I. Diario di famiglia

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🔞anche per il linguaggio 

Sibilla aveva sempre avuto un andamento elegante, quasi regale; il suo passo era sempre sostenuto, le falcate belle ampie e anche per quel motivo spiccava in mezzo alla gente. Giuseppe avrebbe potuto riconoscerla in mezzo a migliaia di persone, anche se completamente camuffata; inoltre riconosceva il ritmo e la musicalità dei suoi passi, erano inconfondibili e chissà, forse ne erano determinati anche dalla schiena tenuta ben dritta.

Solo la gravidanza aveva mutato sensibilmente tutte quelle caratteristiche in un alone di tenerezza incomparabile al mondo. E Giuseppe ci perdeva la testa. Quelle poche volte che poteva godersi la vista di sua moglie in casa, a svolgere i suoi impegni o esercizi, a muoversi maldestramente tra i mobili, non riusciva a trattenere il sorriso. Gli sembrava di essersi totalmente rincitrullito, ma gli stava bene così. Anche in quel momento, in quella mite serata di inizio giugno tra i tavoli di un ristorante di Roma, non riusciva a desistere dal posare lo sguardo su di lei e ritrovarsi a sorridere come un ebete. Stringerle la mano con possesso era un atto istintivo e viscerale, e per lei intrecciare le dita la teneva legata in quel contatto fisico così scontato, eppure pregno di sentimento per entrambi.

«Che c'è?» gli chiese Sibilla, strattonandogli simpaticamente la mano e sorridendogli con i suoi occhioni chiari e giovani e belli e buoni, il tutto mentre scendevano dal predellino del chioschetto del ristorante.

«Niente, ti guardavo», mormorò, senza farsi sentire dai commensali e dagli uomini della scorta che stavano distanti qualche passo da loro, scandagliando la zona come dei falchi in sessione di caccia.

Giuseppe era ormai rodato a quella vita tra guardie del corpo e restrizioni ingerenti, solo gli dispiaceva imporre suo malgrado quel trattamento anche a Sibilla. Quando uscivano insieme, che fosse in un luogo privato o pubblico, non poteva andare diversamente: dovevano essere sorvegliati, sempre. Era lei a trovare il lato positivo, a comportarsi come se nulla fosse, a incalzare gli uomini della scorta in conversazioni divertenti o, come quella sera, pretendendo che anche loro potessero sedersi al tavolo di un ristorante e prendersi una pausa. Aveva voluto offrire lei a ogni costo e contraddirla non si poteva: Giuseppe lo sapeva bene. 

«Fabrizio, com'era il vostro vino?» chiese Sibilla al capo scorta, in un tono quasi infantile, catturando l'attenzione degli altri due uomini che controllavano la zona alle loro spalle.

«Sibilla...» Giuseppe si accostò di più a lei, sospirando senza speranza, «perché sei così masochista? Perché devi sempre chiedere di cose che non puoi ancora bere o mangiare?»

«Perché muoio dalla voglia di bere vino, mangiare una carbonara o un tiramisù. Giuseppe, non puoi capire. Quindi, Fabrizio: com'era?»

Tagliò corto, strappando un sorriso a tutti.

«Buono, signora Monteverdi. Fruttato... alla fine si sentiva qualche nota di rabarbaro»

«Santo dio...» mormorò lei in un'espressione simpaticissima, facendoli ridere, «No senti, Giuseppe, quando partorirò vedi di portarmi un fiaschetto perché ormai ho raggiunto il limite massimo della sopportazione»

«Ma tu nemmeno lo reggi più di tanto l'alcol! E poi non potresti comunque...»

«Dio, hai ragione...» commentò, ricordandosi di voler allattare lei stessa e che quindi, quell'impegno, le avrebbe negato ancora a lungo molte cose buone e che adorava.

«Vuoi fare una passeggiata, Sibbi?» le chiese Giuseppe, sistemandosi i polsini aperti sotto la giacca scura.

«Per me andrebbe bene andare a casa, tu cosa vuoi fare?»

«Andiamo a casa, va bene anche a me.»

Lasciarono alle loro spalle lo spiazzetto del ristorante Santa Lucia in Largo di Febo, tutto bello incorniciato da alcuni platani fronzuti, quindi presero la sinistra inforcando via dei Coronari e dirigendosi verso casa. I commensali del ristorante li osservarono sfilare via, alcuni si cimentarono in prodezze gentili alzando lo sguardo per salutarli con un cenno energico del capo. Dopotutto, ritrovarsi vicini di tavolo col Presidente del Consiglio e Sibilla Monteverdi non era una cosa da tutti i giorni.

Di cattedre, mandati e set cinematograficiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora