare dal cielo. Quella si appoggiò dolcemente al prato e Jennifer provò a socchiudere gli occhi per mettere a fuoco quella persona.

"Ametista? Cosa ci fa qua?" si chiese confusa riconoscendola. "E perché è da sola?"

Si nascose dietro un albero di fortuna, gli occhi che scrutavano ogni minimo movimento. Non capiva il perché la ragazza fosse da sola, al buio, la sera.

"Forse è notturna come me" pensò, ma quella situazione le sembrò anomala. Sentì un rumore alle sue spalle e vide tutti i Prescelti, tutti tranne Evelyn.

"Speriamo di trovarla in fretta. Mi manca" si disse, abbandonandosi ai ricordi. Scosse la testa, non era il momento per simili pensieri: doveva approfittare di quel momento. Da quando era venuta a conoscenza della loro comparsa, aveva ricominciato a sperare nell'Elementare. Quando qualche settimana prima la sua fidata aquila le aveva rivelato la presenza di quattro Prescelti a Elti, consapevole del fatto Evelyn non rientrasse in quel conteggio – altrimenti le avrebbe sicuramente rivelato di aver conosciuto altre persone che, come lei, avevano dei poteri magici –, aveva realizzato fosse comparsa anche l'Elementare e che, quindi, era arrivato il momento di mettere in atto il suo piano. Ora se la ritrovava lì, in quel parco, senza nessuna esperienza magica: avrebbe approfittato di quell'occasione e l'avrebbe rapita. Degli altri non se ne sarebbe fatta nulla: non avrebbe torto loro un capello, non erano loro il suo vero obiettivo.

"Potrei sfruttarli psicologicamente, però" si ritrovò a pensare. Perché ucciderli, del resto? Dopotutto i patti erano "prendere i poteri dell'Elementare e consegnarli a lei", non sterminare tutti. Non avrebbe accettato quell'accordo, altrimenti. Non che avesse avuto intenzione di rispettarlo veramente e questo lo aveva deciso fin da subito. Avrebbe tenuto per sé i poteri dell'Elementare, avrebbe fatto lei l'incantesimo: ne sarebbe stata in grado, avrebbe unito lei la magia nera e quella bianca.

Aveva accettato quel patto senza fare domande, senza chiedersi il perché l'altra persona volesse quei poteri. Ma, del resto, quando c'era la speranza di mezzo non riusciva a ragionare, e gli obiettivi dell'altra potevano essere facilmente intuibili. Si chiese solo il perché qualcuno così giovane desiderasse così tanto il potere.

Si ricordò di quando era giovane lei, migliaia di anni addietro. In quel momento avrebbe dato di ogni per poter fare di nuovo magie bianche come muovere gli oggetti col pensiero, o giocare con gli elementi della natura. Tutte cose che le erano state tolte ingiustamente: nessuno aveva mai fatto nulla per aiutarla, nessuno aveva protestato con e per lei. Non le interessava il trono, non le importava di essere diseredata, ma toglierle i poteri era stata una bassezza degna solo di suo padre. L'aveva privata della sua essenza e con questa erano diventate due, le cose che non gli avrebbe mai perdonato, ovunque fosse stato in quel momento.

Diamante - L'ElementareDove le storie prendono vita. Scoprilo ora