I. Un viaggio chiamato amore

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[Il titolo del capitolo è una libera citazione dall'omonima raccolta epistolare tra Sibilla Aleramo e Dino Campana... ora sapete anche a chi mi sono ispirata per il nome della nostra Sibilla, oltre al cognome che omaggia il compositore Claudio Monteverdi, che amo molto]


Giuseppe respirò profondamente e allungò immediatamente il braccio per spegnere la sveglia che aveva appena iniziato a suonare. Fu incredibilmente repentino come non lo era da anni, da quando non aveva più condiviso il letto con la propria compagna o ex moglie, ma quella mattina aveva accanto a sé la ragione per la quale premurarsi di tutti quegli accorgimenti.

Sibilla, appoggiata al suo petto, nemmeno si mosse. Non un movimento impercettibile, non una stiracchiata né una contrazione minima delle palpebre: nulla. Dormiva beata come una bambina e quello era il loro primo sonno assieme nel letto dell'appartamento di vicolo Savelli. Con tutta probabilità era ancora molto stanca per la giornata precedente: tra il conferimento dell'onorificenza e poi tutte le chiamate per le interviste oltreoceano che aveva ricevuto non appena le principali testate media avevano scoperto della sua nomina a Cavaliere della Repubblica, era andata a dormire tardissimo.

Ovviamente ciò che ingolosiva di più la stampa era la bella novità tra loro due.

Giuseppe si mosse piano, i bellissimi capelli dorati di lei gli sfioravano il volto e le dita affusolate erano posate sopra al suo petto con delicatezza: la grazia complessiva che irradiava scacciò e ridimensionò l'eccitazione mattutina accentuata ancora di più dal corpo di lei abbracciato al suo. Non avevano nemmeno fatto l'amore la notte precedente, quella casa non era ancora stata "battezzata" e Giuseppe aveva scolpito nella mente il musino stanco di lei che lo raggiungeva a letto dopo l'ennesima chiamata-intervista. Ogni attenzione era stata rivolta a lei, ogni singola carezza ad accompagnare il sonno con la tenerezza e l'abbraccio a farla sentire a casa anche se distante centinaia di chilometri dal suo nido.

La prese delicatamente, appoggiandola al cuscino e sfilandosi da lei senza svegliarla, con tutta la premura di cui potesse disporre. La luce pallida della primavera entrava tenuamente dalla finestra e abbandonare le coperte calde e impregnate del profumo fresco di lei si rivelò molto più difficile di quanto potesse immaginare. Sibilla aveva i lineamenti distesi e luminosi, respirava piano e sembrava quasi sorridere: Giuseppe alzò l'angolo del labbro e la rimirò ancora prima di sistemarle il ciuffo che le cadeva sul volto. Non la baciò perché i suoi movimenti goffi del mattino non avrebbero fatto altro che destarla, però la coprì premurosamente e le carezzò la chioma.

Chiuse la porta della camera per scongiurare un possibile risveglio con la sua sbadataggine che la mattina, molto spesso, gli faceva prendere contro le cose di casa o far cadere oggetti dalle mani. Una volta arrivato nel salotto silenzioso si fece largo tra le tende e guardò dalla finestra notando che in strada, proprio sotto il portone di casa, c'erano già alcuni giornalisti ad aspettarlo. Anzi, ad aspettarli.

"Non è possibile..." bofonchiò tra sé e sé, che aveva dei piani in testa dalla sera precedente. Dovette rinunciare e ripiegare su una soluzione che non gli piacque per l'ingerenza e l'impertinenza, ma non poteva fare altrimenti. Raccattò il telefono e chiamò il capo della sua scorta: attese giusto un paio di squilli.

"Buongiorno Presidente, è già pronto?"

"Buongiorno Bonanni, scusi se la chiamo così presto. Non sono già pronto ma avrei bisogno di una... cosa"

"Mi dica, Presidente"

"Dovrei uscire di casa per una commissione velocissima, ma ci sono già un sacco di giornalisti alla porta e siccome dovrei rientrare poco dopo non vorrei che curiosassero in alcune cose private" era impossibile spiegare senza risultare ambigui di primo acchito, ma poco gli interessò.

Di cattedre, mandati e set cinematograficiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora