II. Un viaggio chiamato amore

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Capitolo esclusivamente a contenuto 🔞, non aggiunge nulla di oggettivamente rilevante alla storia. Se non si gradisce particolarmente il genere consiglio gentilmente di saltare la lettura. 


"Arrivo subito" Giuseppe carezzò la spalla a Sibilla e si recò verso il salotto, nella direzione opposta alla sua. La vetrinetta dei liquori era più invitante che mai e nel giro di qualche momento si ritrovò a versarsi qualche dito di whisky in un bicchiere di cristallo, tracannandolo subito per amplificare le sensazioni dell'eccitazione e scacciare i mille pensieri che gli assediavano la mente. Se ne versò poco altro e si diresse in camera da letto, dove una luce tenue rifletteva sulla porta aperta della stanza.

"Sibilla, vuoi un goccio di whis-"

S'arrestò, impalandosi sul posto e rimanendo immobile. Anche la più buona volontà non lo avrebbe smosso da quel momento di concitazione silenziosa: Sibilla se ne stava seduta sul ciglio del letto, ancora vestita, con le gambe unite e le mani posate morbidamente sulle ginocchia. Lo guardava come se lo stesse supplicando innocentemente e Giuseppe si ritrovò a deglutire.

Appoggiò i bicchieri e si sedette accanto a lei, scrutandola in volto per istigarla a reagire per prima, ma lei si limitò ad osservarlo con la stessa intensità.

"Mi aiuteresti a slacciare l'abito?" si alzò e lui non rispose, la seguì annuendo e col cuore in gola.

Fece scorrere quasi con peritanza la piccola cerniera sul lato e man mano che la pelle chiara veniva scoperta Giuseppe lasciava un bacio umido, fino alla zona lombare. L'abito scivolò sulle spalle e cadde a terra, rivelando i seni gonfi e le linee perfette a clessidra del suo giovane corpo.

Sibilla si voltò tra le sue braccia, slacciandogli la cravatta con sensualità, poi gli tolse la giacca facendo scorrere le mani sul suo corpo forte. Lo sospinse sul materasso solo per farlo sedere e sciorinare una voluttuosa svestizione degli slip sottilissimi e dei collant che per tutta la sera avevano tormentato le membra di Giuseppe in un diavolesco gioco di vedo non vedo. La coscia soda quasi all'altezza del suo volto lo invitò ad afferrarla con ferino possesso, a lambirla focosamente con le labbra.

"Vieni a fare la doccia con me?"

"S-sì... ho solo bisogno di un momento"

"Stai bene?" gli chiese, osservandolo scrupolosamente.

"Sto bene, davvero. Solo ho bisogno di qualche istante... ti raggiungo subito"

"Okay" lo baciò, sorridendogli "Ti aspetto di là".

La vide scomparire nuda oltre la porta della camera da letto e Giuseppe si passò una mano sul viso per raccogliere gli ultimi pensieri e mettere un punto alla situazione. Avvicinandosi alla finestra notò come i vicoli di Roma risplendessero come piccoli diamanti grezzi, imprecisi, pregni d'impurità che li rendevano esattamente perfetti così com'erano. E Roma non era tale senza le sue contraddizioni di bellezza abbacinante e coacervi di trame nefande.

Il fiato caldo creava un piccolo alone contro il vetro; Giuseppe si vedeva tenuamente riflesso e il tutto si alchimizzava con il panorama dei tetti della Città Eterna. Quante volte si era fermato a pensare lì davanti solo Dio lo sapeva, quante volte aveva interrogato il suo cuore dinanzi a ciò che gli era più caro, a ciò che gli aveva permesso quella vita di successi dopo l'abnegazione, acciuffando l'agiatezza che gli aveva garantito la frizzantezza sempre tipica del suo spirito.

Nei suoi pensieri, riflessi e proiettati oltre quell'esatta finestra, c'era stata Mira con la sua rigida compostezza; poi Valentina col suo piacevole estro a volte un po' lunatico e poi... poi ce l'aveva in casa a gambettare tra le varie stanze la ragione per il quale si ritrovava ad interrogarsi in un soliloquio quasi shakespeariano.

Di cattedre, mandati e set cinematograficiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora