III. Una stagione all'Inferno

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Terza parte

"Riccardo, gradirei molto se riuscissi a portarmi i documenti da firmare nella sala del consiglio e non nello studio, per favore. Poi per cortesia cerca di organizzare un calendario degli incontri dopo gli Stati Generali: vorrei confermarli tutti, quindi cerca di pianificarli bene"

"Certo, Giuseppe" rispose lui, mettendosi sottobraccio il portacarte e seguendolo a fatica per il corridoio.

"Guarda questi, invece..." Giuseppe fece un gesto vago verso la fine del corridoio, indicando Roberto, Lucia e Alfonso "Guardali come cazzeggiano! Ma volete lavorare o no?!" disse scherzosamente, slacciando il bottone della giacca.

Dovevano iniziare un consiglio e mancavano pochi minuti all'una, erano abbastanza in anticipo, ma a lui oggettivamente piaceva ritagliarsi qualche momento di goliardia e leggerezza con i suoi amici e colleghi: avevano tutto il tempo e le occasioni del mondo per essere seri e professionali.

Loro si voltarono; Roberto e Lucia risero di gusto, Alfonso gli fece il classico gesto del cuoppo prima di mettersi a ridere a sua volta:

"Vuoi un caffè anche tu, Giuseppe?"

"Assolutamente sì, ormai è già svanito l'effetto di quello delle sette"

"Sette? Allora perché sei arrivato qualche minuto in ritardo questa mattina se alle sette eri già in piedi?"

"Ma saranno affari miei?" replicò amichevolmente, pronto a dargli un colpo sulla spalla, ma dalla scalinata laterale gli giunse una voce amorevolmente familiare, la più bella ed inaspettata:

"No davvero, perché sei arrivato in ritardo stamattina?" era Sibilla che sorrideva furbamente.

A Giuseppe mancò un battito, quasi non riuscì a credere alle sue orecchie e ai suoi occhi. Quella stessa mattina – la prima di un ritorno alla normalità in termini di spostamenti interregionali – Sibilla lo aveva chiamato per dirgli che fisicamente non se la sentiva di raggiungerlo a Roma: gli aveva spezzato il cuore, ma era stato tutto uno scherzo. Per quella chiamata aveva ritardato un po' al lavoro. Sibilla era lì e per qualche frazione di secondo non gli sembrò reale:

"Sibilla..."

"Non mi vuoi dire perché sei arrivato in ritardo?" gli chiese scherzosamente, tenendosi ben stretta al corrimano con entrambe le mani. Era più emaciata, gracile, dalla pelle diafana e con un leggero accenno di occhiaie, ma era sempre la sua stupenda Sibilla. Giuseppe lanciò un'occhiata ai suoi colleghi che sorrisero entusiasti senza riuscire a vederla, lui recalcitrava dentro: istintivamente sarebbe corso giù dalle scale per stringerla, ma temeva d'imbarazzarla. Esitò per un istante, ma scese lo stesso, frettolosamente, andandole incontro, abbracciandola non appena la raggiunse e percependo finalmente quel groviglio in mezzo al petto dipanarsi.

"Sibilla...!" le posò una mano tra i capelli, l'altra dietro la schiena, pronunciando il su nome in un ansito. Non gli sembrava vero, respirava a fatica per l'emozione "Ma sei qui!"

"Ti ho fatto uno scherzone questa mattina, eh?" le sue braccia lo avvolsero e lui non la lasciò andare, si aggrappò a lei come se fosse un sogno. Le prese il volto tra le mani e la carezzò, finalmente potendo perdersi nuovamente nei suoi occhi chiari che erano eterni come il firmamento, e quella peculiare macchia verde unica al mondo, esattamente come lei.

"Sibilla..."

"Non mi aspettavi, eh?"

"No!" gli scappò da ridere e la strinse di nuovo in un abbraccio, baciandola tra i capelli, poi sulle labbra e ovunque la sua bocca riuscisse a raggiungerla.

"È arrivata Sibilla?" chiese Lucia, affacciandosi dalle scale insieme a Roberto e Alfonso.

"Lucia! Che piacere vederti! E anche voi, ragazzi!"

Di cattedre, mandati e set cinematograficiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora