II. Preludio

548 18 44
                                    

Nella testa di Giuseppe riecheggiava una frase che sovente aveva sentito in passato, quando la fanciullezza e poi l'adolescenza lo avevano messo dinanzi alle prime scelte da compiere per iniziare a plasmare la propria vita.

"Questo è un treno che passa una sola volta".

Più specificatamente, sentiva rimbalzare nella sua mente quelle parole con la voce dei suoi genitori, poi dei suoi nonni; ognuno, con la rispettiva saggezza, lo aveva sollecitato a prendere una decisione. Si era sempre trattato di questioni scolastiche, poi accademiche e infine professionali.

Sentire le loro voci, in particolare quelle dei nonni che purtroppo non c'erano più, gli portò molta commozione nel cuore; allo stesso tempo, però, fu quasi un segnale. Era come se una parte della propria ascendenza accorresse in un gran concilio per deliberare una sorta di sentenza ultraterrena, come se la loro buon'anima lo proteggesse e guidasse in quel momento cruciale della sua vita. Perché, di fatto, Giuseppe percepiva lui stesso una forza inesprimibile pervadergli qualcosa che stava dentro al suo corpo, a metà tra il cuore e la mente: alcuni filosofi del passato dicevano addirittura che proprio lì in mezzo era custodita l'anima.

Osservava quel simpatico basco nero in cashmere nascondere inefficacemente la lunga chioma bionda; si defilava scattante tra le altre decine di teste lì presenti e trovò tregua solamente al raggiungimento della meta: il vagone numero 2.

Osservare Sibilla voltare il capo nella sua direzione prima di entrare nel vagone gli provocò una fitta al cuore. Fu piacevole, per carità, ma così inaspettata che il riflesso involontario fu quello di alzare di poco la mano e muoverla piano come uno sciocco, per salutarla. Si era girata per cercarlo! E quando una donna, prima di ritirarsi da un luogo, si voltava per cercare lo sguardo di un uomo, era un ottimo segnale.

"Questo è un treno che passa una sola volta".

Giuseppe lo stava guardando bene quel treno e probabilmente, se avesse avuto un po' di alcol nel sangue a fargli effetto, avrebbe trovato il modo di superare il gate e di raggiungerla per chiederle di uscire con lui quella stessa sera, disertando gli impegni che già aveva preso. Ma non poteva e, oggettivamente, non era nemmeno nel suo stile.

Quello, però, era certamente un treno che passava, ma Giuseppe conservava il biglietto nel taschino della giacca, proprio sopra il cuore. Sapeva bene dove era diretto, o meglio, era in possesso di tutte le informazioni necessarie: Sibilla gli aveva consegnato i suoi recapiti e, in tutta onestà, Giuseppe era perfettamente consapevole di non aver ancora processato mentalmente con le giuste valutazioni l'importanza di quel biglietto.

Sibilla lo aveva folgorato, realmente. Era difficile togliersi dalla testa una bellezza come quella, era impossibile ignorare la calorosa dolcezza che lo aveva totalmente irretito con le parole e i modi gentili. Personalità come la sua, in linea generale, erano tendenzialmente un condensato di alterigia e snobismo senza eguali, ma lei no. E non aveva alcun motivo di fingere chissà che cosa con lui, che era un semplice professore e avvocato; se avesse voluto intortare qualcuno di importante affiliato al mondo giuridico avrebbe potuto concentrare direttamente le sue attenzioni su qualche giovane e prestante avvocato con lo studio in qualche grattacielo di New York, e non un volto anonimo come il suo.

Sibilla era un'attrice formidabile, poetica per davvero e Giuseppe, nonostante quello, era assolutamente sicuro di aver avuto dinanzi a sé una persona autentica, senza traccia dei suoi personaggi e libera dai tecnicismi del suo mestiere.

Non avevano parlato di troppe cose e Giuseppe fremeva dalla voglia di poter conversare ancora con lei, ascoltare qualsiasi cosa di cui volesse parlare. La dolcezza dei pensieri e la scelta chirurgica delle parole che Sibilla aveva scelto di utilizzare lo avevano ipnotizzato. Nulla con lei era lasciato al caso, si prendeva tempo per esprimersi nel modo più adeguato e non lo faceva per sciorinare una proprietà di linguaggio forbito, ma per rispettare in qualsiasi modo possibile il suo interlocutore.

Di cattedre, mandati e set cinematograficiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora