I. Una stagione all'Inferno

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Prima parte

Il broccato verde muschio chiaro era lasciato sciolto davanti le ampie finestre che davano sul cortile interno di Palazzo Chigi. I portoni in noce ai lati della Sala Verde erano praticamente blindati, sorvegliati da ore e accessibili solo ai Ministri, ai portavoce e ai vari responsabili della Protezione Civile e del comitato tecnico scientifico, nonché ai più alti rappresentanti delle parti sociali. Fuori dai corridoi il silenzio invadeva ogni muro, antro e scalinata del palazzo. Anche tra gli uffici era raro – da qualche giorno a quella parte – sentire il leggero vociare delle segretarie e dei segretari che scambiavano tra di loro convenevoli, pettegolezzi succulenti o direttive di lavoro. Il leggero picchiettio sulle tastiere dei computer era tutto ciò che si poteva udire, il resto sembrava essere calato nel silenzio tombale, come d'altronde ogni angolo del Paese.

L'Italia non era più quella ragazza gioiosa e briosa che incantava tutti, aveva smesso di cantare la sua bellezza e la sua unicità ormai da un mese, e in quelle settimane l'Europa e il mondo la guardavano con diffidenza e sufficienza. Tutt'a un tratto sembrava essere piombata in un racconto dal sapore un po' distopico per chi la abitava, e catastrofico per chi faceva parte di quella narrazione ed era stato colpito dal flagello del virus in un effetto domino.

Il mondo e l'Europa non sembravano più essere costituiti da Nazioni rispettabili nella loro essenza, piuttosto sembravano un'accozzaglia di contee dove si faceva a gara per proteggere il proprio orticello, osservando i fallimenti e le disgrazie degli altri dall'alto delle proprie roccaforti e palazzi di potere, criticando le sventure altrui – e anche gli sbagli ingenui – per giustificare in anticipo la mancanza di tempestività nelle proprie scelte.

L'Italia non era più quella ragazza bellissima e talentuosa che faceva invidia a tutti, piuttosto era diventata l'untrice d'Europa, e in quello scenario di contee, il conte di quella terra e i suoi fidati compagni erano simbolicamente scesi con coraggio dal proprio palazzo per cercare di reggere le fondamenta di carta di quel Paese. Quel conte non voleva permettere una tale nomina alla terra che tanto amava e che amministrava: non sotto il suo governo, era una missione storica e sociale, ma anche una nobile determinazione soggettiva. Lo aveva giurato solennemente. Gli abitanti di quella terra, con tutti i sacrifici che compivano da decenni, meritavano di meglio rispetto a quella narrazione ingenerosa e molto spesso menzognera.

Era snervante combattere contro un nemico invisibile e insidioso, e lo era ancora di più fare parte di una comunità allargata e potente che di fronte alle sofferenze di una Nazione che stava facendo il suo meglio per contrastare un morbo sconosciuto, rispondeva con ottusa cecità e pernicioso egoismo: «Noi non siamo qui per accorciare gli spread. Non è questa la funzione né la missione della BCE. Ci sono altri strumenti e altri attori deputati a queste materie».

Fine della discussione. E correre ai ripari solo in un secondo momento non era stato sufficiente per mettere un freno all'affossamento dei mercati.

L'Europa stava girando le spalle all'Italia in ginocchio, ma Giuseppe non aveva intenzione di lasciare che l'indifferenza altrui e il virus sferrassero il colpo fatale, no. Lui poteva contare su una squadra di governo unita, coesa e solida, poco incline all'influenza del dibattito politico e giornalistico che – in varie forme e modalità – stava facendo di tutto per confondere e ostacolare il potere dell'esecutivo.

Giuseppe riusciva ad essere molto caparbio e l'impressione di essere l'unico in Europa a percepire la reale gravità della situazione favoriva ancora di più le sue convinzioni. Non si sentiva la voce fuori dal coro, isolata nella scelleratezza, piuttosto era consapevole di essere il solista di spicco dell'orchestra: non esattamente il primo violino che rubava la scena, piuttosto il placido violoncello che trascinava con sé l'armonia intera del complesso orchestrale col suo timbro caldo e persuasivo.

Di cattedre, mandati e set cinematograficiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora