La locandina

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"Ehi bellissima, me la porti un'altra birra media?".

Sibilla sentì sfiorarsi il polso e concentrò ogni facoltà mentale per non sbuffare, farsi vedere stizzita ed irritata; si voltò, cercando di distendere i lineamenti:

"Come la vuole?" chiese all'uomo gretto. Lui, con le gambe sfacciatamene aperte, la scrutò dalla testa ai piedi e si leccò il labbro.

"La voglio bionda... una bella bionda come te" ridacchiò sguaiatamente, cercando di afferrarle il polso "E dai, non ti offendere!"

"Una bionda" mormorò lei, spostando frettolosamente la mano e dirigendosi dietro il bancone.

Non la pagavano abbastanza per quel lavoro di merda. Era un dato di fatto. Sempre avanti e indietro come una matta a spaccarsi i piedi e la schiena, a barcamenarsi tra il bancone del pub e la cucina quando i suoi colleghi avevano troppe comande e necessitavano di un aiuto rapido ed efficace. Senza contare il fatto che – molto spesso – la mettevano a pulire la cucina, e lei odiava pulire quello stramaledetto posto, chiudere pattumi dall'olezzo nauseabondo, dover eliminare le schifezze che i clienti combinavano nei piatti e nei bicchieri. Come se non bastasse – dulcis in fundo – talvolta arrivavano le molestie. E a casa, ovviamente, le botte.

Odiava la sua vita, le faceva schifo, nel suo futuro non vedeva null'altro che un'esistenza costretta a lavori pesanti e poco gratificanti, con una miseria di stipendio e un buco di pochi metri quadri come casa – magari condivisa con sua sorella Arianna. Tutto il giorno a lavorare, a racimolare su quanto più possibile e poi tornare a casa sfatta di stanchezza, senza riuscire più a concedersi e dedicarsi a un hobby o alle sue passioni.

Era deprimente, sconfortante fare i conti con quella realtà triste e micidiale. Era vero, nemmeno lei sapeva cosa farsene precisamente della sua vita: era abbastanza brava nello studio, spiccava in alcune discipline, in altre meno, e in altre ancora era terribile; le piaceva leggere e fare un po' di sport. Il suo cuore era rimasto fermo al teatro, però. Rimasto fermo perché lei e la sua famiglia non potevano più concedersi di pagare la retta bimestrale, quindi... tanti saluti al teatro!

Era bravina a recitare, se lo sentiva e glielo dicevano in molti di quelli che l'avevano vista sui piccoli palcoscenici di Bologna, però era tutto finito, incantonato in una scatola minuscola e nascosto al buio, così da non rammentarsi di quella gioia e linfa vitale che per innumerevoli motivi e molte occasioni le aveva arrecato felicità inesplicabili.

Quando interpretava qualcuno era come infilarsi dentro la sua pelle, assorbendo ogni grammo della sua vita e personalità; Sibilla viveva altre storie che non erano la sua e trovava finalmente la felicità, anche in quelle trame più tragiche o semplici.

Odiava essere Sibilla Monteverdi, a volte si chiedeva perché quegli sciocchi dei suoi genitori l'avessero messa al mondo; quella fatidica sera avrebbero potuto fare tante altre cose: una passeggiata, guardare un film sul divano, andare al cinema, giocare a carte... qualsiasi cosa, perdio! E invece no, avevano deciso di copulare e quindi era capitata lei tra capo e collo perché non l'avevano nemmeno specificatamente cercata.

Bella storia. Un capolavoro. Un film dell'orrore. «Complimenti vivissimi», diceva lei.

Sibilla si mosse agilmente tra i tavoli e sentì immediatamente lo sguardo di Davide sulla pelle: si sorrisero debolmente e lei camminò frettolosamente verso un tavolo per portare via le stoviglie sporche, chiedendo ai commensali se desiderassero altro, quindi andò dietro il bancone, riempì una pinta di birra al signore rozzo e gliela portò tenendosi a debita distanza e ignorando i suoi commenti maliziosi.

Davide – il suo compagno di classe – la stava ancora guardando con i suoi occhi chiarissimi e il grosso ciuffo che continuava a cadergli davanti:

Di cattedre, mandati e set cinematograficiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora