III. Diario di famiglia

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Mancava un giorno al momento delle dimissioni di Isotta dall'ospedale e Giuseppe, dopo più di un mese ad attendere che sua figlia potesse finalmente andare a casa, gioiva di quella prospettiva lietissima. Aveva lavorato duramente nell'ultimo mese, era anche andato all'estero in visita da alcuni capi di governo stranieri e gli era dispiaciuto non poter supportare sua moglie come sperava, ma Sibilla aveva espresso fin dal principio la volontà di dedicarsi interamente alla loro bambina per almeno il primo anno di vita. E lo rassicurava ripetutamente per i suoi impegni che spesso lo allontanavano dai suoi doveri di papà. Non c'era stata sera in cui Giuseppe non avesse ringraziato sua moglie per tutto quello che stava facendo e, appena si liberava, cercava di dare il massimo di sé.

Quel giorno Giuseppe aveva qualche ora libera nella pausa pranzo, quindi s'infilò nella sua auto di servizio e raggiunse Sibilla all'ospedale per mangiare qualcosa con lei, per stare con le sue meravigliose donne. Purtroppo, però, raggiungendo l'edificio di neonatologia e maternità dell'Umberto I, notò che vicino alle scale esterne si era formato un piccolo gruppetto di persone e fu proprio la chioma bionda di sua moglie a catturare la sua attenzione. Appena fu più vicino riconobbe Joanne, la manager, e poi altre tre persone del piccolo entourage d'oltreoceano che si occupavano degli affari e della figura estetica di Sibilla: Giuseppe si chiese che senso potesse avere la loro presenza in quel contesto. Avrebbe avuto un senso vederli nella stanza destinata a Sibilla per molte ore al giorno, o anche incrociarli nella sala d'attesa prima del reparto, ma non lì fuori. Giuseppe cercò di avvicinarsi con fare conciliante, ma aveva percepito una certa tensione tra sua moglie e il restante gruppo.

«Buongiorno, salve!» li salutò, esprimendosi fin da subito nell'idioma anglosassone che aveva già udito distintamente da lontano. Sibilla si voltò verso di lui quasi sospirando di sollievo: era tesa e stizzita.

«Buongiorno Presidente», lo salutarono cordialmente, accogliendolo in un tono disteso e ben differente da quello di Sibilla.

«Siete venuti a trovare Isotta?»

«Anche, sì», parlò Edward, un uomo sulla quarantina, prestante a livello fisico e di bell'aspetto, dai capelli chiari e dal taglio moderno.

«Anche!» rimbeccò pacatamente Giuseppe, intuendo immediatamente una certa pretestuosità nella loro presenza a Roma verso la metà di luglio, sotto il sole cocente che spaccava le pietre.

«Siamo venuti a sincerarci che Sibilla stesse bene, ci ha raccontato delle varie difficoltà post parto»

«Sì, è così, ha avuto qualche difficoltà», rispose imperturbabilmente Giuseppe, carezzando la schiena di sua moglie e stringendo piano sulla spalla in un movimento lontanissimo dalla gestualità del dominio e del possesso, piuttosto vicina invece alla complicità. Giuseppe aveva già parlato a sufficienza e non gradiva affatto rispondere al posto di sua moglie per questioni che la concernevano. Sibilla sapeva fare esattamente l'avvocato di se stessa, quindi la guardò per carpire qualche segnale e lei indugiò, riflettendo, prima di esprimersi.

«Ho avuto qualche difficoltà ma, come vi ho detto, dei professionisti mi hanno aiutata a uscire da un brutto periodo. Tutt'ora ci sto lavorando, ci vuole un po' di tempo», intervenne lei, calma e pacata.

«Come stavamo dicendo, Sibilla...» fu Matthew a parlare, prima sfiorando i baffi della lunga barba scura e ben curata, «È necessario che tu riprenda anche le tue normali attività giornaliere. Come dite qui in Italia quel motto della mente e del corpo sani?»

«Mens sana in corpore sano», gli rispose Sibilla, impedendo a chiunque di precederla.

«Sì ecco, quella! Vedi? Ti stai prendendo cura della tua mente ed è ora di tornare a prenderti cura del tuo corpo, di rimetterti in forma, ecco»

Di cattedre, mandati e set cinematograficiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora